
Edito da Franz Palermo nel 2021 • Pagine: 313 • Compra su Amazon
Julia Scarlett è una studentessa universitaria che trascorre una vita isolata, tra esami e lezioni, una madre gelida, una doppia vita da cleptomane e tante inibizioni. Una notte, allontanandosi da una festa privata dopo l’ennesimo colpo, s’imbatte in Francis Macallan, un compagno di corso, che le ruba un bacio.
Quando le labbra di una principessa sfiorano un rospo che non si trasforma in principe, gli ingranaggi di una leggenda misteriosa riprendono vita: Julia scopre che Francis non è un cavaliere, bensì un maestro di magia nera pronto a tutto per averla.
Le loro strade vengono unite da qualcosa che potrebbero scambiare per destino; se solo ci credessero.
Com’è possibile avere fede in un avvenire già scritto… quando ogni passo non fa che riportarci indietro, a fare i conti col passato?

Un capogiro, febbre, niente più forza nei muscoli. Lo stregone Cadaarn Balaraze, gran maestro e Signore della Fiamma, perse l’equilibrio come un coglione qualunque e cadde carponi; affondò nella neve sino al gomito e sfiorò con il naso una montagnetta, bluastra nella luce dei lampioni.
La nevicata aveva soffocato gli odori del parco, mutando ogni respiro in una colata di ghiaccio dritta nei polmoni. Digrignò i denti, allungò la mano verso un nodo tutto incrostato di gelo sul tronco lì accanto, l’afferrò per rialzarsi e si puntellò alla corteccia. Restò lì a boccheggiare per un po’.
Se non mi ammazzano stavolta…! Se non ci resto secco…! Quella cagna maledetta! Sono stupido! Sono diventato idiota!
Al centro dell’ampio parco, il monumento di un poeta in tonaca svettava da un alto basa-mento, in mezzo agli alberi intirizziti.
Lo stregone si staccò dall’appoggio e riprese il cammino, le membra che protestavano a ogni dannatissimo passo. Almeno non poteva avere freddo, non con tutta la potenza magica che gli ardeva nel sangue; il che, con un corpo sfinito, era utile più o meno quanto un’arma caricata con polvere da sparo bagnata.
La statua del poeta era una dicotomia di luci e ombre, tra le pieghe austere della veste scolpita che creavano solo un’illusione di morbidezza. Dare per scontato che fosse immobile era una bella scommessa: qualsiasi schiappa con un’infarinatura di pratiche illusorie avrebbe potuto nascondersi lì sotto, ma c’era una zona d’ombra che si allungava dal basamento, proiettata dalla disposizione dei lampioni, che lo invitava a stendersi e riposare. Molto meglio rischiare per recuperare un po’ di fiato. Era stanco come il sopravvissuto a una mischia di sangue, come il vincitore di una disputa arcana spinta al limite.
Giunto ai piedi del basamento, stramazzò con uno sbuffo. L’ampio mantello nero non lo protesse per nulla dall’urto spigoloso sui gradini di marmo.
Per un po’ rimase con la faccia rivolta alla notte, al cielo nebuloso che vorticava nella cornice dei rami spogli. Dovrei essere molto più incazzato, ma non ci riesco. Un profumo di rose gli era rimasto impigliato nella barba, lo seguiva, s’insinuava persino nella contrazione della bocca.
Pericolo! La percezione gli folgorò i nervi e lo fece alzare in fretta. Troppo in fretta. Le gambe lo tradirono, ricadde lungo disteso nella neve. Era l’occasione buona per un’altra imprecazione sacrilega. Si rialzò e riprese il cammino con la forza della disperazione. Non poteva usare la magia, no, l’avrebbero sentito, e allora tanti saluti!
Attraversò il resto del parco lasciandosi dietro una scia d’impronte fin troppo visibili dall’alto, ma non poteva farci niente. Raggiunta una zona di sottobosco, dove i cespugli gli avrebbero offerto un po’ di riparo, lo stivale s’impigliò in una radice nascosta e ci guadagnò un’altra caduta. Fottuto il mondo! Era allo stremo, lo sentiva, e quei due potevano arrivare da un momento all’altro. Il pericolo premeva fuoco sui timpani. Si portò una mano contratta al volto, rigida quanto un artiglio che sembrava pronta a strappargli l’espressione, e soffocò un grido terribile.
La presenza affiorò in quell’attimo dalle pieghe della realtà e si unì a lui. Non c’era bisogno di guardarla: sapeva che lei era comparsa a sbarrargli la via di fuga.
«Zahra…» gli sfuggì alle labbra per cupa rassegnazione.
«Zahra Folgrina». Voce d’acciaio. «Non hai più il diritto di chiamarmi per nome, Cadaarn Balaraze!»
Lo stregone alzò lo sguardo e la vide, non più lontana di venti passi. La sua pelle sembrava persino più nera dall’ultima volta. Come fa a restare così bella con tutto quell’odio in faccia?! Sul lato del capo, un’onda delle innumerevoli treccine creava l’illusione di un nembo. Una principessa africana, o una regina oscura. La sua bocca oltraggiata era truccata di cenere e i suoi occhi, come fari di luce bianca puntati nella notte, lo giudicavano.
«Guarda come ti sei ridotto», articolò tra pietà e disprezzo. «Per che cosa, Balaraze? Per chi? Per chi ci fai la guerra?»
«Non hai capito ancora niente». Lo stregone scosse il capo e si risollevò. Sono agli sgoccio-li.
«Portiamo ogni cosa a termine, Balaraze! Volkov Galkinov crede ancora in te! E io credo in noi, Cadaarn…»
«Povera stupida! Ti sei bruciata il cervello in tutte quelle idiozie ed era… era la parte migliore di te. Va’ al diavolo, Zahra! Tu e quel bastardo di Volkov… non mi servite neanche più!»
L’espressione sul volto della ragazza si appiattì come una maschera mortuaria.
«Allora ti ucciderò. Peggio per te», sospirò, ben lontana da un vero rammarico. Sollevò le dita in un gioco distratto, sfiorò le collane e gli orecchini di titanio e distese le labbra sadiche. «Lo sai cosa farò di lei, invece?»
La collera dello stregone moltiplicò le forze residue, alimentò il fuoco che gli invadeva il sangue, e le sillabe della formula gli formicolarono in punta di lingua, ma Zahra fu più veloce. Non c’era più niente da fare.
«Figlia dell’Aria per lo sguardo celeste, giustizia il blasfemo! Rhey Zaad!»
Un fascio di pura elettricità avvolse il braccio di Zahra, risalì sino alle unghie protese, pro-ruppe attraverso il vuoto e illuminò il parco, le automobili dimenticate, le case antiche. Forse c’era stato anche un tuono, a meno che non fosse uno scherzo dell’immaginazione, ma era tanto, tanto difficile distinguere qualcosa con le orecchie rapite da quella lunga nota secca, il suono della vita che gli abbandonava il corpo. Granelli di sabbia spinti nella strozzatura di una clessidra.
La bocca s’inceppò attorno a un nome che non riuscì a pronunciare.

Come è nata l’idea di questo libro?
Vorrei evitare di dire “per caso”, ma devo essere onesto. Più che per esibire una sciocca modestia, si tratta di dover ammettere che questo NON è il modo in cui un professionista lavora. All’età di sedici anni frequentavo un forum di un GDR online che ebbe grande successo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000, il celeberrimo “Ultima Online”. Tra le varie sezioni, da buon forum nerd, c’era quella dedicata alle creazioni personali degli utenti. Non ricordo di preciso perché mi venne voglia di cominciare a narrare qualcosa, so solo che aprii un nuovo post e cominciai a scrivere lì (direttamente lì, neanche sul programma di scrittura!) questa storia molto strana, oscura. Ero un “amatore professionista”, nel senso che non avevo la benché minima idea di dove andassi a parare. Oggi mi vergogno come un ladro per lo stile con cui presentavo quei capitoli! Ho ancora il file originale, su cui copiavo i capitoli dopo averli pubblicati in un perfetto esempio di produzione alla rovescia. Non voglio dire d’essere diventato un maestro, al giorno d’oggi, però quella roba era davvero oscena! Eppure, iniziai a riscuotere un certo successo tra gli utenti che mi leggevano. La storia di questo stregone in una città moderna, innamorato alla follia di una certa ragazza e pronto a oltrepassare senza remore i confini del lecito, era riuscita a conquistare. Eppure, mentre prendeva forma, la vicenda risultava più intrigante se vista dal punto di vista di lei, una ragazza problematica sino al midollo, messa dalla narrazione in una sorta di seduta psicoanalitica per fare i conti con tutte le difficoltà che avevano condizionato la sua vita (e di cui nemmeno si rendeva conto). La componente surreale, a questo punto, divenne solo un pretesto per rimescolare le carte. Ho sempre pensato che Inòmina (che, al tempo, aveva un titolo diverso e squisitamente adolescenziale) fosse più del delirio di onnipotenza che volevo narrare all’inizio. Senza che me ne accorgessi, mi sono scoperto a narrare qualcosa che parla della difficoltà di stare al mondo. Avere una protagonista che, per quanto desiderabile, è così contorta da essere a malapena una persona, mi ha permesso di scrivere una storia rivolta alla ricerca dell’umanità. Ho una particolare esaltazione per le reazioni sconcertate e fu quello il punto su cui cominciai a battere più forte, inserendo colpi di scena serrati, sempre più grandi, sempre più sconvolgenti. Una regola aurea della buona scrittura è di non abusare di queste tecniche, ovvio, soprattutto perché si arriva a un certo punto in cui tendono a ripetersi. Be’, una cosa su cui mi sento di aver fatto un buon lavoro è senz’altro la varietà. Non credo che ci si possa annoiare leggendo Inòmina. Purtroppo (o per fortuna) il forum chiuse quando ero a circa due terzi della produzione, lasciando un po’ di gente senza un finale. Peccato non aver mantenuto i loro contatti, sarebbero stati di certo i miei primi lettori! ;D Da allora, per più di quindici anni, il file si è reincarnato da un computer all’altro, sino ad arrivare al 2020, in cui ho avuto la preziosissima opportunità di parlare con un professore di narratologia che mi ha indirizzato verso la pubblicazione di una storia che avesse determinati requisiti. Inòmina li aveva tutti. Ci sono tornato con gioia. Alla luce di qualche corso di narratologia, ho notato con stupore (ma preciso che è fortuna e ribadisco: i professionisti NON lavorano così!) che, salvo alcuni punti da limare, la struttura era estremamente valida e coerente. In particolare, l’arcinoto “viaggio dell’eroe” era rispettato in ogni singolo punto. Mi sono rimboccato le maniche e ho raggiunto un risultato che mi rende orgoglioso: è il meglio che potevo scrivere con le mie capacità attuali.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non ho avvertito molta difficoltà, forse perché la storia era già ben strutturata dal principio. A onor del vero, i corsi di scrittura creativa che ho seguito mi hanno concesso l’invidiabile capacità di avere un metodo di lavoro efficiente e concreto, perfetto per evitare le perdite di tempo. Soprattutto, ho imparato a divertirmi (il che non è da sottovalutare, soprattutto se consideriamo che molti principianti scrivono in risposta al rigurgito emotivo di un malessere. Il professionista, anche quando getta sangue, sa renderlo divertente). Ho impiegato otto mesi per prima e seconda stesura, un vero record, battendo tasti come un forsennato, più due mesi extra per dar modo alla mia editor di leggere per una terza e una quarta stesura. Per quanto riguarda le riscritture, è un numero perfettamente nella norma. Sono orgoglioso del risultato!
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Su tutti, Livio Gambarini. Ho preso a esempio il suo stile, frutto di uno studio costante e di un perfezionamento continuo. Credo che il suo sia l’approccio giusto da seguire per chi voglia intraprendere il mestiere di scrittore. Da adolescente, sono stato un voracissimo lettore di Anne Rice e credo di aver assorbito molte delle sue atmosfere (e anche una narrazione un po’ barocca, che sconsiglio con tutto il cuore a chiunque voglia esordire oggi nella narrativa). Per quanto riguarda i classici, Alexandre Dumas mi ha insegnato parecchio sull’efficacia dei cliffhanger. Negli ultimi anni, ho scoperto la grande Ágota Kristóf. L’adoro per la crudezza spietata dei suoi libri. Più passa il tempo e più mi rendo conto che un maschio non può avere la sensibilità necessaria per unire crudeltà e poesia come la Kristóf sapeva fare: bisogna essere una donna per scrivere romanzi tanto belli.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Al momento sono a Bari e mi godo la tranquillità di una ritrovata, meravigliosa pace interiore. Sono nato a Matera. Passati i vent’anni, è cominciato il mio vagabondare per lavoro e studio: un anno a Lecce, molti anni a Pisa, un po’ di tempo a Ferrara. Non mi sento mai davvero a casa in nessun luogo. Forse dovrei procurarmi un camper.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono già al lavoro sul prossimo libro! Mi sembra scontato dire che m’impegno per migliorare sempre più la qualità dei miei lavori. L’importante è avere l’umiltà di ammettere che, per quanto diventi bravo, NON posso illudermi di pubblicare qualcosa che non sia passato sotto gli occhi di un editor. Attualmente sono un autore indipendente per una scelta precisa d’intenti, non ho voluto proporre il mio libro ad alcuna casa editrice e sono contento così. Un domani, forse, vorrò affiliarmi a qualcuno. Il punto è che la qualità delle pubblicazioni è importante per tutti: in una realtà dove bastano pochi click per inserire un libro su un qualche sito di vendita, diffondere materiale scadente è qualcosa che lede l’ambiente su tutti i livelli. Non bisogna lamentarsi dei lettori scarsi se le alternative offerte sono di bassa lega. Oltre questa parentesi di buon metodo, in questo momento ho almeno alte tre storie che vorrei narrare, oltre a una saga che è lecito presentare tra qualche anno, quando, si spera, avrò abbastanza seguito da non trasformarla in un flop clamoroso. L’idea è di far uscire un libro l’anno, è quello che ci si aspetta per formare un pubblico. Il mio prossimo romanzo, posso anticipare, avrà un taglio più “mitologico”: ho messo in scena figure un po’ difficili da trovare nelle produzioni simili; su una, in particolare, credo di avere una certa esclusività a livello mondiale (nel senso che nessuno mai ci ha romanzato niente). Ne sta venendo fuori una cosa davvero intrigante e non vedo l’ora di ascoltare le impressioni dei miei lettori!