Edito da Les Flâneurs Edizioni nel 2019 • Pagine: 268 • Compra su Amazon
Lizzy è un’adolescente di Liverpool che rifugge dalle oppressioni della famiglia per cercare di incontrare il suo amore platonico, Paul McCartney. Jack ha il compito di trovare nei pressi di Woodstock un terreno grande abbastanza da ospitare il festival del secolo. Tyler vive nella Seattle degli anni Novanta e sogna di sfondare con la sua band per aiutare economicamente la sua famiglia. Vivono in tempi e luoghi diversi, ognuno con le proprie battaglie da combattere e i propri sogni da rincorrere ma tutti con la stessa passione: la musica. Alternando momenti narrativi ad altri di carattere divulgativo, undici fotografie di altrettante epoche storiche raccontano come i progressi tecnologici influenzino la musica e come questa a sua volta influenzi la società. Quello che resta è la portata rivoluzionaria del rock in tutte le sue declinazioni, la sua capacità di stravolgere un destino. E l’inesorabile affievolimento della sua fiamma nell’era digitale.
La gente comune ancora non immaginava che di lì a pochi anni sarebbero stati creati e trasmessi messaggi audiovisivi per sponsorizzare auto sportive o prodotti per capelli, né che si sarebbe dato libero sfogo all’opinionismo e alla critica cieca e sterile. Chi mai avrebbe potuto imputare a Jimmie Rodgers di essere scontato e di scrivere canzoni dai testi ruffiani? E poi chi si sarebbe permesso di dire qualcosa a uno che riusciva a canticchiare un brano come Waiting for a Train simulando con la bocca lo sferragliare del treno sui binari nel pieno dell’evoluzione industriale? Ciò trova fondamenta in diverse ragioni. La prima è senz’altro di natura culturale, poiché nell’America del dopoguerra non si sa in quanti sapessero davvero leggere, capire e interpretare un testo; se solo si pensa che secondo studi statistici fino all’ingresso nel terzo millennio uno statunitense su sette era al limite dell’analfabetismo, la situazione negli anni Cinquanta non poteva che essere decisamente peggiore. La seconda ragione è di natura sociale, visto che degli ispiratori di odio a stelle e strisce, quali i già citati Bush, non si poteva ancora prevedere la nascita mentre Ronald Reagan era ancora un bambino che sognava di fare il cowboy. Rodgers è considerato il padre del genere country, un movimento destinato a camminare sulle proprie gambe e a contaminarsi in molti modi diversi. Di pari passo con il blues, che gode di origini ancora più profonde ramificate nel gospel afroamericano, nel jazz e in tanta sofferenza: l’espressione musicale più complessa in assoluto. È più che noto che la diffusione del blues fu direttamente proporzionale al malessere sociale con cui determinati ceti, non solo di origine afro, hanno convissuto per decenni e non è un caso se proprio il blues, naturale espressione di un malessere sociale, abbia contribuito allo sbocciare del rock’n’roll.
(Citazione)
«Credevo che [Internet, N.d.R.] potesse dare a tutti l’opportunità di accedere alla miglior musica, pensavo potesse essere un’influenza positiva permettendo alla musica di evolversi come non mai. Invece è tutto un gioco di profitti capitalistici. Credevo potesse bilanciare i rapporti tra qualità e mainstream, invece è successo l’esatto contrario».
Julian Casablancas— The Strokes
(Sezione narrativa)
1963 Bob Anderson Arnold Johnson
Soundtrack Chuck Berry is on Top Chuck Berry 1959
Singin’ the Blues B.B. King 1957
From Elvis in Memphis Elvis Presley, 1969
Non c’è un’anima sulla Crosby Road, solo qualche volpe dal pelo rossiccio che talvolta spunta dal verde, immedesimandosi con i colori caldi dei tramonti del Mississippi. Man mano che ci si allontana dalla strada principale, un leggero odore di erba secca e tanta noia pervadono l’area ma Bob Anderson, se può, cammina parallelo al fiume più famoso d’America non prima delle diciotto. Se ci passasse anche pochi minuti prima, il prete della Lampton Chapel intuirebbe che è lì per andare a bere e non gli mollerebbe più un altro centesimo. Bob lavora in una fattoria e i suoi ottantasei chili per centonovanta centimetri possono sopportare di tutto, dal lavoro durissimo alla crescita del suo bambino praticamente da solo, ma il giovedì libertino al Po’ Monkey’s, quello non può toglierglielo nessuno. Quale modo migliore per evadere dalla routine e al contempo sperare di incrociare B.B. King mentre sfreccia con la sua auto in direzione Itta Bena?
Alla baracca di Willie si conoscono tutti, anche perché i clienti abituali non superano la dozzina e quindi il jukebox è sotto il controllo dei soliti noti, molti dei quali eroi sconosciuti delle farms del Mississippi. Eroi perché ci sarebbe da sfidare chiunque a stare piegato tra i campi per almeno dodici ore al giorno. Sconosciuti perché nel 1963, in un’America militarizzata e vittima del suo stesso complottismo, a chi importa se parte del ceto popolare, specie se afroamericana, trascorre la propria giornata allo stremo delle forze? Bob questo lo sa benissimo. È anche per questo che B.B. King è il suo idolo: il modo in cui la sua chitarra riesce a parlargli, il modo in cui il suo blues colpisce il suo animo. [I jukebox erano tra i pochi apparecchi che offrivano la possibilità di scegliere cosa ascoltare, dopo aver inserito una moneta. Se oggi è la musica ad arrivarci gratuitamente e spesso non richiesta tramite tv, computer e smartphone, ai tempi bisognava andare, letteralmente camminare verso la musica.]
Continua…
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di scrivere questo libro è nata da una riflessione e conseguente analisi: cosa ha fatto sì che un genere musicale come il rock perdesse il proprio carisma? Poiché convinto dell’esistenza di musicisti validi che però non riescono più ad emergere, a coinvolgere, a dar vita ad un movimento, mi sono posto delle domande che hanno portato a diverse risposte tutte convergenti verso un’ unica “equazione” madre: Internet Ha Ucciso Il Rock.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine non è stato eccessivamente complesso, anzi. Col trascorrere delle settimane, durante la stesura e dopo la chiusura della prima bozza, diversi artisti, critici musicali o semplici appassionati, mi hanno dimostrato attraverso diverse dichiarazioni che il sentiero da me intrapreso era quello giusto. Trent Reznor dei Nine Inch Nails, Shirley Manson dei Garbage, in Italia Enrico Ruggeri, Omar Pedrini, Godano dei Marlene Kuntz e non so quanti altri hanno espresso dei concetti differenti tutti connessi agli effetti collaterali del “nuovo mondo digitale” correlati alla musica: dal modo in cui la si ascolta, al modo in cui si generano le nuove tendenze e come queste premiano alcuni “generi” a discapito di altri, come il Rock.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sinceramente e umilmente vi dico che non ho autori di riferimento e sono contento che la stesura di questa opera non sia stata influenzata da nessuna penna importante, anzi. Sono molto soddisfatto di aver creato un’opera definita dai più scorrevole e originale, che non sia la solita sbobba da radical chic, né l’estensione egocentrica di un presuntuoso. In sostanziale nulla che ha a che vedere con chi filosofeggia tra rock, anima e pace dei sensi: qualcosa che reputo poco costruttivo oltre che di cattivo gusto.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho trascorso la mia vita e tuttora vivo in Puglia, a Taranto, città di mare e di sole ma ricca di contraddizioni. Mi occupo di comunicazione dall’età di diciannove anni, essere arrivato al traguardo di una pubblicazione editoriale oggi che ho varcato la soglia dei trenta ha fatto sì che la strada sia, seppur in salita comunque percorribile.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
È in programma un secondo libro ma nel frattempo sono iniziate le prime collaborazioni di natura artistico musicale, come il progetto Elephant Music, che mi vede da qualche settimana coinvolto in prima persona.
Lascia un commento