Il gioiello del Gilhun è il primo romanzo di Antonello Venditti, pubblicato nell’inverno del 2014 per Sillabe di sale editore. Il romanzo è la genesi di una saga dal titolo Le Mutazioni.
Antonello Venditti presenta il Gioiello del Gilhun
Sarebbe facile scrivere con poche parole la trama di questo romanzo, primo di una saga dal titolo Le Mutazioni, quindi potremmo scrivere che la storia è avvincente perché c’è avventura, passione, ricerca dell’oggetto magico che dona poteri, trasformazione, mutazione, che l’eroe-protagonista è un bambino che si ritrova in un corpo adulto perché era deciso dal destino e dalle profezie, che cerca di raggiungere la grande vittoria contro il male, contro “l’incarnazione del Caos”. Potremmo scrivere tutti i migliori salamelecchi per la copertina, per l’autore, per le decorazioni interne e per la mappa a colori, coadiuvanti elementi che facilitano la lettura, e per l’editore che ha deciso di pubblicare questo romanzo Non a pagamento. Ma non potremmo descrivere chiaramente l’emozione che esiste ed è palpabile nel ritmo della narrazione, e la bellezza dei luoghi immaginari che ogni lettore sicuramente potrebbe vivere in modo personale, con tutti i piacevoli spunti che l’autore fornisce come un pittore che illustra il suo dipinto. Potremmo scrivere che esistono elementi di un fantasy con forti echi classici, con evidenti rimandi alla lingua elfica di Tolkien, potremmo dire che tutto sembra già letto, visto e vissuto, ma non dopo aver letto Il Gioiello Del Gilhun, non dopo aver letto fino all’ultima parola della conclusione.
Il gioiello del Gilhun, un estratto dal prologo del romanzo
L’ultima stella dorata solcava le vie dell’infinito per cadere su un piccolo mondo, su un minuscolo pianeta creato dall’Ordine.
Scombinare e sbilanciare qualcosa di ordito e meraviglioso era compito del Caos che, pur avendo meno poteri dell’Ordine, cercava di riempire l’immenso con una disordinata dispersione di frantumi, di esplosioni improvvise e deleterie per i globi luminosi. Ma Ordine si affaccendava continuamente per ricreare e riempire quel vuoto di luci, di fonti benevole che avevano un senso e giusta disposizione cosmica sull’immenso… come fu all’origine, quando tutto era solo luce, solo un’abbacinante e incommensurabile biancore da cui nacquero entrambi, l’uno per coesistere con l’altro.
Fu nell’indefinito tempo dei grandi spazi siderali, che Caos infranse gli equilibri riuscendo a concretare la sua più grande creazione: un nulla di sola oscurità.
Si doveva porre fine a quegli scompensi e Ordine considerò che sarebbe stato un conflitto eterno e che mettere un fermo a tutto sarebbe stato drastico.
Fu così che nell’oscurità, Ordine, generò un astro, una meravigliosa stella dalla luce dorata, diversa dalle altre, più luminosa, più forte perché amalgamata ai frammenti del Caos stesso. Dove ci fosse stato quel corpo celeste, le creazioni di Ordine sarebbero state inviolate, perché la Distruzione temeva profondamente quella parte di sé riordinata e rielaborata secondo concetti di luce, capaci di demolirlo e consumarlo nel suo stesso Nulla, per sempre. Ordine avrebbe deciso di desistere soltanto nel momento in cui Caos avrebbe fatto lo stesso, e perché questo avvenisse, aveva lasciato alcuni splendori nell’immenso, gli bastava quel poco, purché Caos non continuasse a disintegrare.
Così, stanco, Ordine mutò in una forma e ripose gran parte dei suoi poteri in un piccolo mondo popolato da creature viventi, dotate di grande fascino e meraviglia, dalle uniche cose che Caos non poteva ancora distruggere.
Niente comunque sarebbe rimasto mai immutato e questo Ordine lo sapeva, infatti, era nelle sue creature che aveva riposto le speranze. Le aveva dotate di capacità affinché potessero proteggere il piccolo mondo e riprodursi autonomamente. Stava in questo la soluzione allo scontro eterno, era la stella dorata che sarebbe scesa su quel piccolo pianeta, nel caso in cui l’oscurità e la distruzione avessero fatto breccia discrepando quella luce benevola.
Mentre il piccolo mondo si accompagnava con una luna girando intorno a un sole, Ordine riposava col suo splendore chissà dove. Caos invece cominciava a tarlare l’atmosfera del piccolo pianeta, per arrivare a fondo, per scovare i poteri del suo nemico e combatterli con le stesse armi, con esseri piccoli e distruttori; esseri informi e mutanti contro piccole creature generatrici. Il pianeta era ricco di acqua ma soprattutto di terra, e su una in particolare, Ordine, aveva dato il meglio di sé rendendola incantevole. Era lì che puntava l’oscuro Caos, sapendo che lì era caduta la stella: la sua distruzione.
Delindyr era il nome della terra incantevole, mentre Grande Foresta era la zona in cui un albero fu colpito da un fulgore accecante. Sguardi increduli avevano visto piombare la sfera di luce dal cielo, ma nessuno l’aveva vista cadere e fondersi dentro la cavità del tronco, dove aleggiava un globo luminoso e pulsante.
L’albero era invaso di luce e la stella cercava di creare il suo posto nella creatura vivente, si effondeva nella linfa e nelle arterie nodose dei rami robusti e delle foglie palmate, si poneva come fosse un cuore, s’incorporava dentro la corteccia per non esplodere a contatto con l’aria. Da un foro creatosi per l’impatto, colava un metallo liquido dal colore luminoso, come quello dell’acqua al chiaro di luna.
Fu quando l’argento attirò lo sguardo di una creatura lupesca, che l’astro fu trovato nel cuore dell’albero.
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