
Edito da Editore Terre Sommerse Roma nel 2019 • Pagine: 465 • Compra su Amazon
Come può essere che una donna del Ventesimo secolo possa vivere nei panni di un uomo per diciotto anni senza che nessuno la scopra? Questa l’incredibile vicenda di una donna realmente esistita che è qui narrata in un roman à clef. La protagonista sceglie il nome del fratello morto per cambiare la sua identità e vivere come un uomo; una donna sarà sua “moglie” e con lei intratterrà un rapporto ambiguo fino al processo per furto d’identità e frode. Sullo sfondo l’isola di Madeira, Lisbona, la politica di Salazar e la svolta della rivoluzione dei garofani.

Dovette tornare in cucina a spadellare. Quel giorno Emidio era in ritardo. Il pesce si sarebbe seccato nel forno, lo ricoprì con un poco di olio e mise la pentola sul fuoco basso con il coperchio, sorvegliando di quando in quando.
Mangiarono in mondi diversi, come al solito. Maria pensava ai punti di inizio sul ferro. Era certamente meglio fare la maglia doppia, per rendere più morbido il contatto con la pelle. Ricordava di dover usare un’altra lana che poi doveva essere sfilata. Poteva andar bene anche una gugliata di cotone, che forse poteva essere rimasto in qualche angolo in camera della figlia…
«Ehi, dico a te!» La risvegliò l’urlo di Emidio. «Vai a prendere il vino, è finito!»
«Vado subito!»
«Quella diventa più scema ogni giorno.» bofonchiò l’uomo «Chissà a cosa pensa?»
Se ne andò sulla veranda a fumare e Maria ritornò ai suoi pensieri e a lavare i piatti. Finalmente sentì la porta sbattere e fu libera fino all’ora di cena. Piantò tutto e salì le scale con un’energia nuova. Aprì la porta e Teresa fu in lei. Scavò nella mente per trovare le sue parole, il suo stesso pensiero, per ragionare come se fosse lei. Ed ecco che aveva trent’anni di meno. Era una ragazza. Suo padre non le permetteva niente. Viveva nel sotterfugio per poter fare qualcosa e sperimentare la libertà a cui gli altri ponevano limiti. Sapeva cucinare, era andata qualche anno a scuola, le era piaciuto, ma a lei non sarebbe servito. Era solo una donna. Meno sapeva e meglio era perché tanto si sarebbe sposata, avevano detto. Lei aspettava. Sarebbe diventata grande e tutto sarebbe cambiato, sarebbe uscita da quella casa-prigione. Il suo armadio, il suo letto. Aprì l’armadio: c’era il filo di lana, i ferri. Si mise in ascolto, gli occhi fermi, immobili. Non si udiva nessuno, di sotto. Poteva fare quello che voleva. Per qualche ora. E voleva usare i ferri, sferruzzare, confezionare calze. Era molto contenta. Prese il giornale. Cercò la gugliata che le serviva per incominciare. Trovò del cotone bianco. Come prese in mano il ferro si ricordò il gesto lontano secoli, ma dentro di lei da sempre. Il lavoro procedeva senza intoppi. Sfilò il primo giro e continuò. La lana morbida e regolare formava un disegno a coste perfetto. Ne fu soddisfatta. Chissà cosa avrebbe detto sua madre. Sarebbe stata contenta di lei? Al padre non lo avrebbero mostrato: era troppo severo, avrebbe senz’altro trovato un pretesto per sgridarla. Avrebbe dovuto applicarsi a pulire, a lavare, invece pensava a cose che la rendevano indipendente. Era il marito che doveva portare i soldi a casa, non la donna. Qualunque uomo sarebbe stato umiliato da tale comportamento e non avrebbe mai trovato da sposarsi se si comportava come un uomo invece che come una donna.
Il tempo passava, il lavoro progrediva. Vide il sole scendere verso il mare. Aprì la porta e Maria si trovò a casa sua. Chiuse a chiave la camera segreta e scese le scale senza paura. Doveva preparare la cena. La realtà l’aggredì di nuovo, ma sapeva dove avrebbe potuto rifugiarsi per sopravvivere. Tutte le volte che avesse voluto.
Aprì la porta e iniziò a rovistare. Teresa metteva a soqquadro e poi riordinava, in una frenesia di ricomporre l’ordine disfatto. Dondolò la testa con uno sguardo che non vedeva. Trovò vestiti vecchi ne provò uno, ma non le andava più, l’altro era troppo stretto, però lo tenne addosso. Si guardò allo specchio, mise le mani sopra il vetro, le passò avanti e indietro. La superficie era liscia e fredda come il marmo delle scale. Rabbrividì. Una figura la guardava. Chi era? Distolse lo sguardo. Si sciolse i capelli, lunghi, quasi neri. Prese il pettine e pettinò adagio le ciocche, dondolando al ritmo della ninna-nanna che cantava sua madre. Ma quando era stato? Molto tempo fa. Sapeva come doveva pettinarsi. Separò i capelli sulla testa e lavorò a formare tre ciocche per lato. La treccia fu presto fatta, poi l’altra. Le fermò con un elastico. Ecco, adesso era in ordine. Vide Teresa che le sorrideva allo specchio. Stava proprio bene.
«Cara Teresa, sei qui con me! Sono contenta!»
Trovò quaderni di scuola, matite, uncinetti abbandonati. Mise sulla sedia i vestiti in attesa di ricomporli in grembiuli o camicette o gonne a balze diverse per allungarne l’orlo. Radunò matite colorate e uncinetti in una sola grande scatola, rilesse i quaderni di scuola ricordando l’indimenticabile maestro, il corso di nuoto, il pennino e l’inchiostro. Si mise a scrivere dove il lavoro era stato interrotto, usando una matita. Ricopiò le parole che Teresa aveva scritto per ultime. Ma si stancò. Perché gli uccelli cantavano? Le davano fastidio. L’avevano distratta dai compiti. Cosa avrebbe detto il maestro? Arrabbiata, chiuse la finestra. L’armadio era ancora aperto. Non trovò merletti, solo uno, forse non l’aveva neanche fatto lei, non si ricordava bene…
Adesso erano le calze ad occupare i suoi pensieri. Vi si applicò con diligenza. Aveva terminato il gambaletto, doveva seguire le istruzioni per formare il piede. Lasciò in sospeso le maglie del tallone e proseguì leggendo accuratamente le indicazioni. Improvvisamente si fermò, in ascolto. I nemici potevano essere in agguato. Non doveva farsi scoprire. Nascondere, nascondere, nascondere tutto! Con foga ripose tutto nell’armadio, lo chiuse e si diresse alla porta. Cosa c’era dietro? Doveva aprire? Socchiuse e si accorse che conosceva le scale e la penombra che aleggiava in quella casa. Era la casa dove aveva vissuto. Sgattaiolò fuori, chiuse la porta dietro di sé e andò in cucina. Per fortuna si era svegliata in tempo: doveva preparare la cena.
Fu così, un passo indietro e uno avanti, che Maria confezionò il suo primo paio di calzini. Talvolta Teresa la seguiva anche in cucina. Facevano da mangiare insieme, preparavano la tavola, mescolavano gli ingredienti. Facevano tanti discorsi: i compiti di scuola, i merletti, le calze, i piatti da cucinare, i vestiti da riassettare. Si sedevano sotto l’eucalipto e ognuna lavorava all’uncinetto o a maglia. Si tenevano compagnia.
«Questo è il secondo calzino!» disse Maria «Guarda che bello!» Lo trasse in alto, visibile agli occhi. Aspettava una risposta da Teresa, che non venne… Lei la immaginò e parlò.
«È molto bello, morbido e regolare. Anche il colore è adeguato, né troppo chiaro, né troppo sgargiante! Brava mamma!»
“Mi chiama mamma!” pensò Maria e fu felice. L’avrebbe tenuta sempre con sé, non sarebbe mai andata via. Gli altri non dovevano sapere. Era il suo segreto. Teresa era lì con lei ogni attimo, non la lasciava mai. Gli altri non avrebbero compreso. Il dolore se ne era andato. Era serena.
…
Nella stanza aveva spalancato la finestra. Faceva caldo. Faceva molto caldo. I vestiti sparpagliati sul pavimento erano un arcobaleno. Saltellò tra uno e l’altro. Un’allegria di movimenti e di colori.
«Quale ti piace di più?»
«Questo è il più vivace!»
«Troppo sgargiante per una brava ragazza! I giovanotti ti guarderebbero troppo!»
Lo strappò di lato, facendogli un buco irregolare, dalle maniche all’orlo della gonna. Sorrise al rumore secco della tela che si fendeva.
«Guarda cosa ho fatto!» sbottò in una risata nervosa. Sollevò il pezzo di tela leggera. Si coprì la testa.
«È una bandiera! La bandiera della libertà! Oppure una tenda dove ripararsi. Vieni anche tu! Qui nessuno ci vede. Possiamo avere le ali come gli uccelli. Il vestito sarà le nostre ali.»
Piroettava in tondo sul pavimento, il vestito rotto si allargava come una girandola. Si avvicinò alla finestra. Si sedette un momento. Respirò l’aria tenera di Madeira, la sua dolcezza, la sua mitezza. Poi si alzò. Vide lo spazio e si sentì un inutile urlo nel pomeriggio afoso. Un tonfo.
Tornò dai campi come sempre. La testa bassa, il passo stanco. Aveva fame e prese la via di casa senza fermarsi a bere con gli amici. Entrò dal cancello. Non vide luci alle finestre, era ancora presto. Maria risparmiava. Si avvicinò alla porta sul retro e non fece caso al mucchio di panni colorati in terra poco distanti. «Donna disordinata!» brontolò.
Non era abituato a palesare la sua presenza, era la moglie che di solito si accorgeva del suo ritorno e gli diceva che la cena era pronta. Non la vide e andò a lavarsi senza aspettare. Con calma si cambiò e andò in cucina. Il tavolo era vuoto, il focolare spento. Che stava succedendo? Dov’era quella femmina pigrona?
«Maria!» gridò e già montava la rabbia. Ma nessuno rispose. Perlustrò le stanze e non trovò nessuno. Guardò dalla finestra, nessuno. Si decise infine a salire le scale e mise la mano sulla maniglia. Quanto tempo era che non entrava in quella stanza? Quello che vide lo lasciò senza parole: armadio aperto, vestiti sul pavimento, sul letto, quaderni, gomitoli di lana sparsi ovunque, sembrava essere passata una tempesta. Si domandò dove potesse essere. Cosa era accaduto lì dentro? Perché tanto disordine? Era tornata Teresa? Forse di nascosto?
«Maria!» chiamò di nuovo.
Si avvicinò alla finestra. Sotto, il cumulo di vesti colorate che aveva visto entrando in casa. Spuntavano delle scarpe.
…

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro è nata leggendo “La papessa” di Donna Cross. Anche qui la trama narra di un personaggio che pur essendo donna impersona l’autorità di un papa. Ne hanno tratto anche un film. In fondo al testo in un’intervista, l’autrice parla del fenomeno: non si tratta di transessuali, ma di donne che per superare situazioni difficili in cui si trovano a vivere, scelgono di improvvisarsi uomini. Quindi è una scelta dettata dalle circostanze, anche se non vale per tutti, ovviamente.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine è stato un impegno divertente. Ogni giorno scrivevo, cercavo notizie, abbiamo fatto anche un viaggio in Portogallo. Un’avventura dentro la quale mi sono immedesimata.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento non appartengono alla contemporaneità. La scrittura di Verga mi è sempre piaciuta, l’analisi introspettiva di Virginia Woolf mi è stata da maestra. Ora sto riscoprendo Herta Muller.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Oggi vivo a San Martino in Strada in provincia di Lodi, in mezzo alla natura insieme a mio marito e alle anatre che passano per il canale in fondo al prato. Sono nata in Trentino dove ritorno ad ogni estate.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Non ho veri progetti per il futuro. Continuerò a scrivere perché mi diverte.