
Edito da Petite Plaisance nel 2020 • Pagine: 344 • Compra su Amazon
Un saggio su Michelstaedter è un'impresa destinata inesorabilmente all'incompiutezza: scrivere di colui che con le parole volle fare guerra alle parole, alla ricerca di una pienezza di vita inattaccabile, da trovare, come fondamento stabile, socraticamente solo in se stessi – dando tutto e non chiedendo nulla per sé. Non si potrà mai dire compiutamente l'altezza vertiginosa raggiunta dal suo pensiero, che resta come una cifra inaudita dell'assolutezza dell'Essere e della giustizia da lui cercata. Eppure, col suo pensiero, questo giovane (ma saggio) solitario, che si richiama alla sapienza di Eraclito e di Parmenide e che troverà un'eco, e una parentela postuma, anche in Heidegger, vorrebbe unire il mondo in un unico afflato di fratellanza e d'amore, sull'esempio di Cristo e di Buddha: da lui presi come modello di vita persuasa, sul finire della sua breve esperienza terrena. In Michelstaedter è risuonata la voce di qualcosa di sovrumano, così lontana dalla sua, e ancor più dalla nostra, epoca del compiuto nichilismo: del sapere scientifico ormai vittorioso e della tecnica dimentica dell'anima.

Carlo Michelstaedter rappresenta, per molti versi, un caso unico – e allo stesso tempo totalmente isolato – nell’insieme del panorama filosofico-letterario contemporaneo.
Michelstaedter nacque a Gorizia il 3 giugno 1887 (a quel tempo ancora parte dell’Impero austro-ungarico), e pose termine alla sua breve esistenza il 17 ottobre del 1910 (pochi giorni prima d’ottenere il diploma di laurea), sparandosi con una rivoltella, appartenuta al suo amico goriziano Enrico Mreule (emigrato l’anno precedente in Argentina). Nel corso degli ultimi anni della sua vita, oltre agli studi filosofici e letterari, si dedicò anche allo studio della matematica, alla pittura e al disegno
Nell’autunno del 1905, prima d’iniziare a frequentare l’università a Vienna, Michelstaedter decise di recarsi a Firenze per un viaggio (deciso assieme al padre Alberto), che, inizialmente, avrebbe dovuto avere delle finalità esclusivamente culturali; ma alla fine, dopo soli pochi giorni di permanenza nel capoluogo toscano, trascorsi in gran parte visitando i capolavori artistici della città, decise di iscriversi ai corsi della Facoltà di Lettere, presso l’Istituto per gli Studi Superiori di Firenze.
Gli studi universitari, unitamente alla partecipazione al vivace clima artistico-culturale della Firenze di inizio secolo, contribuirono, nel bene e nel male, allo sviluppo e alla maturazione del suo pensiero; e fu proprio durante gli ultimi anni universitari che Michelstaedter scrisse anche la maggior parte delle sue poesie: per molti versi illuminanti per comprendere a fondo il suo pensiero.
Il suo scritto più importante, che sarà anche l’oggetto principale del presente studio, è indubbiamente La persuasione e la rettorica. Questo lavoro avrebbe dovuto essere la tesi di laurea di Michelstaedter, assegnata dal professor Girolamo Vitelli, sui concetti di persuasione e rettorica in Platone e Aristotele; ma La persuasione e la rettorica, pur essendo un’opera di grande profondità e maturità, sostanzialmente si discosterà dall’argomento iniziale della tesi. Le altre opere basilari – oltre alle già citate Poesie e La persuasione e la rettorica – per lo studio del pensiero michelstaedteriano (e per cercare di giungere a delle conclusioni riguardo allo spirito e agli esiti ultimi del suo pensiero) sono Il dialogo della salute e l’Epistolario.
Nell’accostarsi alle summenzionate opere, non è sufficiente un’analisi di tipo storiografico che si pone di fronte a un evento storico, inteso come concluso, definito e cristallizzato nel tempo una volta per tutte; ma occorre immergersi nella profondità del pensiero, mostrando il senso “inaudito” secondo cui la persuasione si relaziona all’Essere.
Certamente, uno degli aspetti che rendono il filosofo goriziano un caso per molti versi straordinario nel panorama culturale dell’Europa contemporanea è proprio l’inscindibilità di pensiero e vita (teoria e etica), che caratterizza l’uomo persuaso: dove l’etica diviene assoluta, e non più incline ad alcun genere di compromesso.
Il volgersi all’Essere, a ciò che è eterno, accomuna tutti i grandi pensatori persuasi delle epoche trascorse – e anche a venire –; perciò la persuasione ci appare anche sotto l’aspetto di un dialogo tra i grandi uomini che hanno saputo guardare oltre l’orizzonte meramente conoscitivo-razionale. Questa linea interpretativa trova una conferma nei riferimenti (epigrafi e citazioni) di Michelstaedter ai grandi persuasi della storia, in una sorta di dialogo personale all’interno di un dialogo ben più vasto, che alla fine, per usare un’espressione michelstaedteriana, «li vede tutti sulla stessa strada luminosa». Ciò che è necessario mostrare, anche attraverso il confronto con la riflessione di altri grandi pensatori, è l’essenza stessa del pensiero “persuaso”, e la forza che esso è (o sarebbe) in grado di dispiegare concretamente nel “presente eterno” dell’uomo.
Lascia un commento