Kolna: presentazione del libro e intervista a Lenin Lipstick

Nascita di una regina Kolna spinse i pesanti portali facendone cigolare l’antico legno. Come comparve i ranghi della Guardia Immortale si serrarono mettendosi sull’attenti all’unisono. Quei nani erano bellissimi nelle loro armature nere. Erano stati scelti uno per uno e avrebbe potuto chiamare ognuno per nome e di tutti conosceva la storia che li aveva condotti fino a quel momento. I soldati della Guardia Immortale erano legati da un potente incantesimo a Kolna, essi non invecchiavano e non potevano morire a meno che non venissero uccisi. Formavano la guardia personale della prescelta dalla Dea. Anche lei era legata a tutti loro fino a ben oltre la durata di una vita mortale. Molti nani avrebbero considerato blasfemo quel legame e solo la sua particolare condizione di prescelta divina le assicurava la possibilità di non cadere del tutto in disgrazia presso la sua gente. Avanzò lungo la navata centrale del tempio scrutando le facce del pubblico che si affollava dai due lati. Aveva guidato fin lì molte di quelle persone per migliaia di kilometri. Di quelle facce del variegato popolo dei morti l’avevano sempre colpita gli occhi. Che si trattasse degli occhi morti degli zombie, delle vuote orbite dai bagliori dorati degli scheletri guerrieri o di quelli freddi e calcolatori dei maghi oscuri le mandavano sempre un brivido gelido giù per la schiena. Spostò lo sguardo sulle pareti nere della sala. Camminava lentamente con le spalle ben dritte nella sua armatura. Kolna Rudolfdottir Nott era una donna bassa e tarchiata. Come si conviene ad ogni brava nana era in grado di reggere la spada e lo scudo e si presentava con la sua consueta armatura da battaglia con i nomi delle sue due famiglie incisi nelle rune dei nani e nel fluente e morbido alfabeto degli elfi. I suoi lunghi capelli neri ricadevano sulle sue spalle sciolti senza riuscire a nascondere le graziose orecchie a punta che rivelavano a chiunque la vedesse il suo sangue elfico. Le vennero in mente alcuni momenti che aveva vissuto. Il senso pratico della sua parte nana le diceva che era ad una svolta della propria vita, così la sua mente era più propensa a vagare. Pensò alla prima volta che, bambina nella grande capitale imperiale degli elfi, si era sentita diversa: le facce strane che avevano fatto le sue amiche quando aveva dichiarato solennemente di avere aiutato il padre ad aggiustare la grande caldaia dell’incrociatore Acciaio. Il padre, Rudolf Thornsson, era un grande navigatore, forse il più grande della sua razza. Fu il primo dei nani a giungere nella capitale dal mare dopo una traversata durata alcuni anni. Durante il suo viaggio compì grandi imprese come la distruzione dei nidi dei Kraken del nord o l’uccisione del Leviatano delle isole Vergini. Ciò gli procurò una grande reputazione tra gli elfi che abitavano le isole. Essi, seppure popolo avvezzo al mare ed alla navigazione, non avevano mai visto una nave così grande. L’incrociatore Acciaio, concluse il suo viaggio entrando nel porto di Alyarlee con l’equipaggio sull’attenti, la bandiera del Sommo Re dei nani Erik Ascia Insanguinata, sul pennone principale, e le torrette dei cannoni coperte dalle corone di fiori donate dagli abitanti delle isole. Il capitano fu ricevuto dall’imperatrice Ariana CLVIa. Fino ad allora nani ed elfi erano stati nemici combattenti o amici che si guardavano in cagnesco a seconda delle maree della storia, ma da quel momento cominciò una nuova era. Se gli elaborati costumi degli elfi rimasero sempre piuttosto oscuri per il padre di Kolna, così non fu per le taverne del porto, dove Rudolf conobbe Malika Nott. Ella era di quegli elfi che si sentivano più a casa tra le ombre della sera che nel pieno sole, elfi che bramavano i boschi assai meno dei loro cugini. Essi giuravano all’imperatrice, ma si dedicavano a professioni più oscure e consone alla loro natura con i buoni uffici dei funzionari imperiali. Malika Nott gestiva una taverna piuttosto malfamata sul porto che per la posizione e l’ambiente fu presto frequentata da un insieme caotico di elfi e nani quale non si era mai visto fino a quel momento. Fu in questo ambiente che crebbe Kolna, perennemente divisa tra due specie in latente conflitto, per sempre condannata a cercarne la sintesi. A vent’anni non riuscì più a sopportare i patetici tentativi delle sue compagne di scuola di metterla a suo agio. Non sopportava il miscuglio di parole gentili, sorrisi di circostanza che a mala pena celavano il senso di pietà che provavano per lei e sopracciglia alzate che le venivano riversate addosso ad ogni occasione sociale. Sua madre le disse che a molti giorni di viaggio sulle rive del Nada vicino alle montagne tanto care alla sua razza, viveva una piccola comunità di mezzosangue che si facevano chiamare nani dei boschi. La loro bandiera era un albero argentato in campo verde sullo sfondo delle montagne. Prese il coraggio a due mani, restare non era possibile, così se ne andò, ed iniziò il periodo più bello della sua vita. Lì finalmente trovò un gruppo di persone che condividevano con lei la problematica appartenenza a due culture e sentì per la prima volta che coniugare la cultura del lavoro ed il senso pratico dei nani con la raffinatezza estetica e filosofica degli elfi era non solo possibile, ma forse anche desiderabile e cominciò a sentirsi un po’meno sbagliata. Fu anche la prima volta che ebbe degli amici veri, persone che condividevano la sua ricerca interiore. La disciplina del lavoro penetrò in lei ancora più che in passato e così fu per l’amore per i boschi e per le creature viventi. In quella ridente terra, detta Alit Anar, conobbe la Dea della Vita. La gente di quelle terre venerava la stessa Dea sia nella forma elfica che in quella nanica e lei la conobbe ed imparò ad amarla. Mentre la Dea si faceva strada nel suo cuore sentiva che si avvicinava di più alla comprensione dell’equilibrio del cosmo, e tanto più vi si avvicinava tanto più si sentiva in sintonia con il mondo attorno a sé Dunque fu l’amore per la vita che la portò alla consacrazione come servitrice della Dea. In un anfiteatro naturale, dove la roccia si incontrava con l’acqua e con le piante fu condotta presso il sancta sanctorum. Fu li che al buio aspetto’ la chiamata. Non fu come sentire una voce interiore, la donna vestita di stelle le apparve, raggiante e bellissima. Dapprima la guardò e basta, finché lei con la testa chinata a terra disse: “Comanda, mia Dea”. Allora sembrò compiaciuta e con parole soavi le chiese di intraprendere un viaggio. “Va ad ovest seguendo il Grande Fiume. Presso la terra d’El Jeet dimora un uomo che è conosciuto ai più per la sua fama terribile meno che per la cultura o il coraggio indomabile. Donagli, se puoi, un po’ d’amore. Egli dimora nella Piramide Nera, e non avrà che te al mondo per condurre la sua ricerca”. Kolna era preparata a ricevere un compito che avrebbe potuto cambiare la propria vita: aveva visto un’amica partire per la montagna alla ricerca di nidi di Grifone neppure un mese prima. Un suo ragazzo, dopo aver ricevuto la chiamata, l’aveva lasciata per andare a cercare se stesso nelle giungle del sud. Lei si era aspettata che gli venisse richiesto di occuparsi degli animali, degli ammalati al più, di cercare qualche pianta rara ma quello no: tutti conoscevano la storia dell’oscuro personaggio che portava il nome di Grande Negromante. Una creatura millenaria che i più ritenevano ormai incorporea. Egli comandava un impero di morti dalla sua Fortezza ma negli ultimi secoli si diceva che la sua residenza fosse una Piramide Nera nel sud dalla quale governava anche quella terra abitata dagli umani chiamata El Jeet. Gli amici la presero in giro tentando di sdrammatizzare quello che effettivamente sembrava a tutti un compito ingrato, ma in verità i compiti che la Dea forniva non erano ordini, potevano essere rifiutati, e ciò accadeva di frequente. Kolna decise di andare a parlare con gli anziani: “Non pensare che quello che ti è stato affidato sia un compito ordinario. Rifiutalo se non ti senti pronta, perché più di ogni altra sfida a cui sei stata chiamata nel corso della tua vita questa chiamata ti cambierà. Credo che tu abbia un posto importante nell’ordine delle cose, Kolna” concluse pensoso Lord Thor Frangi Scudi. Eppure quello era il destino che una Dea aveva stabilito e lei lo accettò, e così si mise in cammino lasciando la sua patria adottiva. Era ormai a metà della navata e davanti a lei stava l’altare dove sarebbe stata incoronata, mentre il pensiero correva più dei suoi passi. Le venne in mente il primo incontro con quello che sarebbe diventato suo marito: bussò alla porta della Piramide Nera sentendosi piccola di fronte a quei blocchi di antico marmo e fu proprio lui ad aprire: “La sua visita mi fu preannunciata, signorina” disse la spettrale voce di un vecchio, “Prenda quelle provette cortesemente, stiamo provando un nuovo preparato”. Così cominciò il suo apprendistato. Il vecchio le dava i brividi. Aveva un aspetto curvo e sembrava che non avesse quasi più la forza di continuare a vivere, ma dovette capire presto quanto fosse ingannevole quell’impressione. Egli non portava la barba in quel tempo ed era vestito di una semplice tunica nera fermata alla vita da una cintura di argento lavorato in modo splendido. Un paio di volte fu testimone di violente discussioni tra il suo Signore ed i maghi che venivano a chiederne il consiglio: la sua voce diveniva tonante e profonda, ed il potere irradiava da lui come se non potesse essere contenuto nella sua sola persona. In quei momenti sembrava immenso, mentre poco dopo era di nuovo un vecchio studioso gentile ma troppo, troppo freddo. E la parte più difficile non furono le arti nere, nossignore, la sua parte elfa ne era attratta mentre quella nana se ne ritraeva meno di quanto sarebbe stato normale per la sua razza. Il difficile fu il non perdersi completamente in quel mondo e continuare a tenere viva dentro di sé la fiamma della Vita mentre rianimava i morti o addestrava i Ghoul nelle loro caverne, nell’oscurità più nera. Era quasi giunta all’altare quando una faccia la strappò alle sue riflessioni: si trattava di Kame Lakia. La vecchia una volta le aveva raccontato di come lui avesse difeso la sua casa dalle bestiecittàa prateria utilizzando i morti e di come avesse potuto rivedere suo padre un ultima volta, prima che egli ritornasse a morire. Il Maestro, come era d’uso chiamarlo tra il popolo, era entrato in città da trionfatore, prima che la Città Nera divenisse tale. Dopo molti secoli in cui aveva forgiato il Regno Nero il potente Signore dei Morti era sceso nella tomba condotto dalla propria ricerca oltre la vita. La Piramide Nera era stata sigillata da potenti incantesimi affinché nessuno ne potesse rubare i segreti e sembrava dormire nella pianura circondata da un aura che la faceva sembrare un miraggio sull’altro lato del Nada in Al Exsandria, il lato maledetto, quello dove nessuno andava mai. Solo lei sapeva che Lothar Alkamounon non era realmente morto ma aveva solo lasciato andare ll suo corpo proseguendo la propria ricerca dell’immortalità nelle terre delle ombre. Precise istruzioni ne vietavano la resurrezione. Il suo corpo mummificato giaceva nel nord presso le Cripte Antichissime e la Guardia Nera vegliava sul suo sonno. Eternamente. In breve tempo nell’El Jeet tutto finì col precipitare: i cultori delle arti nere furono uccisi a centinaia e molti loro antenati e sodali distrutti. Le scuole furono chiuse, le biblioteche date alle fiamme dai seguaci dell’antica religione solare. Poche migliaia di profughi riuscirono a salvarsi compiendo un lungo viaggio verso nord fino al Regno Nero, dove i fratelli e le sorelle nell’arte li accolsero. Lei stessa sfuggì per miracolo grazie alla sua Guardia Immortale riuscendo a salire in piena notte sul primo mercantile a vapore battente bandiera dei nani poté riparare nella vicina Porto Haven. Aveva guardato le facce spaventate dei bambini che stringevano le mani ossute di antenati morti decenni prima. Aveva spiato le lacrime nei volti delle donne vestite di nero che sussurravano maledizioni, lasciando Al Exsandria. Aveva fissato quei volti come faceva ora, maturando in sé la decisione di fare ciò che andava fatto a prescindere dal prezzo che avrebbe pagato. Salì con decisione rinnovata le scale che conducevano all’altare. Quindi si girò e fissò tutti in volto: le persone che conosceva da anni e quelle che non aveva mai visto, alcune a cui voleva bene, altre che gli davano i brividi ma che erano diventate nel bene e nel male il suo popolo. Così iniziò a parlare: “Ricordo i fuochi della notte infame in cui fummo espulsi dall’El Jeet. La Guardia Immortale andava piuttosto di fretta ma ho visto le stragi, le scuole che bruciavano, le biblioteche che crollavano distrutte da gente che diceva che i nostri costumi offendono il vero Dio. Non c’ero ancora quando i forti della Necropoli issarono la bandiera nera, ma si come ha governato Lothar” L’uditorio fu percorso da un brivido, ma era sua moglie e lo chiamava per nome: “Noi abbiamo avuto un torto, i nostri libri erano lì per chi li avesse voluti leggere, ma non abbiamo fatto nessuno sforzo per essere capiti. Siamo rimasti un corpo estraneo nel nostro stesso paese, ciò spiega, ma non giustifica la colossale ingiustizia che abbiamo subito. La guerra contro i demoni è finita da troppo poco tempo, siamo tutti stremati, l’El Jeet è stremato, ed anche il Regno Nero. Non sono più la Regina d’El Jeet ma ho ancora una responsabilità verso il mio popolo e non posso gettare il mondo in una nuova guerra. Erifichiamo qui le nostre dimore popolo mio, vi chiedo una grande rinuncia lo so, ma posso giurarvi fin d’ora che un giorno noi torneremo a casa. Oggi io vi scelgo e la Corona di Ferro degli antichi Re di queste terre rappresenti il mio impegno affinché questa civiltà non tramonto!” Così dicendo si pose la corona sul capo. Un attendente con la livrea gialla e nera della casa di lord Agran le porse un calice colmo di sangue. Kolna lo guardò con un certo orrore dapprima, ma non era certo la prima volta e bevve e gustò la bevanda. “Regina dei Morti” disse restituendo il calice. “Sia lode a Kolna l’implacabile!” rispose l’uditorio cominciando il suo trionfo.