
Edito da Edmondo Trammannone nel 2020 • Pagine: 244 • Compra su Amazon
Un emigrato appena ritornato a casa dopo quarant’anni d’assenza, assassinato sulla sua barca dal nome del posto cui era legato. Un industriale morto suicida, un cadavere riemerso dalle acque del fiume vicino alla città e una pistola che ha ucciso entrambi. Un direttore di banca con un segreto particolare, un imprenditore in bancarotta disposto a tutto e una donna troppo ambiziosa e senza scrupoli; un triangolo mortale che non risparmierà nessuno. Un esordio davvero complicato per Bruno Kadlic, il nuovo ispettore della Squadra Omicidi del piccolo Commissariato di Porto San Giorgio, una ridente cittadina delle Marche sulle rive dell’Adriatico. Tre casi che rischiano di porre fine alla sua carriera senza che abbia mai avuto inizio.

Bruno Kadlic si carezzò la barba incolta di almeno due settimane, si aggiustò la lunga frangetta di capelli corvini, scosse le spalle nel suo abito di lino color panna e, indossati i guanti di lattice ultrasottili, strizzando le palpebre per abituarsi alla luce guardò il cadavere. Coraggio dimmi qualcosa! mormorò come se potesse ascoltarlo. I suoi occhi verde pallido, stanchi e perennemente infossati, s’illuminarono per un breve istante esaltando i tratti del volto gitano ereditato dal padre. L’altezza fuori dalla media e il fisico magro, gli conferivano un’aura vagamente mefistofelica e spettrale che il vestito, di almeno una taglia più grande, contribuiva ad accrescere. Con gesti lenti si chinò sul corpo senza vita fin quasi a inginocchiarsi. Bernardo Colasanti, la vittima, non aveva parenti a Porto San Giorgio; suo cugino, ultimo consanguineo diretto, era morto qualche tempo addietro e i suoi zii prima di lui. Nell’angusta cabina del Bayliner Ciera 2455, un piccolo yacht dei primi anni novanta ribattezzato come il luogo di nascita del suo defunto proprietario, c’era una gran caos. Probabile colluttazione. pensò richiamando a se’ le nozioni apprese al Corso di Criminologia. Arricciando il naso per l’odore dolciastro del sangue raggrumato sul pavimento, cercò di darsi un contegno facendo qualcosa che gli altri si aspettavano che facesse, cioè scovare un indizio, ma non ne trovò e deluso si rialzò in piedi per andare verso la zona notte della cabina
– Ispettore ? – lo bloccò una voce alle sue spalle – E’ arrivata la Polizia Mortuaria. Vogliono sapere se possono rimuovere il cadavere. –
– Certo… – fece lui continuando a fissare il nulla mentre cercava di ricordare il nome del poliziotto. Era tutto nuovo. E tutto stava accadendo troppo in fretta! Non erano trascorse neanche quarantottore dal suo insediamento che già era chiamato a risolvere il suo primo caso d’omicidio. Quando aveva lasciato Vercelli, con l’entusiasmo di chi non vede l’ora di mettersi alla prova, aveva desiderato quel momento come una benedizione; il momento in cui si ha finalmente l’occasione di dimostrare che il primo posto nella graduatoria finale del Corso non era frutto di raccomandazioni, ne’ tanto meno di benevolenza da parte della Commissione Giudicante. Solo che, nella realtà, nulla era come se lo aspettava e il morto, con la sua totale assenza di collegamenti con quel posto, non lo aiutava di certo. Niente male come primo incarico!
– Rigo – gli venne in soccorso il poliziotto cancellando il lungo treno dei rimpianti – Sovrintendente Capo Andrea Rigo – specificò scandendo le parole
– Sì… Certo… Sovrintendente Rigo – ripeté lui meccanicamente cercando di memorizzarlo – Che procedano pure. –
– Bene. Alla donna cosa devo dire ? –
– Come sta ? – s’informò tentando disperatamente di associare un volto all’affermazione
– E’ sotto shock ma si riprenderà. – lo informò il poliziotto iper-efficiente
– O.K. Arrivo subito. – lo congedò avanzando cauto tra gli oggetti sparsi sul pavimento. Poi qualcosa attrasse la sua attenzione proprio sopra la sua testa.
August Pillander si muoveva guardingo tra la gente pigra che sfilava lenta sui marciapiedi del lungomare. Aveva scelto il tardo pomeriggio per incamminarsi, l’ora in cui tutti sono di ritorno; chi verso casa dopo una giornata passata al lavoro e chi invece per averla trascorsa in spiaggia a prendere la tintarella. In entrambi i casi, nessuno avrebbe fatto caso a lui. Gli doleva il braccio ma era l’ultimo dei suoi problemi. Doveva trovare la Stazione, procurarsi il biglietto per Roma e di lì per Parigi. Poi tutto si sarebbe risolto. Forse. Cercò di non pensarci ma era impossibile. Non si dimentica d’aver ucciso un uomo! anche se era un essere spregevole di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. Girò a destra inoltrandosi tra i villini che delimitavano il lungomare dalla zona vecchia della piccola cittadina e trovato il modesto Internet Cafè dall’altisonante insegna Centro Comunicazioni PortoSangiorgio e vi entrò frettolosamente senza salutare nessuno. Oltrepassate le postazioni dei computer andò direttamente alle cabine telefoniche. Per fortuna c’era poca gente; un paio di extracomunitari che chattava con qualcuno a casa prima di recarsi al lavoro, un terzetto di adolescenti che si alternavano davanti allo schermo di un videogame interattivo e un tizio, dietro al bancone della reception, dallo sguardo assonnato che sorvegliava l’ambiente semivuoto. Scelta l’ultima cabina, quella più appartata, digitò il numero di Robert Galdjien, l’investigatore privato che lo aveva aiutato a rintracciare Bernardo Colasanti e gli chiese aiuto. Ma neanche lui poteva aiutarlo. Quando riattaccò la cornetta August Pillander scoprì ineluttabilmente di essere solo. Con la disperazione che s’insinuava nella sua mente, chiese al tizio assonnato indicazioni per la Stazione dei Treni e uscì quasi correndo; nonostante il caldo e la sua scarsa forma fisica, impiegò appena un quarto d’ora ad arrivarci.
Comprato il biglietto per Roma Termini si voltò in cerca della Sala d’Aspetto; non voleva stare all’esterno, sulla banchina. D’improvviso due uomini si materializzarono accanto a lui
– August Pillander ? – chiese uno dalla voce gentile ma ferma
– Sì – riuscì a mormorare sentendo il sangue defluire dalle tempie.
L’uomo sedette alla scrivania, accese il computer e si stropicciò gli occhi. Era stanco. Una notte insonne si sopportava, ne aveva passate tante all’Orfanotrofio delle Suore Carmelitane, a immaginare il volto di suo padre; dell’uomo che li aveva abbandonati, lui e sua sorella gemella, così piccoli da non ricordare nemmeno che faccia avesse. Ma quell’ultima, era stata una notte diversa. Da incubo! Quando aveva ricevuto la chiamata di sua sorella non poteva immaginare che quella telefonata gli avrebbe cambiato la vita ma era bastata una manciata di minuti affinché tutto assumesse un senso sinistramente compiuto. Lo aveva percepito come qualcosa d’inevitabile. Si dice che tra gemelli si sviluppi una specie di comunicazione telepatica e che i pensieri arrivino, dall’uno all’altro, prima ancora di diventare parole. Lui non ci aveva mai creduto prima dell’altra notte. Mai.
I due uomini aspettavano silenziosi e pazienti, di parlare con qualcuno. Erano sporchi, trasandati e dall’odore che emanavano, un misto di sudore e mare, nessuno dubitava che fossero pescatori. Il Sergente Carlo Marchetti uscì dalla porta accanto a loro e faticando a trattenere una smorfia di disgusto, parlò brevemente col più anziano, un uomo di cinquantacinque anni, non molto alto, dal fisico robusto, tipico di chi è abituato alla fatica, il cui volto rugoso dalla pelle perennemente bronzea, bruciata dal sole per gli anni trascorsi in mare, ne mostrava molti di più. L’uomo parlò per entrambi; l’altro, più giovane, era suo genero. I due possedevano una barca da pesca, una lampara, che permetteva loro una vita dignitosa; disse di chiamarsi Fernando Albioni e aggiunse di avere qualcosa da dire sul morto della San Giorgio. Il Sergente Marchetti rispose loro di aspettare lì, poi corse a cercare il Sovrintendente Capo Rigo.
Qualcosa. Un movimento dal profondo del suo essere che lo costrinse a svegliarsi. Se c’era stato, era avvenuto solo nel sogno. Aprì gli occhi. Nel buio della stanza, la fredda luce della luna filtrava dalle persiane semichiuse provocandogli un senso di fastidio. Forse era per quello che si era svegliato. Nell’immobilità della calura estiva cercò qualcosa di familiare su cui concentrare l’attenzione per calmarsi. Tutto era a posto. Tutto come sempre. Ma lui sapeva che niente sarebbe mai stato più come prima. E che niente dura per sempre! I rumori della notte giungevano lontani. Guardò le lancette fluorescenti del suo orologio ferme alle quattro e cinquantadue. Ormai non funzionava più, l’acqua aveva penetrato la tenuta stagna della cassa cortocircuitando la parte elettrica del meccanismo. Era un regalo di suo padre. Adesso, però, non era altro che un inutile orologio rotto. Pensò a quanto fossero simili, lui e il suo orologio rotto. Inadeguati. Imperfetti. Una lacrima scese lentamente dalla sua guancia. L’asciugò poi rimase immobile finché I suoni non si fecero, lentamente, sempre più lontani fino a svanire completamente dalla sua testa. Fissò di nuovo il suo orologio. Era un duro prezzo da pagare!
L’Ispettore Kadlic bevve un sorso del suo cappuccino poi addentò il croissant ma subito dopo fece una smorfia. Lo aveva chiesto col ripieno alla marmellata di ciliege e invece gliene avevano portato uno farcito alla crema. Odiava la crema!
– Buongiorno, Ispettore. – disse una voce fuori campo vagamente familiare. Con la tazza del cappuccino a mezz’aria, alzò gli occhi in cerca del suo proprietario
– Buongiorno a lei, Sovrintendente Capo. – rispose abbozzando un sorriso formale – Si sieda. Prego – lo invitò indicando la sedia di fronte a lui – Non so se l’hanno già informata… – proseguì – …Ma Il G.I.P. ci ha assegnato l’indagine. –
– Naturale. – fece Andrea Rigo accennando un sorriso furbo
– Già. – commentò senza entusiasmo l’Ispettore Kadlic. Conoscevano entrambi la reale motivazione dell’investitura; in estate il personale scarseggia e in casi come il loro, la prassi non scritta esigeva che l’ispettore sopraggiunto sul luogo del crimine fosse automaticamente incaricato dell’indagine. Punto. Non c’entravano, bravura, competenze o anzianità di servizio. Lasciato il resto del cornetto sul piattino, abbassò lo sguardo – Questo è il mio primo caso. – confessò. Lo aveva detto. Si era liberato di quel peso. Del resto ci stava provando. Stava cercando una traccia. E non era mica facile, porca miseria! Non era mai stato facile per lui, che si chiamava Bruno Kadlic e che si portava dietro il nomignolo di Zingaro praticamente da sempre. Primo giorno d’Accademia di Polizia compreso
– Purtroppo non abbiamo ancora molti elementi. – provò a sdrammatizzare il Sovrintendente Capo sfoderando un consolatorio sorriso di circostanza. Era un uomo sulla cinquantina dai baffi e capelli brizzolati, occhi vispi, un naso importante e zigomi alti che, uniti al sorriso rassicurante, lo facevano sembrare più un venditore d’auto usate piuttosto che un efficiente poliziotto della Squadra Omicidi; si teneva ancora in discreta forma fisica e da giovane era stato Campione Regionale di judo della Polizia. Apparentemente poteva essere scambiato per il tipico Vitellone da Riviera, perennemente a caccia d’avventure galanti soprattutto con le turiste straniere che d’estate prendevano d’assalto la zona
– Ha letto il rapporto della Scientifica ? – chiese scettico l’ispettore Kadlic porgendogli il piccolo fascicolo che teneva sulla sedia accanto a se’
– Ancora no. – ammise l’altro iniziando a scorrere le prime pagine mentre lui ne approfittava per accendersi una sigaretta
– Sulla barca ci sono le impronte di Pillander, più altre che risultano sconosciute – lo informò Kadlic – Ma la cosa più importante è che i rilevamenti indicano chiaramente la presenza di una terza persona. – Rigo sgranò gli occhi perplesso – Sta scritto lì. – fece lui indicando il Rapporto Preliminare – Pare che Colasanti sia stato accoltellato da due diverse persone. Una è sicuramente Pillander che, come lui stesso ci ha confessato, era andato sulla San Giorgio per vendicarsi del fallimento della MrCHEF’S, la società di ristorazione che aveva messo su assieme alla vittima. L’altro è tutt’ora sconosciuto. Sempre secondo la versione di Pillander, Bernardo Colasanti aveva deliberatamente fatto fallire la loro attività riducendolo sul lastrico e appropriandosi del capitale versato, oltre ottocentomila euro, più altri soldi nei vari conti correnti che aveva prosciugato poco prima del crack. L’altra sera, quando ha affrontato il suo ex socio in affari, questi gli ha riso in faccia dicendo che poteva dire addio a quel denaro, visto che lo aveva sperperato fra donne e bella vita. Lui non c’ha visto più. Ha estratto il coltello. C’è stata una colluttazione e alla fine il Colasanti era steso a terra col suo coltello piantato nel fianco. Credendo d’averlo ucciso è scappato dalla barca in preda al panico. E qui nasce il primo inquietante quesito. – finì il suo cappuccino – Pillander sostiene d’aver incrociato un uomo che, secondo lui, era diretto alla San Giorgio. Ne è sicuro, perché nella concitazione del momento gli è finito addosso quasi abbattendolo mentre scendeva di corsa dalla passerella della barca. Inoltre… L’arma del delitto è sparita mentre Pillander dice di averla lasciato il coltello piantato nel fianco della vittima. E adesso arriviamo al secondo inquietante quesito. Tutto ciò smentirebbe la testimonianza dei due pescatori che sostengono d’aver visto qualcuno, probabilmente August Pillander, saltare dalla barca ormeggiata accanto alla loro sulla San Giorgio. Ora… Se teniamo conto della sua versione, e del fatto che la ferita che ha inferto a Colasanti non era mortale, sarebbe ragionevole pensare che entrambi dicano la verità e che il misterioso uomo che Pillander ha incontrato fuggendo possa effettivamente essere l’assassino. Infatti, secondo il Rapporto Preliminare sono state le altre undici coltellate ad uccidere Bernardo Colasanti, di cui ben tre mortali. – fece una breve pausa per chiamare il cameriere – …Il ché ci porta direttamente all’ultimo quesito. Abbiamo a che fare con due diversi aggressori? Il secondo, però, sembra essere un fantasma e la testimonianza dei pescatori confermerebbe l’innocenza di Pillander. L’unico dato certo, è che c’era qualcun altro sulla barca. Secondo il referto del Medico Legale, le ferite mortali sono state inferte da una persona alta circa un metro e ottanta ma August Pillander è più basso di parecchi centimetri… – lasciò la frase a metà per consentire al cameriere di prendere l’ordinazione del suo ospite
– …Quindi… E’ un gran casino, ispettore. – commentò il Sovrintendente Rigo – Sostanzialmente il Rapporto Preliminare scagiona Pillander eliminando il nostro unico sospettato. Per di più reo confesso. – aggiunse pensieroso chiudendo il fascicolo per riporlo dinanzi a se’ – …Ma può anche darsi che egli avesse un complice col quale si è dato appuntamento alla barca e che ora stia cercando di addossargli la morte del suo ex socio. – osservò subito dopo
– …Oppure che non voglia dirci di più, su di lui, per paura di finire come Colasanti. – ipotizzò a sua volta l’Ispettore Kadlic completando il quadro delle supposizioni
– La sola cosa certa, stando al Rapporto Preliminare, è che non è stato August Pillander a uccidere Bernardo Colasanti. – ribadì il Sovrintendente Capo Rigo
– Però… Se davvero non è stato lui e stesse dicendo la verità… Potrebbe aver visto in faccia l’assassino. rifletté ancora l’Ispettore Kadlic
– Proverei con un identikit per cercare di stabilire se davvero ha visto il nostro misterioso uomo o s’è inventato tutto. – propose il Sovrintendente Capo
– Quando l’abbiamo interrogato non ricordava quasi niente. Farfugliava frasi sconnesse. Continuava a ripetere L’ho ammazzato! e poi scoppiava a piangere. – ricordò l’ispettore Kadlic – Magari possiamo provare oggi… Se gli diciamo che non è stato lui ad assassinare Colasanti, può darsi che, liberando la mente, riesca a darci qualche indicazione. Sempre che stia dicendo la verità. –
– Mi pare un’ottima idea. – approvò il sottufficiale. Alzandosi per chiamare il cameriere fu attratto dalla coppia di donne sedute a due tavolini da loro dimenticando tutto il resto
– Lasci stare. Sovrintendente. – si affrettò a dire l’Ispettore Kadlic – Oggi offro io. – annuendo distrattamente Andrea Rigo continuò a guardare le due donne. Lui era nella merda fino al collo e i suoi collaboratori non trovavano niente di meglio da fare che mettersi a corteggiare le turiste! – …La prossima volta toccherà a lei… – aggiunse più per dovere di circostanza che per effettivo proposito estraendo il telefono cellulare dalla tasca interna della giacca
– Grazie. Chi sta chiamando ? – chiese il sottufficiale vedendo che aveva preso lo smartphone
– L’avvocato De Meis. – rispose lui con una leggera smorfia. Non nutriva grande fiducia nei legali. Secondo il suo modo di vedere, essi erano sempre troppo interessati a studiare cavilli per far ottenere la libertà ai propri clienti piuttosto che chiedersi chi andavano a liberare
– Intende l’avvocato Sonia De Meis ? – chiese Andrea Rigo risvegliandosi improvvisamente
– Sì. Esatto. – confermò l’Ispettore Kadlic – Perché ? La conosce ? –
– Se stiamo parlando di Sonia De Meis, dello Studio Legale Anselmo De Meis e Associati direi proprio di sì. – confermò il poliziotto che vedendone l’espressione curiosa, decise per una sommaria spiegazione aggiuntiva – Si tratta del più importante studio legale di Porto San Giorgio e, nella fattispecie, del miglior avvocato di tutte le Marche. Non è un’esagerazione. La prego di credermi sulla parola. –
– Una tipa tosta. – sorrise dubbioso lui
– Aspetti d’incontrarla. – mormorò il Sovrintendente Capo lanciandogli uno dei suoi proverbiali sorrisi da venditore d’auto usate mentre lui parlava col legale
– L’appuntamento è fissato per oggi pomeriggio. – disse breve l’Ispettore Kadlic riponendo il cellulare nella tasca della giacca.
Sonia De Meis era una bellissima donna di trentacinque anni. Seno prosperoso ma non abbondante, un viso dall’ovale quasi perfetto su quale spiccavano due grandi occhi, neri e brillanti, inframezzati da un naso regolare; il fisico longilineo e le lunghe gambe snelle ne facevano più un’ex modella che un avvocato penalista. Era piuttosto alta, poco meno di un metro e ottanta, e vestiva sempre classico per dimostrare un’età maggiore di quella che effettivamente aveva in quanto, sosteneva, in quel modo il suo aspetto era molto più rassicurante; così gli uomini, coi quali spesso si trovava a interagire, abbassavano più facilmente le difese credendola inoffensiva o addirittura sprovveduta. Cosa che non era affatto, ma quando se ne rendevano conto era ormai troppo tardi. Il legale guardò prima il Sovrintendente Capo Rigo e poi l’Ispettore Kadlic. August Pillander fissava il piano del tavolo scuotendo appena la testa
– Ve lo chiedo di nuovo. Cosa volete esattamente dal mio cliente ? – disse lei con voce pacata ma ferma
– Quello che c’è nella sua testa. – rispose con altrettanta fermezza l’Ispettore Kadlic – Come le ho già detto poc’anzi, riteniamo che il suo cliente non abbia ucciso Bernardo Colasanti. Ma è molto probabile che abbia visto in faccia l’assassino. Se collabora… –
– Totale depenalizzazione del reato. Da tentato omicidio a semplice aggressione. – fece asciutta la donna fissandolo dritto negli occhi
– Scherza ? – si sorprese lui – Il suo cliente ha accoltellato la vittima. L’ha perfino ammesso durante l’interrogatorio dell’altra sera ! –
– Il mio cliente era sotto shock. Non ero presente all’interrogatorio. E non mi risulta sia stata trovata l’arma dell’aggressione. Ribadisco la mia offerta. Collaborazione in cambio della depenalizzazione delle accuse. –
– Lei è pazza ! – scattò l’Ispettore Kadlic – Quando si ritroverà in galera con una pena di trentanni per omicidio volontario, si ricordi del suo avvocato ! – aggiunse rivolto a Pillander che li guardava stralunato
– Il mio cliente non sconterà nemmeno un giorno di prigione. L’interrogatorio al quale è stato indebitamente sottoposto non ha valore. Anzi, potrei farvi incriminare per sequestro di persona e abuso di potere nell’esercizio delle vostre funzioni. – sorrise beffarda
– D’accordo. – intervenne il Sovrintendente Capo Rigo – Supponiamo che si possa parlare col G.I.P. e tentare una depenalizzazione dei reati. Il suo cliente sarebbe disposto a collaborare e fornirci un identikit della persona che ha incontrato scendendo dalla barca di Colasanti ? –
– Ma… – fece l’Ispettore Kadlic sbalordito
– Prima vediamo cos’ha da offrire il G.I.P. – replicò l’avvocato De Meis. Il Sovrintendente Capo fece un cenno al suo superiore e assieme uscirono dalla stanza
– Quella donna… –
– Lo so. E’ più velenosa di Cobra Reale. – sorrise divertito il sottufficiale. Del resto lo aveva avvertito!
– Ok. Che facciamo ? – si convinse rapidamente l’Ispettore Kadlic
– Chiamiamo il G.I.P. Anzi… Lei, Ispettore, chiama il Giudice Fumagalli e le spiega la situazione. Se vuole un consiglio… Cerchi d’essere convincente. – aggiunse sornione.
– Non me lo dica. Conosce anche lui ? –
– Lei. Alessandra Fumagalli. E’ una donna. Buona fortuna. – lo salutò sfoderando il suo miglior sorriso da venditore d’auto usate mentre rientrava nella stanza dell’interrogatorio.
Dieci minuti più tardi l’ispettore Kadlic raggiunse il terzetto; dal suo volto tirato, i presenti compresero che c’era qualche intoppo. Formulò una breve frase di scuse all’indirizzo di August Pillander, incaricò il Sovrintendente Capo di espletare le pratiche per il suo rilascio sotto custodia cautelare, quindi comunicò al legale che, per l’accordo, si sarebbero risentiti in settimana. Non stava andando affatto bene!
Silenzio. Assordante come la musica trash-metal che ascoltava in cuffia dal suo lettore mp3. Le parole arrivavano lontane, svuotate di qualsiasi significato. Suonavano bene. Questo sì. Ma solamente se si concentrava sulla melodia. Silenzio. Ne aveva bisogno come il disperso cerca l’acqua nel deserto. Intorno a lui gente indaffarata in qualcosa di perfettamente inutile. Qualcuno gli sfiorò il braccio provocandogli un senso di ribrezzo. Non riusciva ad abituarcisi. Con una scusa andò in bagno. Odiava qualsiasi tipo di contatto. Odiava tutto. Voleva solamente scomparire. Andare via. Ma dove? Silenzio. Un uomo comparve all’orizzonte del suo campo visivo; il sorriso ebete, stampato sulla sua faccia, aumentò il senso di nausea e disgusto. Forse non voleva scomparire, ne’ scappare. Semplicemente voleva che il mondo scomparisse alla sua vista. Silenzio. Se si concentrava abbastanza, riusciva a rifugiarvisi. Almeno per un po’.
La donna attendeva ansiosa con la cornetta del telefono all’orecchio; erano quasi le undici del mattino ma contrariamente ai giorni precedenti il sole tardava a bucare le nuvole che sovrastavano Porto San Giorgio
– Ciao. Sono io. – disse dopo qualche altro squillo d’attesa
– Ciao. Lo sapevo. – rispose l’uomo all’altro capo del telefono
– Hai letto i giornali in questi giorni ? – s’informò lei
– Certamente. –
– Devo chiedertelo… – disse la donna accorata – Sei stato tu ? –
– No. – alla risposta decisa lei trasse un lungo respiro e non commentò – Sei la mia sorellina – aggiunse l’uomo affettuoso – Non potrei mai mentirti. –
– In effetti no. –
– Mamma come sta ? Le hai detto niente ? – s’informò lui
– No. Sta tranquillo. Non le ho detto nulla. La Polizia l’ha riaccompagnata a casa quasi subito. –
– Brava, sorellina. Ti voglio bene – sorrise inconsapevolmente l’uomo – Ora devo lasciarti. – la salutò frettolosamente prima di riagganciare
– Anch’io – rispose lei preoccupata nonostante la comunicazione fosse già stata interrotta. Una coppia di mezza età entrò nel negozio. Lui teneva per i manici due voluminose buste di carta, frutto dello shopping pomeridiano per le vie del Borgo Vecchio, mentre lei girovagava per la boutique senza un’idea precisa, finché non prese un vestito color pesca dall’ampio scollo e se lo poggiò addosso. Allora lui s’incantò estasiato, come se la vedesse per la prima volta in vita sua, e lei gli restituì un sorriso malizioso e ammiccante. Sospirando per esorcizzare la sua malinconia, la donna sfoderò il miglior sorriso che le veniva e li raggiunse.
Bruno Kadlic era di nuovo seduto al tavolo del bar vicino al Commissariato. Stesso tavolo. Stesso posto. Pensieri sempre più tetri.
– Buongiorno. – lo salutò allegro il Sovrintendente Capo Rigo – Dormito male ? – chiese notando le sue profonde occhiaie
– Non più di altre volte. – rispose lui abbozzando un sorriso svogliato – L’impianto di condizionamento della stanza che ho affittato s’è rotto di nuovo. Dopo appena due giorni dalla riparazione. – fecero una breve pausa per dar modo al cameriere di lasciare il suo cappuccino e il croissant, stavolta farcito alla marmellata di ciliegie, sul tavolino – …E vuole sapere cosa mi ha risposto la padrona di casa dopo che gliel’ho fatto notare ? – il Sovrintendente fece appena un cenno di assenso col viso – Se non le va bene, mi faccia causa. –
– Gentile da parte sua. – commentò poi sorridendo
– Ad essere precisi… La sua risposta è stata Se non ti va bene te ne puoi pure andare. Zingaro! –
– Suppongo non sapesse di stare a parlare con un poliziotto. –
– Già. – confermò Kadlic – E comunque non gliel’ho detto. – aggiunse storcendo la bocca in maniera infantile – A proposito di sincerità… Perché non mi ha detto che il Giudice Fumagalli odia Sonia De Meis ? – chiese a bruciapelo. Il Sovrintendente Rigo sorrise di nuovo, stavolta in modo più convincente – E’ una vecchia storia. Nessuno sa com’è andata esattamente. Comunque… Le basti sapere che erano amiche e che poi hanno litigato per colpa di un uomo. –
– …E chi sarebbe l’oggetto del contendere ? – chiese con fare pettegolo
– Colui che lei ha sostituito . Ispettore. – ribatté infastidito il Sovrintendente cambiando improvvisamente espressione
– Un suo amico, immagino. – commentò asciutto l’Ispettore Kadlic
– Il miglior poliziotto col quale abbia mai lavorato. – ci tenne a precisare Andrea Rigo
– Be’… Dato che non lo rivedrà per un po’… Dovrà accontentarsi di me. – fece lui percependo una sorta di durezza in quelle parole – Non pretendo di essere amici, però cerchiamo di collaborare. Almeno per trovare l’assassino di Bernardo Colasanti. Poi ognuno per la sua strada. – aggiunse stizzito. Era stufo di quel posto, di quella gente e di tutti i casini di cui non era al corrente. Improvvisamente le parole di suo padre gli apparvero limpide e attuali come non lo erano mai state Per i gaggi, saremo sempre zingari. Non ti accetteranno mai. Loro non sono la tua gente. Noi siamo la tua famiglia. Non sarai mai uno di loro. Ricordalo! lo aveva ammonito restituendogli con velato disprezzo la sua pagella prima di tornare a smontare la Mercedes che lui e suo fratello Zoran avevano rubato. Allora aveva sei anni. A scuola era il più bravo della classe, e forse dell’intero istituto, e di lì a poco avrebbe incontrato l’uomo che avrebbe cambiato il suo destino. Ma quella, era un’altra storia.
– Ha ragione. Mi scusi. – lo sorprese il Sovrintendente Capo riportandolo al presente – …E’ che ancora non riesco ad abituarmici. –
– A me ? –
– Al fatto che l’ispettore Capo Andreani se ne sia andato. – per la prima volta, da quando si conoscevano, gli sorrise senza l’espressione da venditore d’auto – Venivamo sempre qui. A riflettere. A farci l’ultima birra prima di tornare a casa. A chiacchierare di donne. – rivelò con una punta di malinconia nella voce
– Mi sono seduto in questo bar perché è vicino al Commissariato – rispose Kadlic quasi a giustificarsene
– Oh, non deve scusarsi, Ispettore. Se c’è una cosa che ho imparato dalla vita, è che Chiusa una porta si apre un portone . Almeno così dice sempre mia madre. –
– Spero che sua madre abbia ragione. Ieri ho litigato col Giudice Fumagalli. – decise di metterlo al corrente accendendosi una sigaretta
– Allora mi permetta di darle un consiglio. Stia molto attento a ciò che fa. Quella donna è molto vendicativa. – fece serio il sottufficiale
– Sì. Lo immaginavo. Credo che l’unico modo che ho, per uscirne vivo, sia risolvere il caso della San Giorgio il più in fretta possibile. – commentò lui sbuffando una nuvoletta di fumo grigiastro
– Sono d’accordo. – ne convenne Rigo – Stavo giusto pensando a quello che ci siamo detti l’altro giorno… – spostando lievemente il busto verso sinistra prese il suo taccuino dalla tasca interna del giubbotto di jeans – Nella sua disamina, Ispettore, ha dimenticato Anita Corolli. Anche lei era sulla barca, visto che è lei che materialmente ha rinvenuto il cadavere. Ad occhio e croce mi pare di poter escludere che sia sufficientemente alta da poter essere sospettata del delitto. Però potrebbe aver visto qualcosa di sospetto mentre saliva a bordo. – si fermò un istante poi riprese – Inoltre c’è un altra cosa che che ci è sfuggita. Un’automobile è stata segnalata dalla Capitaneria di Porto al Comando dei Vigili Urbani per parcheggio abusivo nella zona riservata ai dipendenti la notte in cui è avvenuto l’omicidio. Una Fiat Bravo targata AG791DN. Parcheggiata proprio di fronte alla San Giorgio. Il proprietario si chiama Marco Binachi. Programmatore di computer che vive ad Ancona. L’ho rintracciato per telefono. Ha detto che quella sera si trovava qui, in città, in visita a sua sorella. – concluse scettico
– Che c’è ? – chiese Kadlic – La storia non la convince ? E’ un pregiudicato ? – si affrettò a ipotizzare sperando di avere finalmente qualcosa su cui lavorare. Aveva bisogno di una traccia. Esordire con un fallimento, alla prima indagine, non era il massimo della vita. Il Giudice Fumagalli non gliel’avrebbe mai perdonato
– Sua sorella, Giada Binachi, vive nella parte nuova della città – spiegò Rigo fissandolo – Molto distante dal porto. – aggiunse dopo una breve pausa – Anche supponendo che Marco Binachi abbia cercato parcheggio allontanandosi un po’ da lì… Il porto è decisamente troppo fuori mano. Inoltre il funzionario della Capitaneria, con cui ho parlato, mi ha confidato che, oltre al personale, nei loro posti riservati ci parcheggiano anche i portuali. In genere le auto sono tutte conosciute e loro non fanno problemi. Però, se l’altra notte se la sono presa così tanto da chiamare un carro attrezzi e annotare la targa dell’auto… E visto che, quando il mezzo è arrivato sul posto, l’auto era già sparita, le possibilità sono due : o qualcuno non ha avvertito chi di dovere e ha parcheggiato lo stesso dove non poteva. Oppure… –
– …Oppure il proprietario dell’auto sapeva già che non si sarebbe fermato lì molto a lungo. – lo anticipò Kadlic
– Appunto. Se consideriamo l’ora del decesso, avvenuto fra le quattro e le cinque del mattino… –
– Andiamo a parlare con… Come ha detto che si chiama ? – chiese l’ispettore Kadlic alzandosi per chiamare frettolosamente il cameriere
– Marco Binachi – sorrise il Sovrintendente Rigo. Incominciava a piacergli il ragazzo!

Come è nata l’idea di questo libro?
Qualche anno fa, mentre girovagavo per il web in cerca di concorsi letterari m’imbattei nel bando del comune di Porto San Giorgio, che forniva anche un incipit messo a disposizione da uno scrittore professionista. Incuriosito, decisi di mettermi alla prova. Bruno Kadlic nacque in quel momento ma per molto tempo il racconto e il suo protagonista restarono sepolti nell’hard disk del mio notebook finché, dopo diverso tempo, forse un altro anno buono, decisi di mettere un po’ d’ordine nel caos dell’hard disk e m’imbattei nuovamente in lui. Da quel momento incominciai a elaborarne i tratti e ad arricchirne la storia fino alla decisione di creare questa mini-trilogia di tre racconti.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile ma molto faticoso. Ho lavorato ai tre racconti in differenti fasi, alternandoli ad altri progetti, per cui se da un lato ciò mi ha permesso di giungere a un buon risultato complessivo (è la mia opinione ma io sono di parte – ride n.d.r.) dall’altra è stato un processo lungo e molto lento. Bisogna poi tener conto del fatto che io mi occupo di tutto il ciclo produttivo : dall’ideazione alla creazione dell’e-book, passando per la composizione grafica della copertina fino alla realizzazione del booktrailer. Però ne è valsa la pena.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Nel corso degli anni mi sono imbattuto in molti autori che mi sono piaciuti. Diciamo che ognuno di quelli che ho letto mi ha lasciato qualcosa. E non potrebbe essere altrimenti. Tra i miei preferiti, cito con affetto due autori : Emilio Salgari che con i suoi romanzi avventurosi ha sollecitato la mia fantasia di bambino ed Eric Van Lustbader (ora molto conosciuto per la saga di Jason Bourne) perché con la sua trilogia sul ninja, poi raddoppiata, mi ha affascinato contribuendo ad accrescere il mio già grande amore per l’Oriente. Una menzione speciale a Philip K. Dick e Isaac Asimov , anche se la mia passione per la Fantascienza si ferma alla lettura o poco altro, e infine a Carlo Lucarelli, il cui Almost Blue è per me un piccolo capolavoro.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Roma, dove ho sempre vissuto fino al 2012 anno in cui mi sono trasferito nella vicina Guidonia. In provincia.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Devo confessare che questo non è il mio esordio assoluto. Ho già pubblicato, in passato, altri romanzi con uno pseudonimo che non vorrei rivelare. Considero questo mio lavoro il mio nuovo debutto e ho intenzione di pubblicare altri romanzi e mini-trilogie giallo/noir con il mio vero nome, senza però rinunciare al mio pseudonimo che si occupa di altri generi.
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