
Edito da Anonimo Laudense nel 2019 • Pagine: 160 • Compra su Amazon
Questo breve saggio si propone di introdurre al lettore, in maniera essenziale e accessibile, alcune nozioni fondamentali su Dio e sul mondo tratte dalla visione filosofico-religiosa nata diversi millenni orsono nell'India antica, mostrandone la significativa corrispondenza con il pensiero del grande mistico medievale Meister Eckhart. Su queste basi, e con l'ausilio della semplice riflessione filosofica, si procederà a un'analisi critica di un certo numero di posizioni sostenute dal noto teologo laico Vito Mancuso.
La teologia non dovrebbe essere appannaggio esclusivo di chi non ha altro scopo che legittimare e conservare miti e dogmi da lungo tempo stantii, bensì ricerca libera e fondata sulla sola ragione umana nei confronti di ciò che siamo usi chiamare Dio. Ridotta a esegesi e apologia, com'è tristemente da secoli, la teologia non serve a niente e a nessuno, salvo ai teologi di professione che se ne servono per giustificare la propria esistenza. L'autore, laureato in Filosofia a Roma e attualmente iscritto come uditore presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale a Milano, intende proporre una strada diversa, allo stesso tempo nuova e antica: riportare il discorso su Dio (la teologia) nell'ambito che gli è proprio, che è quello della filosofia e, in casi eccezionali, dell'esperienza personale. Le tesi espresse dal noto teologo "fuori le mura" Vito Mancuso, basate quasi interamente su un'onesta riflessione filosofica e anche per questo fortemente critiche di molti dei dogmi cattolici, sono un ottimo punto di partenza per dimostrare che si può fare molto di più.
E di meglio.Il testo è di natura divulgativa, adatto a chiunque manifesti interesse per questo tipo di argomenti.

Urge, a questo punto, correggere l’opinione radicalmente errata che il professor Mancuso ha del funzionamento del ciclo delle rinascite. Segnatamente, appare evidente come Mancuso si concentri unicamente sulla concezione buddhista della reincarnazione, che – in effetti – non prevede la sussistenza di un sé personale a seguito della morte terrena.1 Così come la presenta lui, è vero che la teoria della reincarnazione risulterebbe difficilmente accettabile e inutilmente crudele. Per fortuna esiste un modo molto più sensato e aderente alla realtà di interpretare l’intero processo.
Nessuna delle critiche che Mancuso muove alla tesi del ciclo delle rinascite corrisponde al contenuto di tale tesi, se correttamente intesa. Non è vero che la storia della singola libertà dell’individuo venga distrutta; non è vero che tutta l’esperienza acquisita in questa vita andrà persa; non è vero che l’ordine e l’informazione prodotti dentro l’anima verranno cancellati; non è vero che la storia della coscienza sarà azzerata. E, se è vero che l’immagine comunemente usata nelle tradizioni orientali per descrivere il destino del mondo è quella dell’eterna ruota del samsara,2 è altrettanto vero che è perfettamente inutile citare tale ruota senza spiegarne il significato e il meccanismo di funzionamento. Tanto per cominciare, va specificato che la ruota del samsara rappresenta in primo luogo l’esistenza nella sua intierezza, che procede, secondo le dottrine filosofico-religiose dell’India, in cicli sempre nuovi e senza fine di durata temporale per noi inconcepibile. Di gran lunga più interessante e concreto per noi umani è l’aspetto individuale di tale concezione, che siamo certamente in grado di capire e di volgere a nostro vantaggio.
Contrariamente a quanto gli avversari dell’idea del ciclo delle rinascite (Mancuso compreso) paiono credere, la ruota del samsara non è affatto eterna e priva di scopo per l’individuo, l’equivalente quindi della più tetra delle prigioni dalla quale non vi è possibilità di fuga. Essa rappresenta anzi la raffigurazione di un destino dal quale non solo è possibile ma addirittura desiderabile e necessario liberarsi (salvarsi, in termini cristiani). Nella tradizione buddhista, il concetto di samsara viene spesso raffigurato con l’ausilio di un’immagine leggermente diversa, la ruota dell’esistenza (bhavacakra, in sanscrito), al cui centro si trovano i cosiddetti “tre veleni”, che simboleggiano le tre catene più pesanti che legano l’uomo comune al ciclo delle rinascite chiamato, appunto, samsara.
Solitamente vi si trovano un gallo che rappresenta la cupidigia – o, più in generale, l’attaccamento in tutte le sue forme –, un serpente che rappresenta l’odio – o, più in generale, l’avversione in tutte le sue forme – e un cinghiale che rappresenta l’ignoranza. I tre animali si mordono reciprocamente la coda, a indicare quanto ciascuno di questi rovinosi difetti umani sia legato agli altri due. Per tornare all’individuo: lo scopo della vita terrena di ciascun essere umano è proprio quello di prendere coscienza di questa realtà e – una volta compreso che da questa realtà è possibile liberarsi – concentrare tutti i propri sforzi nel tentativo di raggiungere uno stadio superiore dell’esistenza libero dalle usuali fatiche e sofferenze alle quali tutti siamo abituati. Se ne deduce che la ruota del samsara, per l’anima individuale, non può essere eterna, visto che la meta dell’esistenza materiale consiste proprio nel sottrarvisi definitivamente e non rinascere più in forma incarnata.
Possiamo quindi tranquillamente affermare che – in questa concezione del mondo e della vita – è più che mai rispettata la logica che Mancuso correttamente identifica nella storia del cosmo, cioè la crescita continua dell’informazione. L’ordine e l’informazione prodotti dentro l’anima (secondo la definizione di Mancuso) nel corso della vita, infatti, non vanno affatto persi. E questo vale per tutte le numerose vite che siamo “costretti” a vivere in forma incarnata. È proprio quell’informazione – quindi l’insieme di tutte le nostre azioni, buone e cattive, di tutti i nostri pensieri e di tutti i nostri progressi morali e spirituali, se ve ne sono stati – a formare lo schema generale delle esperienze che ci toccheranno nella vita successiva. Sarà bene, allora, non dimenticare mai che tutto quello che ci accade è il risultato del karma accumulato in precedenza, mentre come rispondiamo alle circostanze che ci si presentano di volta in volta contribuirà a stabilire il nostro karma futuro, e quindi tutte le prove che ci troveremo ad affrontare, sia nel corso della nostra vita attuale che in quelle successive.
In questo senso, il karma non va mai confuso con un destino prestabilito, ai cui effetti è impossibile sfuggire. Siamo noi a influire quotidianamente sul nostro karma e siamo sempre noi gli unici responsabili del frutto delle circostanze karmiche nelle nostre vite. Con il risultato di preservare molto meglio che in qualunque altro sistema quella libertà che Mancuso, a ragione, considera tanto preziosa. L’intero sistema, evidentemente, non avrebbe alcun senso in assenza di una perfetta continuità della storia della coscienza (per usare le parole di Mancuso). E infatti questa continuità esiste ed è garantita dalla costituzione stessa dell’essere umano, che è un mirabile miscuglio di corpo e anima, di materia e spirito.
«Ammesso pure che io come anima sopravvivrò, magari in un uomo migliore, magari in una donna peggiore, magari chissà […].» Quando Mancuso scrive queste parole, mette in fila una serie di inesattezze che contribuiscono fallacemente a rendere poco credibile la teoria del ciclo delle rinascite. Non è corretto, infatti, affermare che l’anima sopravvive alla morte corporea: l’anima vive e basta. Vive quando è libera da un corpo così come quando vi è legata. Vive prima del corpo e continua a vivere dopo il corpo. Usare il verbo “sopravvivere” significa subordinare in maniera sottile l’anima all’animale homo, quando è vero esattamente il contrario: l’anima è il noumeno, il corpo nulla più di un fenomeno. L’anima non passa mai e il corpo ne è solo un accessorio temporaneo, del tutto privo di valore in sé: la misura dell’importanza del corpo consiste unicamente nel ruolo che esso svolge nel consentire all’anima di perseguire i suoi scopi. Inoltre, così com’è formulata, la frase di Mancuso sembra voler far credere che la successiva reincarnazione avverrebbe in maniera più o meno casuale. Nulla di più falso: quando sarà il momento, l’anima si ripresenterà nel mondo materiale rispettando con grande precisione tutta una serie di parametri che derivano sia dal percorso precedente che dai nuovi obiettivi che l’individuo (anima spirituale) si sarà posto. Compresi i numerosi fattori che non siamo in grado di influenzare, una volta venuti al mondo: da chi sono i nostri genitori a chi sono i nostri fratelli e sorelle; dalla nostra etnia alla parte di mondo in cui nasceremo; dalle eventuali malattie congenite alle “disgrazie” che potrebbero capitarci nel corso della nostra esistenza terrena.3
A questo punto, è facile identificare un altro elemento di confusione introdotto da Mancuso, che contribuisce a rendere incomprensibile il funzionamento del ciclo delle rinascite, regolato dalla legge del karma. Mi riferisco alla definizione deficitaria di cosa faccia parte della natura animale dell’uomo e cosa della sua natura spirituale. Per Mancuso è impossibile tenere separati i due aspetti, a causa della sua visione complessiva del mondo, che egli chiama emergentismo. Vedremo più avanti di cosa si tratta. Per ora, mi preme mostrare come la quadripartizione dell’anima illustrata da Mancuso non sia razionalmente giustificabile e necessiti di essere corretta. Mancuso – attingendo a piene mani da Aristotele – spiega che l’anima umana è divisa in quattro: l’anima vegetativa, comune a tutte le forme di vita, l’anima sensitiva, che contraddistingue gli animali, l’anima razionale, esclusiva dell’uomo. A un livello superiore, raggiunto da una parte soltanto dell’umanità (Mancuso non azzarda stime percentuali), si trova l’anima spirituale, l’ambito della libertà.4
Purtroppo, questo modo di spiegare la natura dell’essere umano contiene un errore di fondo: le cosiddette anime vegetativa, sensitiva e razionale non sono funzioni dell’anima (quindi dello spirito), bensì del corpo (cioè della materia). L’anima spirituale rende vivo (animato) il corpo quando lo abita, permettendogli di esplicare le sue funzioni. Ma si tratta di funzioni del corpo – dell’animale homo nel nostro caso –, non dell’anima. Il vertice delle funzioni corporee è quello che chiameremo la mente, cioè l’insieme di intelletto – la facoltà di pensiero, la razionalità, la memoria – e psiche – le emozioni, i sentimenti –, di cui tutti gli animali superiori sono dotati, sia pure a stadi di sviluppo grandemente differenti a seconda della specie. Che la mente sia una funzione del corpo è dimostrato dal fatto che le sue attività sono perfettamente localizzabili, e spesso addirittura influenzabili, dalla scienza: esse si trovano – infatti – nel cervello, dove è possibile registrarle e misurarle. Nessuno, invece, è mai stato in grado di localizzare l’anima, tanto che – come Mancuso sa bene – la sua stessa esistenza viene apoditticamente negata dalla maggior parte degli scienziati.5
Quando nel linguaggio comune si parla di anima, in realtà il più delle volte ci si sta riferendo alla mente, e specialmente all’aspetto psichico dell’uomo, che con l’anima spirituale non ha nulla a che vedere. Tra mente e anima esiste un collegamento, questo sì, perché è necessario che la mente rispecchi le peculiarità dell’individuo in relazione all’anima spirituale che “ospita”.6 Ma ciò non significa che mente e anima siano in alcun modo assimilabili.
1 Sebbene anche il Buddhismo cada in contraddizione, nella sua teoria sulla metempsicosi, al più tardi con la figura del bodhisattva. Se, come il Buddhismo (perlomeno nella scuola Mahayana) afferma, il bodhisattva è un individuo che – libero da ogni costrizione – per compassione nei confronti di tutti gli esseri senzienti sceglie di continuare a reincarnarsi finché tutti non saranno salvati, chi è colui che prende tale libera decisione, in assenza di un sé individuale dotato di personalità? Mistero.
2 Samsara è un’altra parola del sanscrito, che significa letteralmente scorrere, scorrere insieme, o anche vagare. Traducibile anche con oceano dell’esistenza, intendendo con ciò l’eternità della vita nelle sue varie forme.
3 Per quanto riguarda i fatti della vita apparentemente fuori dal nostro controllo, positivi o negativi che siano, anno dopo anno (della nostra vita terrena) essi sono sempre più influenzati dal nostro comportamento – inconsapevolmente, per chi non si rende conto di come funziona il meccanismo –, visto che quotidianamente costruiamo il nostro karma futuro, con ognuna delle nostre decisioni coscientemente prese.
4 Cfr. Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, cit., pagg. 98-100.
5 È noto che gran parte degli uomini di scienza – specialmente se atei – di fronte a una questione di cui non sono in grado di capire i termini preferiscono asserire che tale questione semplicemente non esiste, anziché ammettere i limiti del metodo scientifico. I quali limiti non rappresentano una diminutio, bensì la natura stessa di tale metodo, come tutti gli scienziati degni di questo nome dovrebbero sapere.
6 Precisiamo – a scanso di equivoci – che non si tratta di una collocazione spaziale, per cui l’anima si trova effettivamente dentro al corpo dell’individuo. Essendo di natura spirituale, l’anima, così come lo spirito, soffia dove vuole (Gv 3,8).

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea per il libro risale addirittura al 2014, quando un giorno mi ritrovai a chiacchierare di “massimi sistemi” con un mio caro amico. Mi vennero in mente due libri di Mancuso, che avevo letto quando il professore era assurto a fama improvvisa a seguito del successo di L’anima e il suo destino (pubblicato nel 2007). Lanciai l’idea di scrivere un libro noi, il mio amico e io, che sottoponesse a critica filosofica una serie di asserzioni di Mancuso che consideravo e continuo a considerare altamente problematiche e che proponesse una visione alternativa filosoficamente più convincente. Le argomentazioni di Vito Mancuso, per il suo modo di affrontare la materia con l’ausilio della sola ragione umana (o quasi), consentono il confronto delle idee, libero dalle gabbie ideologiche della teologia “ufficiale”, che in realtà non è altro che esegesi e apologetica. Al mio amico l’idea non piacque a sufficienza da volervi partecipare e il progetto rimase nel proverbiale cassetto per i successivi due anni, prima che mi ci appassionassi nuovamente, portandolo poi a compimento per conto mio. Il libro è stato scritto nel corso del 2016. Poi ho dedicato altri due anni alla ricerca di un editore disposto a pubblicarlo, senza successo. Per questo motivo, l’opera esce con grande ritardo rispetto alle mie intenzioni. Ma il suo contenuto è ancora perfettamente attuale, anche perché Mancuso non ha pubblicato, nel frattempo, niente che possa modificare la validità delle mie analisi critiche.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non moltissimo, in realtà. Ho voluto leggere nove saggi di Mancuso (quasi tutti quelli pubblicati fino al 2016) e ho visionato decine di video di conferenze e presentazioni dei libri del professore, reperibili online. Le fonti su cui si fondano le mie convinzioni filosofico-teologiche ovviamente le conoscevo già e ho solo dovuto riprenderle in mano per trarne le citazioni più adatte a sottolineare i pensieri che volevo esprimere. La scrittura del saggio mi ha impegnato per sette mesi esatti, anche perché non si tratta di un testo molto vasto. L’unico aspetto positivo della lunga attesa di un editore che non si è mai materializzato è stata la possibilità di apportare modifiche, correzioni e integrazioni al testo fino a pochi mesi fa.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Fatti salvi Platone e Immanuel Kant, che considero le due colonne portanti della filosofia occidentale, sarebbe pleonastico fare l’elenco di tutti i pensatori di rilievo della storia della filosofia. Per questo saggio ho attinto a piene mani all’opera di Marco Vannini, un pensatore dotato di rara lucidità teologica (quella vera, non quella “ufficiale”), che ha dedicato la sua vita a diffondere la conoscenza di grandissimi mistici cristiani poco frequentati nel nostro Paese, a cominciare dal più grande di tutti: quel Meister Eckhart di cui Vannini ha tradotto in Italia tutte le opere, dimostrandone altresì una profonda e per nulla scontata comprensione nei suoi commenti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Attualmente vivo a Lodi, quindi non lontano da Milano, come si evince dallo pseudonimo che ho scelto per pubblicare. In precedenza, ho vissuto lungamente a Milano e a Roma. Conosco quindi molto bene “le due capitali” d’Italia.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
È mia intenzione scrivere un’opera che affronti in maniera molto più approfondita le varie tematiche qui solo accennate, prescindendo completamente dal lavoro del professor Mancuso e affrontando di petto il vero problema che impedisce di parlare in maniera seria e costruttiva dell’argomento “Dio”: l’uso strumentale che preti e teologi di Chiesa hanno fatto per secoli del concetto stesso di teologia, che è argomento troppo importante e universale per poterne concedere l’esclusiva a una casta dedita da sempre a propagare superstizioni, che sono il contrario del pensiero filosofico. E che ha grandemente facilitato il trionfo del pensiero ateo materialista, in assenza di una controparte in grado di argomentare in maniera razionale e intellettualmente onesta.
Lascia un commento