
Edito da Porto Seguro Editore nel 2019 • Pagine: 376 • Compra su Amazon
Andrea ha ventisette anni e lavora part-time in una libreria. Fotografo per passione, condivide l’appartamento con l’amico youtuber e non ha ancora trovato il coraggio di accettare su Facebook la richiesta d’amicizia di sua madre. Anche Alice ha ventisette anni, e sta per lasciare l’Italia per New York, dove ha trovato una posizione presso un prestigioso museo.
Lui vede lei, lei vede lui, si piacciono fin da subito e sentono entrambi di essere fatti l’uno per l’altra, senza mai trovare il coraggio di rivolgersi la parola.
Riusciranno, fra coincidenze, imprevisti e castelli in aria, a conoscersi o le loro vite continueranno a correre su binari paralleli, mai convergenti?

È proprio grazie a quelle prime pagine che la maggior parte dei lettori decide se proseguire con la lettura o se invece ripescare dalla pattumiera lo scontrino della libreria per cambiare il volume con un puzzle tridimensionale del Big Ben.
Ma questo libro fa schifo, penso mentre sfoglio le pagine scritte da Damiano Dimiano, youtuber, fashion blogger e influencer (così recita la sua pagina Wikipedia): uno degli ultimi figli della rete divenuto celebre tra gli adolescenti per aver elargito, in un centinaio di video, consigli spassionati su moda e ultime tendenze; uno che, come tanti altri, ha saputo inventarsi un lavoro stando seduto davanti al computer in cameretta, e che splenderà nell’universo delle celebrità della rete fino a quando i suoi sponsor dirotteranno attenzioni e bonifici su un altro adolescente brufoloso dotato di cellulare, collegamento a Internet e guardaroba discutibile.
Perché si sa che la madre dei figli della rete è sempre incinta.
Nel frattempo la biografia di Damiano Dimiano, dal titolo originalissimo Il mio sogno nell’armadio, sta andando a ruba. Ne sono state stampate ben centomila copie, di duecentocinquanta pagine ciascuna. Faccio un rapido calcolo: dato che da un albero si ricavano circa centocinquantottomila pagine, per appagare il narcisismo cronico di questo nuovo guru della moda non ancora completamente uscito dalla pubertà, sono stati abbattuti la bellezza di settantanove alberi. Più qualche rametto in fila per sei col resto di due.
In effetti questa mattina faccio un po’ di fatica a respirare.
La notizia non giova di certo al mio ego già piuttosto accartocciato: ho ventisette anni e, se mi guardo alle spalle, mi rendo conto di aver combinato poco o niente nel corso della mia vita.
Non che non ci abbia provato. È che faccio parte di questa generazione che fa dell’accontentarsi il suo modus operandi quotidiano: oggigiorno sono pochi i giovani ad avere il privilegio di poter vedere realizzarsi i propri sogni; tutti gli altri devono spesso accettare quello che gli capita, raccattare le briciole con la speranza che non gli vadano di traverso o si gonfino nel petto come succede ai piccioni ingordi.
Ecco, per semplificare posso dire che la mia generazione è composta principalmente dai Damiano Dimiano, che hanno imboccato la strada giusta e possono dire di aver raggiunto uno scopo, e dagli Andrea Corsi, che oggi lavorano come interinali part time in una libreria del centro, ma domani chissà.
Però possono vantarsi di avere almeno nome e cognome pronunciabili.
Assorto nei miei deprimenti pensieri, mi accorgo che una distinta signora sui sessant’anni mi sta chiedendo un’informazione.
«Dove posso trovare Cinquanta sfumature di grigio?» mi domanda, quasi a voler rincarare la dose.
Altri poveri alberi abbattuti.
«Laggiù, signora», e le indico la sezione dedicata agli studi sul daltonismo.
Non ci sono più le distinte signore sui sessant’anni di una volta.
Mentre sistemo sullo scaffale in vetrina le ultime copie del maledetto Sogno nello stramaledetto Armadio, il suono del campanello posto sulla porta d’ingresso attira la mia attenzione.
Sono le otto e mezza.
Una leggera scossa mi attraversa la colonna vertebrale: non so darle un nome, è una sensazione strana e forse un po’ stupida, quasi adolescenziale, che mi prende ogni volta che è lunedì, sono le otto e mezza e da quella porta entra lei, la ragazza del libro. Bella come la domenica mattina, come la pioggia d’estate, come il sacchetto di plastica che la cassiera del supermercato ti regala, spinta a compassione, quando hai i soldi contati per una birra e la confezione monodose di Quattro Salti in Padella.
Entra, si siede al suo tavolo, ordina il suo cappuccino (sì, qui al Segnalibro c’è anche un bar) e poi si mette a leggere il suo libro. Un libro a cui ha tolto la copertina, forse per comodità. O forse perché si vergogna che gli altri possano sapere cosa sta leggendo.
Il che la rende ancora più interessante.
Si chiude nel suo mondo al quale a nessuno è permesso accedere. Poi, alle nove in punto, si alza e se ne va.
Questo accade ogni lunedì. Cascasse il mondo lei alle otto e mezza è qui. Salvo imprevisti e altri impegni, ovviamente: a volte è capitato che non si presentasse, o che io non fossi a lavoro. Ma a parte questi rari casi, questa storia si ripete ormai da quasi cinque mesi. È l’unica gioia in grado di farmi iniziare bene la settimana.
Che sfigato, eh?
Stavolta però le cose non vanno come vorrei: riesco a vederla solo mentre varca la soglia, poi novantasette chili di Paolo si materializzano davanti ai miei occhi rovinandomi il panorama.
«Il capo ti vuole nel suo ufficio», mi dice.
Provo a temporeggiare: «Ok, finisco qui e vado».
Lui non ci casca: «Ti vuole subito».
Niente da fare. Gli si sarà incastrato un foglio nella stampante per l’ennesima volta. In tre minuti me la sbrigo.
Sbuffando, mi allontano dallo scaffale e mi dirigo verso l’ufficio del direttore. Lungo il tragitto ritrovo la signora delle Sfumature che, occhiali da vista sul naso, cerca disperatamente il suo libro sullo scaffale sbagliato. Sorrido immaginandomela stasera, quando, sdraiata sul suo letto e illuminata dalla luce fioca della sua abat-jour, anziché di fruste, di corde e di gatti a nove code leggerà di fotorecettori, di retine e di acromatopsia.
Ognuno si eccita a modo suo.

Come è nata l’idea di questo libro?
Può sembrare strano, ma l’idea de “L’infinito non è adesso” è nata dal finale: partendo dal destino dei due protagonisti, Andrea e Alice, ho ricostruito l’intreccio a ritroso, via via fino all’inizio, lasciandomi ispirare dalle situazioni e dalle circostanze che man mano si delineavano. A distanza di anni, dopo una prima stesura del romanzo, mi sono reso conto però che quel manoscritto non aveva anima. Ho deciso quindi di riscriverlo di nuovo e di raccontare gli eventi in chiave ironica e umoristica.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Scrivere può essere complicato quando non si ha la giusta ispirazione. La vita di tutti i giorni può assorbire tempo ed energie, e non sempre si ha la giusta concentrazione per potersi mettere di fronte a una pagina bianca e tradurre in parole le proprie idee. Nonostante questo, però, ho sempre cercato di ritagliarmi del tempo per portare avanti la stesura del libro, che si è rivelata, oltre che molto divertente e appagante, anche un ottimo espediente per evadere dal quotidiano. Sarebbe bello se questa sorta di “evasione” potessero riviverla anche coloro che decideranno di leggere il romanzo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Leggo un po’ di tutto e difficilmente mi fossilizzo su un unico genere, anche se tendo comunque a prediligere i romanzi umoristici e i thriller. Nella stesura di questo libro mi sono ispirato, in particolare, ad autori come Francesco Muzzopappa, Chiara Gamberale ed Ester Viola.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto in Toscana e attualmente vivo a San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Attualmente sto scrivendo un nuovo libro, mettendo in pratica ciò che ho imparato dall’esperienza vissuta con la pubblicazione del mio primo romanzo. Non so se verrà mai pubblicato: al momento è la mia piccola finestra per evadere, almeno un po’, dai pensieri della vita di tutti i giorni.
Lascia un commento