Edito da Isa J. Vinci nel 2020 • Pagine: 272 • Compra su Amazon
In quanti film la protagonista, durante l’esplorazione dell’antica casa nella quale si è appena trasferita, puntualmente scopre in soffitta una scatola misteriosa che non si sa né a chi sia appartenuta né cosa contenga? Incapace di resistere alla curiosità, si fa coraggio, la apre e…
Ecco, “Keyras” è come la scatola trovata in soffitta. Al suo interno, una raccolta di 90 tra racconti, sogni, incubi, fotografie, ricordi dei quali il re è lui, l’amore, il primo e più antico dio della cosmogonia di Esiodo declinato al femminile. Ora in tono leggero e ironico ora drammatico e intimista, dall’horror al racconto storico alla favola all’erotico, l’amore esce dalla scatola delle Keyras per narrarsi a immagine e somiglianza dell’autrice che continua così, a modo suo, un discorso iniziato quando l’uomo imparò a scrivere, 4000 anni fa e che non avrà fine finché ci sarà anche un solo essere umano sulla faccia della terra.
… perché io quando chiudo, chiudo e non ci sono ripensamenti di sorta.
Puoi deludermi un milione di volte o una sola, non è questione di quantità, nella vita ho sempre e solo privilegiato la qualità, quindi quando chiudo, chiudo. Sbattuta l’ennesima porta sul passato, mi ero buttata nel nuovo inizio, il vecchio e fedele trolley al seguito, i mezzi guanti comprati a Camden Town una ventina di anni prima perché “ma-come-si-fa-a-sopportare-quelli-normali?”, un foulard dai colori dell’alba e il giaccone che pesava più di me, ma era caldo e aveva tante tasche. Adoro le tasche, mi ricordano che possono essere piene o vuote di meraviglie, la scelta è mia e solo mia. Mi venne da ridere, ero nella ville lumière e non si vedeva a un palmo dal naso. Non c’era anima viva e del resto a chi sarebbe saltato in mente di andarsene in giro alle tre di notte del primo gennaio in quel nebbione? A me, ma io sono speciale, si sa, lo sono sempre stata. Probabilmente la persona speciale stava per fare una cosa stupida, ma vabbe’ sono speciale anche nella mia stupidità. Il fatto è che quando chiudo, chiudo, però ho bisogno di suggellare il cambiamento con una specie di rito, sì, un gesto simbolico. Perché? Non lo so e non m’importa nemmeno di saperlo, mi piace non conoscere tutto di me, avere ancora qualche mistero da svelarmi. Insomma, volevo attraversare quel ponte un’ultima volta, quello che avevamo attraversato il giorno del nostro primo incontro, il mio con quello del mio recente passato intendo. Era stato tutto terribilmente romantico: appuntamento sotto la Tour Eiffel, passeggiata nei giardini del Trocadero, pomeriggio a zonzo tra le bancarelle della Rive Gauche e serata a Montmartre, cena con violinista compreso a rendere l’atmosfera degna di un romanzo rosa. Però non aveva funzionato. Sarà perché detesto il rosa? Avrei potuto farlo in un altro momento questo benedetto rito, in realtà, invece di andare a quell’ora del mattino in uno dei pochi giorni in cui la città dormiva davvero, ma soprattutto avrei potuto farlo alla luce del sole e con una temperatura meno artica. Ormai c’ero e poi non sono tipa da lungagnate, meglio un taglio netto, subito.
«Est-ce que vous avez du feu?»
Rimasi così spiazzata che mi immobilizzai. Ci volle qualche secondo prima che, tirata fuori dai miei pensieri bruscamente, mettessi a fuoco la donna che aveva pronunciato quelle parole e le traducessi. Intanto lei mi guardava con un sorriso gentile sulle labbra, una sigaretta tra le dita e gli occhi chiari che le illuminavano il viso più dei lampioni del ponte di Iéna sconfitti dalla nebbia. Non era bellissima, ma mi resi subito conto che avrebbe potuto esserlo, sarebbe bastato innamorarsi di lei e dei suoi denti irregolari, dei capelli che le ricadevano spettinati sulla fronte e della pelle chiara come madreperla.
«Est-ce que vous avez du feu?» chiese di nuovo. Certo che ce l’avevo perché le tasche servono proprio a questo, a contenere piccoli oggetti che poi magari faranno la grande differenza
nella vita. Le porsi l’accendino e lei lo prese senza smettere di guardarmi, ma prima di portarsi la sigaretta alle labbra mormorò:
«Il fait très froid ici, on pourrait prendre un café là-bas…»
Non compii il rito.
Non ci prendemmo il caffè.
Ah sì, e lei non fuma.
Come è nata l’idea di questo libro?
Sono venuta al mondo in una famiglia nella quale si è portata avanti la tradizione delle novelle, cioè quei racconti orali che nelle lunghe, fredde e pallose serate d’inverno in Toscana venivano narrati di fronte al focolare prima di ritirarsi per la notte. Protagoniste indiscusse di queste serate, in casa mia, erano le donne. Raccontare novelle era un’arte che presupponeva dialettica accattivante, una certa cultura, mimica da Actor Studio e, soprattutto, tanta fantasia. Quella che io mi sono ritrovata nel corredo genetico. La società, da allora, ha subito una vera e propria metamorfosi, ma io non ho voluto rinunciare al piacere della novella e quindi ho adattato le mie storie per sincronizzarle sui ritmi di lettura degli utenti di Facebook. Per ridere o piangere non ci vogliono un milione di righe, basta che qualcuno tocchi la corda giusta, no?
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Nessuna difficoltà, le storie di “Keyras” si sono scritte da sole, quando hanno voluto e come hanno voluto.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Credo che tutti gli autori e autrici che ho letto, e ho letto davvero tanto, mi abbiano lasciato qualcosa. Per quel che riguarda i racconti direi che Annie Proulx con il suo “Gente del Wyoming” sia l’autrice che sento più affine.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata a Pisa. Irrequieta per natura, dopo il liceo, vuoi per studio, per amore e per lavoro, ho scorrazzato per l’Europa vivendo a Londra, Parigi e in Germania. Poi ho attraversato lo stagno e ho abitato per un po’ a New York. Attualmente mi trovo in Toscana e chissà che non sia la volta buona che mi fermi.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto lavorando al terzo volume di una serie di romanzi d’amore-azione-investigazione che hanno per protagoniste Lesley Sheffield, capo redattrice di cronaca al New York Times, e la sua compagna Malee. Il primo e il secondo sono stati pubblicati nei due anni passati.
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