Edito da 0111 edizioni nel 2020 • Pagine: 187 • Compra su Amazon
Alla deriva nello spazio, l’equipaggio dell’astronave Liberty si imbatte in un misterioso vascello, nelle sue stesse condizioni. Pensando di poter recuperare pezzi di ricambio per la propria nave, tentano l’impossibile per raggiungerlo e abbordarlo. Con un perfetto gioco di squadra, riesce nell’impresa. Perlustrando l’interno del vascello, l’equipaggio della Liberty si imbatte nei cadaveri dei due piloti e in quello di un uomo appartenente al governo centrale. Speranzosi di trovare qualcosa di valore, recuperano una valigetta impossibile da aprire e alcuni documenti criptati all’interno degli hard drive della nave. Recuperato il tutto e i pezzi necessari per rimettersi in viaggio, la Liberty riparte con l’intento di scoprire quali segreti nasconda il governo. Incontrando hacker, malavitosi e infine un ingegnere in fuga, si immergeranno in un oceano di complotti e misteri, reperendo sempre più informazioni sui piani reali del governo. Intenti a porre fine a quei piani, viaggeranno per l’intero Sistema Solare mettendo a rischio le proprie vite.
Decenni prima, gli scienziati terresti e le compagnie aerospaziali decisero di avviare il processo di Terraformazione sui satelliti principali dei giganti gassosi del sistema solare.
Una volta terraformati, portarono dei coloni con capi d’allevamento, qualche attrezzo agricolo e materiali per costruire le prime case, abbandonandoli poi al loro destino.
Su quei mondi i coloni erano costretti a vivere alla giornata, arrangiandosi come meglio potevano o, se erano fortunati, ad avere un lavoro sottopagato e privo di condizioni di sicurezza.
Alcuni, quelli più spavaldi, avviarono attività indirizzate a traffici illeciti, rapine e trasporto di fuggitivi, che permetteva loro di vivere, ma passavo gran parte della loro vita a nascondersi dagli uomini del governo e della flotta stellare, che pattugliavano quei mondi.
Mio padre era uno di quelli che avevano un pessimo lavoro, un pessimo stipendio e una pessima salute, ma almeno viveva nella legalità, non doveva nascondersi da niente e da nessuno, e non aveva alcun problema con la legge. Lavorava nella miniera di metano, risorsa di cui quella luna è ricca, ed era costretto a turni assurdi e massacranti. A volte non lo vedevo per giorni, per settimane.
Quando tornava a casa, era distrutto dal lavoro e dalla vita che quella colonia gli aveva riservato. Ma in fondo, gli leggevo negli occhi che non aveva molte alternative e, nonostante tutto, accettava quella condizione.
Molti dei suoi colleghi quando uscivano dalla miniera, andavano in quei locali poco raccomandabili a ubriacarsi e a farsi coinvolgere in stupide risse, ma non lui. Lui era migliore di quelle persone, lui era mio padre.
Uscito dalla miniera, correva a casa e si lasciava alle spalle tutto quello schifo, di cui non si azzardava a parlare neanche con mia madre. Veniva da noi, la sua famiglia, e passava tutto il tempo che aveva a disposizione in casa, con la mamma e con me. Non era un uomo di tante parole, anzi, riduceva molto le sue conversazioni senza dilungarsi troppo e andando dritto al sodo.
«Ricorda, figliolo» era solito dirmi «il lavoro che fai… che farai… non è quello che sei, è solo l’unico mezzo che hai per continuare a vivere in questo folle mondo.»
Nelle sere d’estate era solito portarmi in cima alla collina che sorgeva dietro la nostra casa. Giunti in cima avevamo un posticino tutto nostro, sull’erba, lontano dagli alberi, dove passavamo intere nottate in silenzio, con il naso all’insù, a osservare le stelle. Era in quelle sere, sul tetto del mondo, che sognavo di viaggiare attraverso quelle stelle dove s’immergeva il mio sguardo, fantasticando con la mente su quanti mondi inesplorati avrei potuto visitare e, magari, scoprire.
Restavamo su quella collina finché le prime luci del giorno comparivano per cancellare quei sogni, ricondurci alla realtà, e per interrompere quei momenti magici che trascorrevo con mio padre. Erano quelle prime luci a darci il segnale che era arrivato il momento di tornare alle nostre vite, alla nostra casa.
Una di quelle sere, prima di sdraiarci a terra per iniziare a sognare, mio padre si avvicinò a me, s’inginocchiò, appoggiò le sue mani sulle mie spalle e guardandomi fisso negli occhi pronunciò quelle parole, che a distanza di tanti anni ancora porto con me, nel mio cuore, nella mia anima.
«Nessuno sa cosa il destino abbia in serbo per te, neanche io che sono tuo padre… ma credo che tu sappia cosa ti aspetta su questa luna… quindi ti prego, anzi no ti supplico, fai di tutto… fai anche l’impossibile, ma trovati un’astronave, degli amici fedeli e vai. Vai tra le stelle e dimenticati questo posto.»
Udite quelle parole, risposi con un sorriso a quell’uomo che mi guardava negli occhi con fiducia e speranza. Sapevo dove voleva arrivare, capivo fin troppo bene il significato delle sue parole e del motivo per cui mi portava su quella collina.
Quell’uomo, distrutto dalla sua stessa vita, mi diceva solamente che non doveva essere quella la strada da intraprendere, che avrei dovuto lottare per emergere da quel mondo e uscire, nello spazio, per crearmi un mio destino.
«Ma ricorda, figlio mio, quando avrai un’astronave assicurati sempre che possa condurti ovunque tu voglia» concluse prima d’immergerci in quell’oceano stellato che era il cielo sopra di noi.
Passarono diversi anni da quella sera, ma presi sul serio le parole di mio padre, così sul serio che mi ritrovai a bordo di una nave spaziale. La Liberty. Una piccola nave da trasporto che avevo acquistato insieme alla mia socia in affari Sarah, da un rivenditore su Io.
Viaggiavamo per l’intero sistema solare, tenendoci a debita distanza dai pianeti centrali e dal governo, con il quale non avevamo un rapporto di amicizia. Pur di restare in volo, accettavamo qualsiasi tipo di lavoro, da quelli legali, come trasporto di passeggeri da una luna all’altra, a quelli che non erano necessariamente considerati legali, ma venivano pagati più che bene.
Con me e Sarah viaggiavano due nostri amici d’infanzia. Ellen, una svitata, che a vederla non le si dava un soldo di fiducia ma era un genio in meccanica e riusciva a riparare i motori di una nave anche con del filo interdentale. Poi c’era quel vecchio pazzo di Frank, una testa calda, ma la sua conoscenza delle armi tornava spesso utile.
Sarah era un ottimo pilota, aveva frequentato la scuola di volo che non aveva potuto completare poiché il suo istruttore non aveva accettato un banale pugno sul naso e un calcio nei cosiddetti gioielli di famiglia.
Infine c’ero io. Per anni avevo lavorato su diverse navi commerciali che trasportavano le merci da un mondo all’altro. Ogni volta venivo scaricato al primo porto spaziale perché, per farla breve, non ero predisposto a prendere ordini, e i vari comandanti che avevo incontrato non apprezzavano questa mia caratteristica.
Avevo seguito alla lettera le parole di mio padre, a parte un piccolo dettaglio, che per qualche motivo a me sconosciuto avevo tralasciato. Quel piccolo dettaglio ci portò a trovarci con i motori fermi e alla deriva nello spazio, nonostante ci prendessimo cura della Liberty e non le facevamo mancare niente.
«Ellen! Sei riuscita a riparare quel guasto?» gridai al meccanico, mentre mi avvicinavo alla sala macchine.
«Potrei riuscirci, capitano» rispose la donna con la testa all’interno della scatola idraulica del motore «peccato che non hai voluto comprare quei ricambi… ricordi? Ti avevo dato una lista alcune settimane fa.»
Ellen aveva ragione. Ricordavo bene quella lista di ricambi. In realtà l’avevo ancora nella tasca della giacca ma quando me la diede, su Titano, avevo ben altro a cui pensare. C’erano dei tizi che volevano crivellarmi di proiettili e nel mio tentativo di fuga, ben riuscito oltretutto, dimenticai del tutto i ricambi.
«Sei tu la responsabile della sala macchine!» le urlai contro «sei tu che devi occuparti dei ricambi.»
«Smettetela di litigare» intervenne Sarah «non cambierà la situazione in cui tu ci hai cacciati» disse puntandomi il dito contro.
«Quindi adesso sarebbe colpa mia?» le risposi, allargando le braccia e scambiando lo sguardo con le due donne «ti ricordo che siamo soci al cinquanta percento… quindi in parte è anche colpa tua.»
«Avete visto i miei biscotti al burro?» chiese Frank, comparendo quasi dal nulla.
Ci voltammo tutti verso di lui, sorpresi ma non troppo per la sua totale indifferenza di fronte a quella situazione. Mi avvicinai a lui, appoggiai la mano sulla sua spalla, abbassai lo sguardo verso il pavimento e trattenendo la rabbia per la sua uscita poco pertinente con la motivazione principale del nostro litigio, tentai di parlargli.
«Frank abbiamo i motori in avaria, non abbiamo pezzi di ricambio, siamo alla deriva nello spazio profondo da giorni e tu… tu… pensi a dei dannati biscotti al burro?»
«Penso a sopravvivere» rispose lui alzando gli occhi verso il soffitto «prima o poi qualcuno passerà di qui e ci darà una mano.»
«Frank, amico mio» intervenne Sarah «quale parte non hai capito delle parole “spazio profondo”? Ti ricordo che abbiamo preso questa rotta per nasconderci dopo l’ultimo lavoro e che in questa parte dello spazio non passano navi.»
L’uomo rimase in silenzio per alcuni istanti. Si limitò a guardare me e a Sarah con la sua solita espressione distratta e distaccata. Sollevò nuovamente gli occhi verso l’alto, e inclinò leggermente la testa a destra e poi a sinistra, come stesse riflettendo su ciò che gli avevamo detto.
Come è nata l’idea di questo libro?
Parlare di Liberty non è così semplice come sembra. La storia di Liberty e dei suoi personaggi, è nata da se, nel modo più naturale e improvvisato che si possa immaginare. Nel periodo in cui l’ho scritto, mi sono limitato a sedermi al mio computer, appoggiare le mani alla tastiera, e lasciare che il cuore dettasse le parole. E credimi quando ti dico che non ho affrontato alcuna difficoltà nel farlo perché è vero. L’idea di base era un’astronave con il suo equipaggio, dedito a piccoli furti o trasporti illeciti, e quella di scrivere una storia avventurosa, ma anche divertente, ambientata nel sistema solare. I personaggi non sono degli eroi, come capita in romanzi simili, e non pretendono di esserlo. Loro sono degli emarginati, persone a cui non affideresti nulla perché potrebbero rubartelo per poi rivenderlo al miglior offerente. Ma è proprio questa caratteristica che li rendono in grado di affrontare la sfida che gli è capitata tra le mani per caso, mentre facevano ciò che sapevano fare meglio, ovvero saccheggiare un’astronave alla deriva nello spazio. Per quanto l’avventura di Liberty sia affascinante e coinvolgente, la parte più emozionante è l’interazione tra i vari personaggi. Il loro modo di affrontare le situazioni, le loro battute fuori luogo in riferimento alla situazione che stanno affrontando, il modo con cui affrontano quelle stesse situazioni. Non vorrei sembrare vanitoso, in realtà sono una persona molto modesta, ma Liberty non è una storia che va spiegata, Liberty è una storia che va vissuta, insieme ai personaggi stessi. Questo è Liberty.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Per niente difficile. Liberty è un libro nato da sè, mettevo le dita sulla tastiera e lasciavo lavorare la fantasia.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non sono un lettore di romanzi, le mie letture sono indirizzate altrove, quindi non ho un autore di riferimento. Diciamo che, nelle mie storie, tento di immaginare un futuro derivante dalla situazione attuale del presente in cui viviamo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo nelle Marche, nella provincia di Ancona.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In questo momento sto scrivendo un libro di genere avventura post-apocalittica e sto pensando ad un secondo capitolo di Liberty.
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