Edito da Pubme nel 2020 • Pagine: 349 • Compra su Amazon
Quarta di copertina:
“I regni cadranno uno dopo l’altro, le città verranno saccheggiate, i villaggi bruciati e le genti moriranno per carestie o pestilenze, ma il commercio, amico mio, resisterà a ogni rovina”.
È una fresca mattina dell’anno del Signore 1238 e la vita di un umile uomo timorato di Dio, della sua giovane moglie e del loro primogenito, stanno per cambiare.
Inganni e rapimenti, omicidi premeditati e laidi tradimenti, battaglie navali e congiure all'ordine del giorno, mari ignoti e pericolose bufere di neve. L'Islanda è nel caos: non c'è pace per i feroci casati islandesi che si contendono il predominio dell'isola, da anni vessata dall'anarchia. Nemmeno l'Irlanda è sicura, invasa dagli anglonormanni e seviziata da signori gaelici dalla mente contorta e attorniati da cavalieri rinnegati. Un'antica leggenda, riportata su un vecchio codice miniato, sembra essere l'unica via di salvezza per sopravvivere alle crudeltà di uomini senza scrupoli e avidi di potere.
Cosa attende a chi si avventura nell'oscura terra della morte?
– Oggi inizia il tuo apprendistato, Valgard!- esclamò, indicando la meta che si intravedeva da prua apparire oltre la coltre di nebbia.
Puzza di pesce e sterco di gabbiano, aromatizzati dall’olezzo del pantano, il tutto imbevuto di birra e permeato del profumo di spezie. Questa era Cork, nell’Irlanda sud-occidentale, o almeno appariva di primo acchito.
Un antico forte vichingo, eretto a ridosso di un monastero cristiano, in un punto acquitrinoso dove il fiume Lee formava una serie di corsi d’acqua, frammezzati da isolotti paludosi, che sfociavano nel mare. Trasformatosi col tempo in una delle più rinomate stazioni commerciali del regno di Desmond, in mano ai membri della secolare dinastia gaelica dei MacCarthaigh.
Un emporio che risentiva ancora della coesione avvenuta tra i primi colonizzatori vichinghi e i monaci irlandesi, visibile per lo più sulle piattaforme rialzate d’argilla sopra le quali comparivano le abitazioni più vecchie. Un’antica trovata vichinga utilizzata per insediarsi tra le paludi del posto e commerciare con il monastero di San Finbar, attorno al quale si era strutturata l’intera città attraverso una rete di stretti vicoli, dotati ai margini di scarichi foderati in legno che permettevano il drenaggio di acqua piovana e rifiuti verso il fiume, ma al contempo causa della diffusione di epidemie.
Vicoli, questi, che si diramavano ad angolo retto dalla strada principale, che divideva Cork in due zone distinte lungo un asse nord-sud, dirimpetto la quale si affacciavano le botteghe artigianali e le abitazioni dei negozianti.
Una gabbia di matti gestita da una ventina di famiglie di mercanti, alle quali, data la loro ricchezza, era affidata la manutenzione delle mura cittadine e degli edifici pubblici in prossimità della palude, colpevole, assieme al flusso e riflusso della marea fluviale, dei cedimenti e il deterioramento della loro integrità strutturale.
Cork partoriva lupi di mare ad ogni ora del giorno. Si imbarcavano verso l’ignoto controvoglia, o a causa di taglie sulla testa, sulle navi dalla forma più svariata ormeggiate al porto cittadino, la maggior parte delle quali trafugate del loro carico quando la nebbia calava sul molo.
Se i postriboli fossero stati chiusi, non si sarebbe potuto che trovare i marinai, costantemente ubriachi, nelle taverne portuali.
Nel giorno stabilito per la fiera mercantile si udivano i battibecchi di commercianti incalliti, privi di umorismo, che affollavano le piazze del borgo.
Pescatori e cacciatori di foche sembravano possedere un’energia senza eguali, dal momento che erano animati da una fretta sovrumana.
Un mondo caotico, nuovo, allucinante agli occhi di chi, come Valgard, era abituato a vivere nei piccoli, silenziosi e rurali villaggi islandesi, dove il tempo procedeva a rilento, ritmato dai rintocchi delle campane dei pochi villaggi dotati di cappelle, dagli schiocchi prodotti dagli instancabili spaccalegna o dallo sciabordio del mare.
A Cork, invece, città di circa duemila abitanti, sembrava che il tempo non si fermasse mai. Nemmeno la notte, durante la quale l’emporio si trasformava nella reggia delle prostitute e nella corte dei caricatori e degli scaricatori di porto, costretti a lavorare a un ritmo disumano affinché i mercantili salpassero il più presto possibile. Era infatti chiaro ad ogni mercante che ci si doveva arrestare nelle città solo il tempo necessario per concludere nuovi affari e stipulare fantasiosi contratti.
Nessuno, nonostante gli fosse riconosciuto il permesso di residenza permanente, grazie al quale poteva mantenere continuativo il flusso degli affari, era difatti così sciocco da fermarsi più del dovuto, volendo evitare di pagare le tasse d’ormeggio e quelle di commercio ai ministeriales del signore di Cork, eludere i loro fastidiosi controlli e tenersi il più lontano possibile dalle lotte intestine che si combattevano nell’entroterra.
A differenza di quello che era cent’anni prima, ovvero un insediamento costituito da un pugno di baracche di legno sopraelevate, Cork era stata fortificata con una cinta muraria di sei metri in pietra calcarea e arenaria, dotata di sedici torri di guardia. La natura circostante bonificata, permettendo agli abitanti e ai monaci di estendere la coltivazione dei campi sulle colline vicine, sebbene il suolo su cui poggiavano le fondamenta della città stessa rimanesse ancora stagnante.
Un ponte di legno, chiuso alle estremità da due cancelli, collegava l’isolotto meridionale a quello settentrionale assegnato ai mulini ad acqua del monastero, attraversando un largo canale fluviale che, fiancheggiato da banchine, fungeva come porto dove i mercantili attraccavano una volta entrati in città.
Un ingegnoso sistema di chiuse, porte sull’acqua e carrucole, infatti, permetteva alle navi che si incanalavano nella foce del Lee ad entrare nella stazione commerciale, che poteva pertanto serrare il passaggio via mare a chiunque, qualora ne fosse stato necessario. Due alte torri di pietra erano state erette a difesa dell’ingresso portuale, garantendo all’intero complesso una protezione continua da possibili attacchi dal mare.
Ma non era dalle genti del mare che bisognava difendersi, bensì dagli ostili cristiani che vivevano nell’entroterra.
Resa una signoria feudale alle dirette dipendenze del re dell’Anglia, l’Irlanda era tuttavia stata abbandonata a sé stessa e come in ogni terra dove non vige l’ordine, gli uomini di potere erano diventati belve feroci.
Come è nata l’idea di questo libro?
È il primo volume della saga storico-familiare Figli del mare (incentrata sulle peripezie di una stirpe di navigatori legati alla scoperta dell’America: un’avventura ambientata tra la prima metà del Duecento e il XVIII secolo) ma non lo è sempre stato: originariamente, infatti, avevo suddiviso l’intera saga in tre libri, banalmente definiti “parte prima” (Medioevo), “parte seconda”(Rinascimento) e “parte terza”(Età moderna), senza badare alla loro rispettiva e spropositata lunghezza! Lavorando con l’editor della collana editoriale Io Me Lo Leggo, ci si accorse che era necessario alleggerire il primo romanzo da pubblicare, così fu suddiviso in due parti, ma questo ancora non bastava… Con la dovuta rielaborazione, sembrava che i primi tre capitoli fossero perfetti per trasformarsi nell’inizio turbolento dell’intera saga! Armatomi di pazienza, li allungai nell’arco di un’estate e il romanzo che ne uscì fu orgogliosamente battezzato Il mercante del nord. Lo spunto per scrivere Figli del mare nacque in una bellissima libreria romagnola anni fa, quando, non trovando un romanzo storico che mi soddisfacesse, decisi di rimboccarmi le maniche e scrivere da me ciò che stavo cercando. Sono appassionato di romanzi storici e d’avventura e quel fatidico giorno ero entrato in libreria alla ricerca di qualcosa che avesse a che fare con i vichinghi, i mercanti, i cavalieri, i monaci cristiani, i Templari, i soldati di ventura, i conquistadores, i moschettieri, i corsari e i pirati, qualcosa che fosse ambientato tra il Medioevo e l’Età moderna: periodo in cui, di fatto, ho strutturato l’intera saga dei Figli del mare. E’ un lungo e avventuroso viaggio nel tempo, che catapulterà i lettori in circa sette caotici secoli di storia…
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Difficile, lo ammetto, ma divertente e istruttivo! Gli studi inerenti al periodo storico che fa da sfondo a Il mercante del nord e le fonti originali (per lo più saghe norrene), su cui mi sono basato per scriverlo, sono prevalentemente in lingue nordiche e raramente tradotti in inglese, quasi introvabili nelle biblioteche universitarie italiane e sparsi senza ordine nei meandri del Web. Sommergendomi di libri, carte geografiche, fotocopie, etc., ho fatto ricerche su ricerche, letto saggi storici, trattati, articoli, tesi e pubblicazioni archeologiche su tutto ciò che potesse riguardare la poco conosciuta Epoca degli Sturlungar, i norreni, l’arte de la mercatura e la navigazione nel Medioevo, arrivando a muovere amici, parenti e colleghi universitari per la ricerca di certe fonti apparentemente introvabili. Conscio dell’immane lavoro intrapreso per documentarmi, ho voluto aggiungere delle note a piè di pagina per spiegare certi termini norreni utilizzati e diverse pillole storiche che possono dare al lettore una visione a 360° delle varie scene. Inoltre, il lettore interessato ai temi trattati, o semplicemente incuriosito dal mondo, poco noto, in cui l’ho catapultato, a fine libro troverà una breve descrizione delle navi menzionate; le unità di misura commerciali norrene e alcuni tassi di scambio del baratto islandese del XIII secolo; l’elenco di località e delle merci principali commerciate nel Basso Medioevo e, infine, i titoli di alcuni saggi e trattati da me consultati.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono gli antichi. Non posso che ringraziare coloro che ci hanno preceduto: greci e latini, medievali e rinascimentali. È dalle loro opere che traggo gli spunti migliori, ma ora che ci penso, ogni opera che consulto mi aiuta a migliorarmi, qualsiasi sia l’autore, o il genere preso in considerazione.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Frequento la facoltà di Archeologia all’Università di Padova, città dove sono nato e dove abito tutt’ora.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono impegnato nella stesura della lunga saga dei Figli del mare: considerando che l’epopea della famiglia protagonista avrà fine nel Settecento e che il secondo romanzo della saga, la cui uscita è prevista per Ottobre 2020, è ambientato nella seconda metà del Duecento, ho ancora numerose pagine bianche da riempire e altrettanti capitoli da rielaborare! Tuttavia, i Figli del mare non sono che una minima parte dei progetti letterari che ho nel mio straripante cassetto. A giugno 2020 ho pubblicato un giallo, Il caso Baronov, i cui lettori mi implorano di scriverne un secondo. Ho rielaborato il mondo fantasy che inventai a 15 anni e sto progettando di trarne una nuova saga (a fumetti, perché no?) e come se non bastasse, continuo a scrivere racconti, poesie e iniziare nuovi romanzi (storici, d’avventura, thriller, fantascientifici) ogni volta che non ho idee per continuare/concludere tutti gli altri, che si accavallano e mescolano tra loro senza sosta alcuna nel mio cervello, nel computer, o nel mio taccuino degli appunti. La cosa buffa è che oltre a questo ho da scrivere anche la mia tesi di laurea… Potrebbe uscirne un bel libro: Quel matto che non smetteva mai di scrivere.
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