Edito da Lorenzo Bailo Simone Vercesi e Matteo Visconti nel 2020 • Pagine: 332 • Compra su Amazon
Italia, prima metà del XIV secolo. In un monastero da qualche parte tra le colline della Toscana, otto mercenari hanno ricevuto un nuovo incarico. Una giovane donna, una levatrice, probabilmente figlia bastarda di un priore, è stata accusata di stregoneria e, da lì a qualche giorno, verrà giustiziata: sarà loro compito proteggerla.
Una paga facile, un lavoro come tanti altri prima, ma in una piovosa giornata primaverile, con gli stivali che affondano nel fango, uno scontro armato, un inquisitore morto e un compagno ferito, costringono i cavalieri, la donna e tutta la sua famiglia a una fuga disperata da un esercito che, presto o tardi, gli sarà addosso.
La morte di un compagno incide un solco profondo nel morale del gruppo; Luca, uno dei membri di più vecchia data, accecato dal dolore mette a rischio un incarico che esige un costo sempre più alto per essere portato a termine.
Decidere del destino di Luca rischia di dividere definitivamente i cavalieri rimasti e rendere del tutto impossibile quella che già era diventata una missione ostica.
Guido, esperto capitano, si trova infine di fronte ad un’ultima scelta: sacrificare le vite dei propri compagni o quella di una famiglia innocente.Attraverso gli occhi degli otto protagonisti, traspare un lato umano: con i loro difetti, le loro paure e i sentimenti che abbattono le barriere del tempo, otto mercenari, soldati, cavalieri, si mostrano non così diversi da noi, uomini comuni.
Il messaggero ci disse che con il ritardo accumulato avremmo raggiunto il villaggio nel tardo pomeriggio. E così fu. Peccato che lo fece anche l’Inquisizione. Anzi, a voler essere precisi arrivarono un attimo prima di noi, giusto il tempo per presidiare la zona. Erano circa una dozzina, forse quindici, non lo ricordo con esattezza. Tra loro c’erano anche un paio di brutti ceffi che dovevano essere mercenari locali assoldati per avere informazioni precise sul posto, e all’occorrenza potevano spaccare anche qualche osso: dall’aspetto che avevano non sembrava avessero problemi in proposito.
Quando arrivammo avevano già messo in ceppi la donna con la sua famiglia, ma li tenevano ancora dentro la loro stessa casa mentre si preparavano ad interrogarli e, ovviamente, a torturarli fino a fargli sputare una qualche assurda confessione.
La cosa migliore sarebbe stata aspettare la notte e attaccare col favore delle tenebre per sottrarre la famiglia all’Inquisizione col minimo sforzo e rischio possibile; prima di colpire avevamo solo una vaga idea di quanti fossero, dentro la casa poteva essercene uno come cinque, era un rischio alto, ma secondo Guido andava corso. Diceva che non potevamo aspettare che i torturatori si mettessero all’opera perché poi sarebbe stato molto più arduo liberare la famiglia, e comunque in chissà quale stato li avremmo trovati.
Con la pioggia che ricominciava a cadere ci sparpagliammo tra le casupole per attaccare da punti diversi; Guido e Roberto rimasero in sella, per colpire con velocità non dando tempo al nemico di raggrupparsi, noi altri a piedi, per cercare di aprire un varco e portare la famiglia fuori dalla casa; il messaggero andò a rintanarsi in qualche buco.
Mi portai sull’angolo di un piccolo edificio e sbirciai fuori, ma la pioggia battente limitava di molto la visuale. Vedevo solo due uomini a qualche passo da me che parlavano tra loro, avevano le spade infoderate: come era giusto presumere, non si aspettavano problemi, che guai avrebbero potuto arrecare una ventina di contadini? Ma avevano fatto male i conti.
Vidi i due uomini voltarsi di scatto e sguainare le spade e poco dopo udii il clangore dell’acciaio soffocato dallo scrosciare dell’acqua: i miei compagni dovevano aver attaccato anche se non riuscivo a vederli né sentirli, così voltai l’angolo e mi lanciai sui due uomini che si guardavano attorno sgomenti. Iniziai a correre verso i miei nemici e di abbatterli prima che potessero rendersene conto, ma il fango mi costringeva a movimenti lenti e impacciati, oltre che ad un ulteriore sforzo per staccare da terra i piedi, sommersi nella mota. Il fianco mi bruciava e, sotto il peso dello scudo, il dolore saliva fino alla spalla irradiandosi nel braccio. Arrivai a pochi passi da uno degli uomini giusto in tempo per vederli entrambi travolti e sbalzati a terra da Roberto che emerse a spron battuto dal muro d’acqua che cadeva dal cielo. Poi scomparve in una stretta viuzza con una risata profonda che si perse nell’aria spezzata dalla pioggia. Se fossi trovato solo di qualche passo più avanti avrebbe travolto anche me.
Calando la spada su uno dei soldati che arrancava, avvinghiato dalla melma fangosa che lo costringeva a terra, sentii una fitta al ventre, ma scacciai subito il dolore, ci avrei pensato dopo.
Mi diressi nel vicolo in cui era scomparso Roberto e arrivai in uno spiazzo dove lo scontro infuriava. Davanti a me uno dei due mercenari nemici giaceva riverso, inerte, nel pantano intriso di sangue che lentamente gli riempiva la bocca spalancata. Vidi Guido trascinato giù di sella e gettato nel fango, senza tema mi lanciai nella mischia e allontanai un soldato dal nostro capitano che subito fu in piedi, lordo di melma che colava sotto le grosse gocce di pioggia. Ad ogni colpo che si infrangeva contro il mio scudo temevo che a quello successivo non sarei riuscito ad alzare il braccio a sufficienza. La ferita mi doleva tanto da costringermi a stringere i denti al punto da sentir male alla mandibola.
Lo scontro fu duro e faticoso, ma riuscimmo a liberarci degli armati nemici. Durante il combattimento Cesare e Luca avevano messo in sicurezza la casa della famiglia uccidendo il soldato di guardia e gli unici due all’interno prima che, resisi conto del pericolo in cui si trovavano, potessero far del male ai nostri protetti.
Ora che non c’erano più nemici da affrontare mi lasciai vincere dal dolore e mi appoggiai al muro della casa, Alberto mi sorresse e aiutò ad entrare, facendomi sedere su una sedia. Il male che provavo era atroce, tanto da non lasciarmi quasi udire la voce di Guido che rassicurava la famiglia e spiegava il piano per portarli in salvo.
Giovanni subito si chinò di fronte a me per controllarmi la ferita ed entrambi ricevemmo una spiacevole sorpresa, anticipata dall’alone rosso sulla mia tunica: lo ferita che avevo sul fianco si era riaperta e aveva ripreso a perdere sangue. Subito il mio compagno usò la mia stessa tunica per tamponarmi la ferita mentre Cesare sfilava da una sacca le bende più asciutte e pulite che trovò. Il taglio era ampio e profondo e non si sarebbe richiuso con la sola pressione delle fasciature. Mi sentivo stanco e spossato, con lo stomaco in subbuglio e tutta l’acqua presa negli ultimi giorni non aiutava di certo.
Proprio mentre Giovanni diceva a Guido che dovevo essere curato e medicato, e la ferita andava chiusa in qualche modo – probabilmente con il fuoco –, Roberto entrò in casa senza troppe cerimonie trascinando un cadavere sudicio e infangato.
«Guido, abbiamo un problema.» disse con aria grave mollando la presa sul morto e lasciandolo cadere a terra, poco oltre l’uscio, facendo schizzare sui nostri stivali e sul pavimento un misto di acqua, sangue e mota.
«Che cazzo fai, Roberto?» sbottò Giovanni vedendo i bambini distogliere lo sguardo.
Roberto, senza prestare attenzione al rimprovero, girò il cadavere a pancia in su rivelandone il volto coperto di fango, «Guarda i vestiti…»
«Merda…» disse Giovanni tra sé.
«È un inquisitore.» proseguì Roberto.
Su di noi calò un cupo silenzio accompagnato soltanto dal martellare della pioggia, dall’ululare del vento e dallo scoppiettare del fuoco. Nient’altro.
Come è nata l’idea di questo libro?
In Extremis nasce inaspettatamente a Milano, in una mattina di fine 2009, durante il primo esame universitario di scrittura creativa. Avevo (Lorenzo Bailo) a disposizione quattro ore per ideare e scrivere un racconto; all’epoca non avevo ancora un computer portatile, così mi ritrovai a dover scrivere a mano. Passai le prime due ore e mezzo – abbondanti – a pensare, guardando un po’ il foglio bianco, un po’ fuori dalla finestra, un po’ i miei compagni che buttavano giù parole dopo parole. E io niente. Ma non ero preoccupato: ho sempre fatto così, finché non mi viene in mente la prima frase, non inizio a scrivere nulla. Alla fine arrivò: riempii circa sei pagine di caratteri quasi incomprensibili (Simone, il mio collega e coautore del libro sostiene che tutte le lettere che scrivo a mano siano assolutamente identiche tra loro) e riuscii a consegnare anche con qualche minuto d’anticipo. Usai quel racconto come base di partenza per la creazione di uno degli otto protagonisti del romanzo (inizialmente erano solo sette) e per definire l’arco narrativo degli eventi principali. Nel corso del tempo decisi che sarebbe stato un romanzo scritto a più mani e coinvolsi prima Matteo e poi Simone. Insieme rimettemmo completamente mano alla trama fino ad arrivare alla stesura finale.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non poco. Per via dei nostri rispettivi impegni prima scolastici e poi lavorativi ci furono molte pause nel lavoro, alcune anche piuttosto lunghe. Inoltre scriverlo a sei mani non ha certo aiutato. Tra il 2013 e il 2015 ci fu anche una completa riscrittura della trama che, in buona parte, ci costrinse a ripartire se non da zero, quasi.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Per me (Lorenzo) è una domanda piuttosto difficile: uno scrittore indubbiamente fondamentale è stato Robert Ervin Howard e non posso certo non citare Tolkien, anche se credo di essere piuttosto lontano dalla sua poetica. Autori da cui cerco di imparare sono Joe Abercrombie, Alan D. Altieri, Conn Iggulden, Andrzej Sapkowski, John Scalzi e molti altri. Lavorando in ambito video ed essendo grande appassionato di cinema, non nego che sono estremamente influenzato anche da molti sceneggiatori. Matteo, cresciuto amando Italo Calvino, è un avido lettore di fumetti, oltre che di romanzi, apprezza le pubblicazioni Marvel e Dark Horse Comics. Segue il lavoro di scrittori come Dan Abnett, James Rollins e William King. Simone apprezza particolarmente da poetica di Luis Sepúlveda per il modo in cui tratta i personaggi inseriti nei contesti narrativi di cui parla e per la forte connessione tra uomo e natura. Influenzato dagli scritti di Yukio Mishima è anche un grande appassionato dei romanzi di Douglas Adams.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Lorenzo è originario di Stradella, una cittadina in provincia di Pavia, ora vive a Milano. Simone è nato, cresciuto e vive a Santimento, una piccola frazione a due passi dal Po, in provincia di Piacenza. Matteo, originario di Broni (provincia di Pavia), si è trasferito a Piacenza, dove vive tuttora.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Da qualche tempo ci ventila nel cervello l’idea di realizzare delle raccolte di racconti, forse riprendendo alcune tematiche di In Extremis, ma sono tutte proposte poco più che embrionali. Nel futuro è piuttosto probabile che almeno alcuni di noi intraprendano una strada più solitaria, senza escludere assolutamente la possibilità di lavorare ancora insieme. Anzi.
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