Edito da Mita Fumagatti nel 2019 • Pagine: 291 • Compra su Amazon
Non accettava di dover sempre prendere le distanze fino a scomparire. Ma era quello che faceva quando non veniva presa sul serio dal momento che, su certe cose, lei era serissima.
Entrava in punta di piedi e se ne usciva sempre con lo stesso passo silenzioso.La dottoressa Marilena Macciò, introversa psicologa quarantenne (“e con un master in criminologia che non le era servito a nulla, come tanti altri titoli appesi al muro”) vive, solitaria e indolente, col suo inseparabile compagno canino, Roy, in una placida città ligure. Sta attraversando un periodo di crisi specialmente sul piano lavorativo ed economico che la rende stanca e forse depressa. “Forse” perché non accetta di venire etichettata senza poter spiegare la complessità di ciò che sente dentro. Viene però risvegliata dal suo torpore dall'inflessibile e granitico procuratore Castori che la contatta per una consulenza su un misterioso ed insolito omicidio. La tranquilla cittadina sta per essere sconvolta dalle imprese di un feroce serial killer? L'assassinio di un diciottenne, fragile ed isolato, la condurrà ad inoltrarsi tra le insidie del mondo virtuale dove chiunque può crearsi una doppia vita, dimenticando la differenza tra realtà e finzione, ed entrare a far parte di comunità per intrattenere relazioni pericolose. Per indagare in questo mondo parallelo dovrà trasformare sé stessa in qualcosa di inaspettato. Chi è l'assassino? Chi è veramente Marilena?
Copertina di Gianni Mela
Marilena Macciò si svegliò tardi, come al solito, annusò l’aria alla ricerca dell’odore rassicurante del suo cagnone e, accertatane la presenza, sorrise. Risvegliarsi è come tornare da uno strano viaggio, purtroppo non si ha nemmeno il tempo di rendersene conto. Pezzi di sogni, immagini, sensazioni e quel buio misterioso dal quale si riemerge. In poco tempo ci si ricorda degli impegni della giornata e allora l’avventura è terminata. Stava cominciando un nuovo giorno che Marilena non riusciva ad affrontare. Voleva. Ma non si ubbidiva. Si sentiva un mulo recalcitrante e la voce del dovere e dell’ordine si manifestava debole e sciocca.
“Perché dovrei alzarmi? Beh, per il cane. Deve uscire e mangiare”.
Il giorno seguente sarebbe stato il grande giorno in cui avrebbe rifiutato il nuovo contratto di lavoro, nonostante avesse dedicato tutta la sua vita a realizzarsi come psicologa, psicoterapeuta e criminologa. Il master in criminologia non le era servito a nulla, come tanti altri titoli appesi al muro, l’unica cosa che la consolava era che, in effetti, in Italia, non serviva quasi a nessuno, a parte a quelli che venivano invitati negli show televisivi. Aveva fallito, con i suoi miseri guadagni non riusciva a sopravvivere e aveva buttato via troppo tempo e anima per niente. Riusciva solo a racimolare alcuni incarichi che spesso si rivelavano malpagati. Le sembrava che ormai i colleghi, per trovare occasioni di guadagno e pazienti, si dedicassero al marketing e alla pubblicità più scadente. Quel mondo non le apparteneva più e lei non apparteneva più a quel mondo. Avrebbe volentieri studiato e svolto attività completamente diverse ma c’era un problema piuttosto grosso. Avrebbe dovuto avere 20 anni e invece gli anni erano più di 40. Si chiedeva come avrebbe fatto a portare avanti questo nuovo colpo di testa: mollare tutto e cambiare vita. Ma non ce la faceva più a continuare così, doveva liberarsi di tutto. Forse anche di sé stessa. Ovviamente non si sarebbe mai liberata del suo angelo custode, il suo grosso e onnipresente cane, Roy, un misto tra un labrador, un golden retriever e molto probabilmente un orso. Per quella muta e testarda stanchezza c’erano poi analisi ed accertamenti in corso, e c’era anche chi l’aveva chiamata arrogantemente depressione. Per lei non era proprio così. Era anche… Ma qualcosa sfugge sempre. Qualcos’altro, perché detta così, in quel modo, sembrava una debolezza, una vergogna, una fantasia da nevrotica. Era invece bisogno di libertà, bisogno assoluto, ormai inderogabile bisogno di rinascere, nuova e più bella. Non era triste, ma questa è una banalità per chi non sa cosa sia la depressione e immagina il depresso piangere e disperarsi tutto il giorno. Era invece apatica, senza energie, senza emozioni. Quando a sprazzi veniva fuori quel profondo senso di ribellione che porta con sé la depressione riusciva persino a pensare, per un momento, a quale ricchezza essa fosse. Un abisso di indignazione e collera che si rivolge contro sé stessi come lo scorpione che si punge da solo il dorso. Un’energia stagnante che se liberata sarebbe diventata un’esplosione. E poi di nuovo arrivava il distacco, il vetro invisibile tra sé stessi e il mondo, come se si avesse troppa paura di accendere quella miccia e vedere se fosse destino splendere come una stella o esplodere come un antico kamikaze. Amava ormai stare nella “tana” tutto il giorno, in solitudine, e percepiva qualsiasi impegno come un’interruzione, come una distrazione da quel difficile lavoro di ricostruzione del suo desiderio di vivere e della stabilizzazione del suo fuoco interiore. Ma anche quel giorno qualcuno la disturbò facendo squillare il telefono. Un ispettore, che conosceva appena, chiedeva una sua consulenza. Non si trattava di psicoterapia. Si trattava di trovare un colpevole reale e non inconscio. Rimase così sbalordita che accettò. Si guardò allo specchio: non era mai stata particolarmente preoccupata per il suo aspetto fisico. Una massa di lunghi capelli rossi, occhi verdi, viso normale, molto magra. Forse il naso più piccolo e le labbra più carnose sarebbero state apprezzabili ma non era questo il problema. Era più quello che le succedeva dentro a non piacerle e non riusciva a vederlo allo specchio.
Marilena si presentò nel pomeriggio davanti al procuratore. L’aveva già conosciuto ma non si sarebbe mai aspettata una proposta simile. Per un attimo non aveva sentito quella tremenda stanchezza. La curiosità era forte e le dava energia ma si aspettava già una delusione. Che ormai, una in più o una in meno, tanto valeva aspettare il procuratore, ovviamente in ritardo, come tutte le persone abituate a considerarsi troppo preziose. Più passava il tempo e più si sentiva a disagio e fuori posto. Iniziava a conoscere a memoria le mattonelle, la pianta nell’angolo, il colore delle pareti grigio brillante, quasi strafottente, come se si potesse essere grigi e splendenti contemporaneamente. Pensò che forse sì, si poteva. Sono grigi gli uffici, gli ospedali, le case di cura. Tutti luoghi dove colore e vita sono banditi e c’è un’evidente sollecitazione a conformarsi al distacco e alla neutralità passiva che propone il grigio. Marilena, quando si annoiava, si perdeva in elucubrazioni sperimentali di qualsiasi sorta, dimenticandosi quasi il motivo della sua attesa.
Il dott. Riccardo Castori finalmente arrivò con l’aria di uno che va di corsa, ha troppi impegni ed è abituato a decidere in fretta in base ad intuizioni personali incontestabili. Non era propriamente un bell’uomo ma nemmeno sgradevole. Aveva il fascino della sicurezza e della precisione. Giacca, cravatta, né alto né basso, né magro né grasso e con dei capelli corvini, unico vezzo, ben pettinati sulla fronte bassa ed il viso lievemente abbronzato.
Come è nata l’idea di questo libro?
Sono appassionata da sempre di gialli e di criminologia. Poi, una notte, ho fatto un sogno davvero strano, che ho anche trascritto all’inizio del libro: si tratta di una conversazione enigmatica tra personaggi disperati che parlano di animali e magia. Ho iniziato a scrivere ispirandomi a ciò che conoscevo e vagando senza una meta tra sensazioni, emozioni e ricordi, mi son ritrovata, tra le mani, dei personaggi veri che non vedevano l’ora di mostrarmi la loro avventura.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
A dir la verità non molto perché scrivo di getto, tipo fiume in piena. Difficile è stata tutta l’opera di revisione, correzione, limatura, anche perché non mi sembrava mai perfetto.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho lento tanti gialli, come dicevo, di qualsiasi tipo. Indicherò solo due grandi autori, almeno per me: Simenon, il mio primo amore, e Fred Vargas, l’ultimo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata ed ho vissuto prevalentemente nella città in cui è ambientato il giallo, Savona. Attualmente mi sono trasferita, ma sempre in Liguria.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Innanzitutto sono a buon punto con la stesura del secondo giallo della serie: le indagini della dott.ssa Marilena Macciò. Poi, non so. Avrei già qualche idea per il terzo libro, ma ogni tanto mi viene voglia anche di provare con il genere fantasy. Ma quest’ultima è solo una fantasia, direi che continuerò per un po’ a raccontare le avventure di Marilena.
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