
Edito da Delos Digital nel 2020 • Pagine: 107 • Compra su Amazon
Storia di una pandemia in real time: da #iorestoacasa alle conferenze stampa di Giuseppe Conte in diretta Facebook, fino a #ScanziLive. Un'analisi su come il lockdown di marzo 2020 ha cambiato per sempre il nostro modo di comunicare sui social.
Cosa abbiamo condiviso su Facebook, twittato, postato su Instagram durante il lockdown con l'hashtag #iorestoacasa?
Quali fake news abbiamo letto, in preda all'infodemia da Covid-19?
Quanto hanno inciso le conferenze live di Giuseppe Conte sul ruolo dei media tradizionali?
In social stat Virus cerca di rispondere a queste e altre domande, ripercorrendo il periodo italiano più drammatico, da marzo fino a giugno 2020.
In social stat Virus dimostra come il lockdown abbia rivoluzionato il mondo dei social e della comunicazione, scandendolo in tre fasi: anarchia narrativa, narrazione istituzionale e narrazione collettiva.
Infine, con la shit storm su Silvia Romano e l'omicidio in diretta di George Floyd, risponderemo alla domanda più discussa: il virus ci ha davvero reso migliori?

Prima di poter procedere nell’analisi, dovremmo provare a rispondere alla domanda: perché la cultura è stata così importante per i cittadini durante il lockdown?
Le risposte potrebbero essere le più disparate, ma credo che la motivazione si possa riassumere in un assunto che faccia da comun denominatore:
perché la cultura dà senso al vuoto ed al contrasto interiore.
L’attività intellettuale riempie il vuoto che, molto spesso, circonda l’esistenza dell’uomo. Anzi, proprio gli artisti sono tali poiché non solo cercano di tradurre in arte il loro “io” più interiore, ma soprattutto perché cercano di colmare aspetti, contesti, realtà precedentemente “vacanti” di “qualcosa”.
Dante Alighieri scrisse la “Commedia” durante il periodo più travagliato della propria esistenza e la scrittura fu per lui un modo per colmare e dare senso al suo vuoto esistenziale; Vincent Van Gogh iniziò a dipingere per dare senso alla sua lacerante anima tormentata; Pier Paolo Pasolini scrive e dirige i suoi film per raccontare l’uomo e la sua realtà allora vacante in ambito cinematografico.
La cura, le arti, hanno da sempre raccontato le “crisi” sia storiche che personali e sono state il frutto del loro tempo. Pertanto, in un tempo drammaticamente fuori dall’ordinario, costretto all’interno della propria abitazione l’uomo si è rivolto alle produzioni intellettuali del passato anche recente.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è venuta durante il lockdown, nella prima conferenza stampa di Giuseppe Conte. Quando ho visto che in TV veniva trasmessa la diretta dalla pagina Facebook del Premier ho capito che il mondo della comunicazione stava cambiando, probabilmente in modo radicale.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Molto. “In social Stat Virus” analizza sia l’interazione che i social hanno avuto con i vecchi media, ma anche la qualità dell’informazione stessa. Analizzare le fake news e monitorare l’andamento qualitativo degli articoli è stato un lavoro costante e scrupoloso.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
In ambito giornalistico, Andrea Scanzi che “casualmente” è anche un “protagonista” del mio libro. Lui è una delle figure pubbliche che, assieme a Conte, è cresciuta moltissimo sul lato social proprio durante il lockdown.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Attualmente vivo nella parte più a nord della Puglia, precisamente a Foggia dove insegno Linguistica all’università. In passato ho vissuto a Siena, dove mi sono specializzato in Comunicazione e nuovi media, dando vita al mio libro precedente “Matteo Renzi: La parola sono Io”
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vorrei prendermi una piccola “pausa” dalla saggistica e dedicarmi ad un romanzo che ho da tempo nascosto nel cassetto. Eppure qualcosa mi dice che tornerò ugualmente ad occuparmi di media e linguaggio.
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