Edito da EDIZIONI MONTAG nel 2020 • Pagine: 306 • Compra su Amazon
Stefano Re ha chiuso col passato. Questo pensa mentre va al lavoro presso il centro Dionisio, una comunità per tossicodipendenti dove opera come educatore. Ha una bellissima moglie, è padre, ha un lavoro che ama e che lo fa sentire utile... Tutto è dimenticato di quel passato marcio e devastante fatto di droga, di incontri clandestini di pugilato gestiti dalla malavita, belle donne e una città, Milano, ai piedi di Stephen Irish Rex, il nome col quale Stefano era diventato campione indiscusso. Ma il passato ha la brutta abitudine di tornare, soprattutto quando ci sono conti da saldare e debiti da onorare.
I tre uscirono dalla villetta felici e leggeri come degli adolescenti, cantando a squarciagola nel tardo pomeriggio primaverile una canzone di Battisti, chissà perché poi.
‘E ho nell’anima in fondo all’anima
Cieli immensi e immenso amore
E poi ancora ancora amore e amor per te..’
Milano a quell’ora era bellissima e sembrava lo scenario ideale per le grandi imprese.
Stonati come ubriachi, fecero a gara per infilarsi nella berlina nera che questa volta attendeva davanti alla villetta in vicolo dei Lavandai per poi sfilare lucida come uno squalo tra le persone che si scansavano cercando a un tempo di vedere, oltre i vetri oscurati, quale vip vi si celasse dentro.
‘Dopo circa un’ora arrivammo in piazza Castello, ubriachi chi di whiskey e chi come me di aspettative. Non vedevo l’ora di scaricare tutta l’adrenalina che mi sentivo in corpo. Mi sentivo come se fossi stato fatto ma, chiaramente, non avevo toccato nulla prima dei match.
Guardavo la città scorrere sui vetri e mi godevo l’atmosfera serena che riempiva l’auto, con Gabriele e Salvo che scherzavano e ridevano tra loro e con me.
L’auto fece il giro della piazza e si fermò davanti a un grande palazzo da signori, quindi scendemmo e a quel punto nessuno di noi scherzava più. C’era un’atmosfera importante, la si sentiva chiaramente nell’aria.
Salvo si aggiustò con attenzione la giacca con un gesto veloce poi puntò diretto verso un portone seguito dall’autista e con noi due a ruota.’
Piazza Castello avvolgeva in un abbraccio semicircolare le grandi mura rosse della Rocca degli Sforza, il cui ingresso regale faceva bella mostra di sé oltre la grande fontana zampillante.
Era un luogo evocativo che attirava ogni anno migliaia di turisti da tutto il mondo.
Dopo aver digitato alcune cifre sul citofono elettronico e dato a voce la parola d’ordine, Salvo guidò il gruppo nel grande cortile padronale che si apriva dopo il grande ingresso in pietra per poi svoltare sulla destra e proseguire costeggiando il muro fino a una scaletta di circa dieci scalini che portavano verso il basso a una porticina nera davanti alla quale era appostato un uomo della sicurezza.
L’uomo riconobbe Salvo e si fece da parte dopo aver battuto quattro colpi sulla porta, che fu aperta da qualcuno all’interno.
Adesso sì che Stephen e Gabriele riconoscevano elementi essenziali del mondo delle serate: sicurezza, palazzi labirintici e come sempre uno scantinato di merda dal quale fuoriusciva musica, grida, risate e quella puzza inconfondibile di chiuso, sudore e profumi costosi.
I gladiatori erano arrivati a casa.
Dopo aver sceso alcune scalette nel buio Salvo raggiunse e scostò un grande tendone di velluto nero permettendo agli altri di vedere un enorme salone gremito di gente, illuminato a giorno da faretti tipici delle scuole di teatro disposti in modo coreografico lungo punti studiati del soffitto. Sul fondo del locale, oltre la folla, era stato allestito l’immancabile bancone del bar con liquori e vini costosi al quale alcuni camerieri attendevano in livrea per accontentare gli avventori presenti.
Lungo il lato lungo di destra erano stati disposti una decina di tavolini, posti sceltissimi e occupati solo dall’elite delle serate di lotta alla quale appartenevano organizzatori, padroni delle scuderie più in vista e grandi scommettitori con i loro ospiti. La maggior parte dei tavolini era già stata occupata mentre Stephen seguiva Salvo e Gabriele tra la le decine di spettatori presenti, che urlavano e facevano il tifo per i due atleti che stavano già combattendo al centro del salone.
Il match doveva essere iniziato da poco perché, mentre scendevano le scale, Stephen aveva sentito della musica e questa era consentita solo per presentare gli atleti, mentre durante la lotta l’unica soundtrack presente in sala era quella creata dalle urla del pubblico.
Gli atleti più bravi potevano persino scegliersi una marcia d’ingresso come si usava nel mondo della boxe e Stephen, che era uno dei nomi più in voga, entrava sulle note di Lose Yourself di Eminem.
Come ogni sera Stephen raggiunse uno stanzino adibito a spogliatoio dove era già stato portato da qualcuno il borsone contenente la sua divisa da combattimento color orca, bianca e nera come la prima volta, pulita e profumata.
Dopo essersi cambiato scambiò qualche colpo di riscaldamento con Gabriele mentre Salvo li osservava inquieto. Era talmente teso che non stava nemmeno fumando il suo sigaro.
‘Tutto ok, capo?’
‘Sì, Stephen, sono solo un fan in attesa di veder scendere in campo il proprio campione preferito.
Tutto qui.
Non ci si abitua mai a questo sport. Ci vuole un attimo a entrarci e non basta una vita per uscirne.’
‘È proprio così, capo.’
Stephen scaricò ancora una serie di colpi veloci che frustarono l’aria, sentendo il sangue che irrorava i muscoli a nuovo e guizzi di adrenalina correre lungo le gambe. C’era, c’era, c’era, sentiva che c’era ed era vivo, sano, giovane e pieno di forze.
Era tutto bellissimo, visto da lì.
Era il più forte, il più forte, il più forte.
‘Signori, tocca a voi.’
Un uomo dell’organizzazione fece capolino nello spogliatoio invitando il gruppo a raggiungere il salone. Salvo si fece se possibile ancora più serio in volto quindi si avvicinò a Stephen e stringendo le mani a pugno toccò i pugni del suo campione come si usava fare all’inizio di un match mentre i loro occhi si incrociarono per un lungo istante.
Qualunque fosse la battaglia di Salvo per quella sera non sarebbe stata combattuta solo sul ring.
A un tratto il racconto si interruppe. Elia e Nicole si trovarono nuovamente seduti nel grande giardino della Dioniso mentre Stephen guardava divertito qualcosa alle loro spalle.
Sharon non sembrava condividere lo scherno del compagno e guardava Nicole come a chiederle quale fosse l’emozione corretta da provare in casi come questo.
Quando Elia si voltò vide una scena alla quale ormai si era abituato da tempo; una donna sulla sessantina dormiva profondamente a pochi metri da loro, il che non sarebbe stato un problema di per sé.
Il fatto è che Marisa, così si chiamava, stava dormendo in piedi nella posizione di chi si china per raccogliere qualcosa da terra o per allacciarsi le scarpe. Indossava ampi abiti di foggia indiana-new age dalle tinte sgargianti e in questo momento la camicetta di cotone bianco le ricadeva sulla testa lasciando scoperta la schiena, mentre i capelli ricadevano bianchi e lisci sull’erba morbida.
Marisa, come alcune eroinomani di lungo corso, era in grado letteralmente di spegnersi tutto a un tratto qualunque cosa stesse facendo e in qualunque posizione umanamente concepibile; Elia l’aveva vista dormire mentre lavava dei vestiti nel lavandino, a tavola con la tazzina di caffè alla bocca, ritta in piedi nel giardino, persino mentre tentava di prendere un libro dallo scaffale più alto della biblioteca.
Gli ricordava i calchi di gesso di Pompei, tante erano le forme che poteva catatonicamente assumere. E in effetti Marisa era in comunità da tanto di quel tempo che poteva essere entrata lì al tempo dei Romani, per quello che ne sapeva.
Ma come potesse addormentarsi così era per lui un mistero.
‘Ok, vado io ma aspettatemi.’
Elia si alzò velocemente e raggiunse Marisa, poi le parlò con dolcezza all’orecchio sfiorandola appena su una spalla finché a poco a poco la paziente non riemerse da qualche zona oscura della mente dove si era rifugiata.
La donna si rizzò piano piano sulla schiena poi si riassestò i vestiti e, dopo essersi levata i capelli dalla faccia, guardò Elia dritto negli occhi.
‘Che c’è? Mi stavo allacciando le scarpe. Non si può?’
Elia tornò al tavolo scuotendo la testa divertito, quindi si versò un altro caffè prima di offrirlo al resto del gruppo. Solo Stephen ne accettò un po’, ringraziando a denti stretti.
Nel mondo dei tossicodipendenti era tutto al contrario.
‘Dove eravamo rimasti?’
Nicole cercò una nuova posizione sulla panca, guardando i due pazienti con viso aperto e franco.
Sharon ricambiò lo sguardo con un sorriso mentre Stephen riprendeva il racconto da dove lo aveva lasciato. Un attimo dopo si trovarono di nuovo tutti a bordo ring.
‘Allora, esco dallo spogliatoio e raggiungo la sala passando nella solita foresta di mani che mi toccano sulle spalle e sulla schiena con pacche di incoraggiamento e tra decine di volti che si confondono tra loro, sempre la stessa ressa ogni volta, ci sono abituato. Nel frattempo in sala inizia la mia musica, la mia marcia trionfale, capite, e il cuore inizia a battere al ritmo della canzone.
Sono tutti lì per me, per vedere Stephen Irish Rex, l’imbattuto e imbattibile campione delle serate di lotta clandestina.’
La musica salì di intensità fino a coprire le urla degli spettatori e di chi stava giocando le ultime scommesse sull’incontro che stava per cominciare.
‘Yo
His palms are sweaty, knees weak, arms are heavy
There’s vomit on his sweater already, mom’s spaghetti
He’s nervous, but on the surface he looks calm and ready…’
Stephen emerse da quella fitta giungla fatta di corpi, mani e braccia raggiungendo lo spiazzo vuoto al centro del salone. La pelle del busto era resa lucida da un sottile strato di sudore e muscoli veloci guizzavano mentre scioglieva le braccia con movimenti rapidi; negli anni aveva collezionato un numero imprecisato di tatuaggi che adesso adornavano quel corpo muscoloso come se appartenesse a un guerriero maori del passato o a un uomo della yakuza giapponese.
Draghi, concubine orientali, carpe, maschere del teatro tradizionale cinese e di quello Nō del Giappone, nomi, ideogrammi e numeri si mescolavano tra loro creando un insieme di grande impatto visivo il cui significato generale e specifico era noto solo a Stephen. Si poteva persino intravedere il simbolo della catena di caffetterie Starbucks e un primo piano, dietro il braccio destro, di Ian Solo e Wolverine che si davano la mano con fare virile. Sui pettorali un dragone e una carpa tendevano l’uno verso l’altra come le mani di Dio e Adamo nella Creazione mentre la pelle sugli addominali era rimasta vergine, carta bianca per futuri capolavori mentre la schiena era interamente occupata da un grande samurai in stile stampe giapponesi che guardava il mondo con espressione truce reggendo la propria spada.
Di certo, anche solo a livello di immagine, faceva sul ring una certa figura. Un corto pizzetto scuro gli incorniciava il volto conferendo un aspetto severo e più maturo e spezzando la linea pulita della testa rasata di fresco.
He’s chokin’, how, everybody’s jokin’ now
The clocks run out, times up, over, blaow!
Snap back to reality, oh there goes gravity
Oh, there goes Rabbit, he choked
He’s so mad, but he won’t give up that easy? No…’
Strinse i pugni per verificare la bontà delle fasce intorno ai polsi e alle dita poi girò il collo sul suo asse un paio di volte verso destra e poi a sinistra, infine con due rapidi movimenti delle gambe constatò che ogni elemento del suo corpo rispondesse alle aspettative; si sentiva come un pilota che controllava il suo aereo prima del decollo.
Sciogliti uomo sciogliti.
‘Signore e signori è il vostro comandante che vi parla, siamo pronti per decollare…’ pensò sorridendo.
You better lose yourself in the music, the moment
You own it, you better never let it go
You only get one shot, do not miss your chance to blow
This opportunity comes once in a lifetime
You better lose yourself in the music, the moment
You own it, you better never let it go
You only get one shot, do not miss your chance to blow
This opportunity comes once in a lifetime you better…
Nei combattimenti clandestini il ring era uno spazio virtuale delimitato non dalle corde bensì dai corpi stessi del pubblico che si muovevano intorno al combattimento come quegli stormi di uccelli che talvolta si vedevano volare compatti nel cielo sopra Milano, decine e decine di forme scure che insieme formavano una sorta di nuvola nera che si spostava nel cielo con una precisione infinita e cambiava la propria configurazione senza perdere densità. Allo stesso modo le persone intorno ai due lottatori potevano assottigliarsi e spostarsi di lato se questi avanzavano verso di loro e necessitavano di più spazio per poi riprendere la posizione originale una volta che la lotta si fosse spostata di nuovo verso il centro. L’ambiente intorno ai due atleti era una realtà plastica e dinamica che rispondeva coralmente agli assoli della lotta.
Stephen cercò con lo sguardo i propri punti di riferimento in quella massa di sconosciuti mentre continuava a mantenere il corpo caldo con movimenti precisi in attesa del suo avversario; ecco Gabriele, in piedi al limitare del ring con una lattina di birra in mano. Bene.
Chiuse gli occhi un momento, concentrandosi su una delle sue strofe preferite della canzone.
‘The souls escaping, through this hole that it’s gaping
This world is mine for the taking
Make me king, as we move toward a, new world order
A normal life is boring, but super stardom’s close to post-mortem…’
Il mondo era suo e lo stava conquistando incontro dopo incontro.
Quando li riaprì per prima cosa vide Salvo, seduto a un tavolino con altra gente. Bene due volte.
La famiglia era presente.
Salvo stava indicando Stephen con una certa enfasi a un vecchio corpulento che aveva tutta l’aria di un boss di prestigio, circondato com’era da tre guardie colossali che stavano ritte in piedi alle sue spalle.
L’uomo indossava un paio di occhiali da sole scuri su un volto rotondo incorniciato da una rada barbetta bianca e una fronte ampia accentuata da una calvizie incipiente che aveva risparmiato solo pochi capelli disposti sui due lati della testa.
Vestito in modo elegante e costoso sedeva sulla sedia appoggiando la mano destra su un prestigioso bastone da passeggio dalla testa in oro a forma di animale mentre con la sinistra reggeva una sigaretta inserita in un bocchino nero, che ogni tanto portava alla bocca con modi affettati.
‘No more games, I’m a change what you call rage
Tear this motherfuckin’ roof off like two dogs caged
I was playin’ in the beginnin’, the mood all changed
I been chewed up and spit out and booed off stage…’
Ma fu quello che Stephen vide al suo fianco a dargli un brivido, solo per un attimo, talmente veloce che in seguito si chiese più volte se lo avesse sperimentato davvero o fosse stato semplicemente un parto della sua mente.
Una giovane ragazza asiatica stava in piedi vicino al boss appoggiandosi a lui con un braccio.
Sembrava in ascolto di quello che stava dicendo loro Salvo ed era girata di tre quarti rispetto a Stephen, che poteva liberamente osservarla senza tema di essere visto.
La ragazza indossava un aderente vestito rosso firmato che mentre ne cingeva il corpo sottile ne esaltava allo stesso tempo le forme, con uno spacco generoso che scopriva una delle gambe all’altezza della coscia mentre scendeva fino alla caviglia sull’altro lato.
Quando Salvo indicò nuovamente Stephen lei girò semplicemente la testa, incrociando gli occhi di lui da sopra la spalla nuda mentre i capelli neri e lisci scendevano fluenti lasciando in ombra metà del volto.
Stephen per un attimo si sentì agganciare da occhi neri come ossidiana e profondi come pozzi di petrolio e sentì il cuore perdere un battito.
Lei ruppe l’incanto girandosi nuovamente verso Salvo per regalargli un sorriso discreto annuendo con la testa chissà per cosa.
‘See dishonor caught up between bein’ a father and a prima donna
Baby mama drama screamin’ on and Too much for me to want to Stay in one spot,
another day of monotony Has gotten me to the point, I’m like a snail
I’ve got to formulate a plot fore I end up in jail or shot
Success is my only motherfuckin’ option, failures not
Mom, I love you, but this trail has got to go
I cannot grow old in Salem’s lot
So here I go is my shot.
Feet fail me not ‘cause maybe the only opportunity that I got
You better lose yourself in the music, the moment
You own it, you better never let it go
You only get one shot, do not miss your chance to blow
This opportunity comes once in a lifetime… Yo!’
Come è nata l’idea di questo libro?
Il libro nasce dalla mia esperienza come educatore di comunità ed educatore di strada a Rogoredo, ma anche dal mio amore per la città di Milano, che ritraggo sullo sfondo della vicenda nei posti che per me hanno più significato, dal Duomo con le sue terrazze ai Navigli, dal quartiere Casoretto con la sua chiesa rossa ai grattacieli di Gae Aulenti. In primo piano due ragazzi, un pugile e un ex modella, e una vita tutta da costruire.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Una volta che ho avuto chiara in mente la sinossi del libro, si è scritto da solo. Potevo vederlo scorrere come un film e mi sono limitato a metterlo giù, scena dopo scena.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
In questo momento il mio autore di riferimento assoluto è Karl Ove Knausgard, con la sua Battaglia, ma anche Thomas Bernhard, al quale il libro si ispira. È dal suo testo ‘La cantina’, secondo libro dell’autobiografia in cinque volumi, che nasce il titolo In direzione opposta. Non posso non citare Proust, Mann, D’Annunzio (per la poesia) e il Dostevskij di Delitto e castigo, opera alla quale faccio accenno anche nel libro.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Attualmente vivo a Milano, nel bellissimo quartiere di Casoretto. Sono nato e cresciuto in Liguria, nel Tigullio, e più precisamente a Lavagna. Mi sono trasferito a Milano diversi anni fa, qui mi sono sposato e ho avuto due bellissimi bambini, qui lavoro come educatore in diverse realtà.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Spero di poter continuare a raccontare storie, è il sogno di una vita. Vivere per raccontarla.
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