Edito da Pedrazzi Editore nel 2019 • Pagine: 355 • Compra su Amazon
In un futuro non troppo lontano e non così diverso dal nostro tempo, il mondo gode di una pace universale, le religioni hanno fatto il loro tempo e l’umanità ha ormai fede solo nella scienza. Le scorte di petrolio e di gas naturale sono ormai terminate e una nuova forma di energia, proveniente dalla luna e stoccata in grandi depositi, monopolizza il mercato mondiale.
È questo lo scenario in cui cinque persone: Landony il facoltoso imprenditore, Bastion il cantante di successo, Jandèiro il predicatore, Sienabel la libraia e Dubajla la ricca pensionata, partono per una vacanza: la prima del genere che fa tappa nella faccia nascosta del nostro satellite, già comunque colonizzato da tempo.
Un viaggio che cambierà il corso delle loro vite, costrette ad intrecciarsi con quelle di alcune divinità, di cui il mondo ignora l’esistenza. Evento scatenante: un oggetto sacro, rubato durante la vacanza lunare.
Chi è, tra di loro, il ladro? Gli dèi del Fuoco, dell’Acqua, della Terra, dell’Aria e del Bene, scenderanno sul nostro pianeta e avranno a disposizione un ciclo di luna per ritrovare l’oggetto in questione; una caccia al tesoro di cui desidera far parte, però, anche il dio del Male.
Un fantasy raccontato dai protagonisti in prima persona, al tempo presente, ricco di suspense e con un finale a sorpresa.
Un libro come immaginate voi, certo. Fatto di pagine, non molte a dire il vero, di una copertina illustrata, su cui sta scritto autore e titolo.
Non sono fatto di carta, però.
Le parole che contengo sono scritte in una lingua a voi sconosciuta.
Fu Nìmeakor, il guardiano di Gaia (Terra come voi la chiamate), a scrivermi.
Parecchi secoli fa, non so dirvi quanto tempo, esattamente, il Guardiano del
Bene mi plasmò con del materiale indistruttibile, a voi sconosciuto, dopodiché intinse il proprio indice nel cosmo e trasferì quell’inchiostro spaziale su di me, raccontando una storia.
La vera storia della nascita dell’universo.
Scrisse degli dei e di come si erano formati, cantò le sue gesta e quelle dei servitori di Gaia.
Raccontò di come e perché vi aveva dato la vita: Nejàsilor, così vi chiamò.
E la sua calligrafia risuonò perfetta sulle mie pagine, come musica soave.
Nonostante l’indecifrabilità del mio idioma, Nìmeakor mi pose sulla Luna, in un luogo nascosto che funge da nido, sulla faccia che Gaia non guardava, né guarda tutt’oggi.
Ahimè, la vostra intelligenza, umani, ha fatto da allora progressi enormi, insospettabili.
Avete raggiunto il satellite che Mayensìlaen, la Dea Madre, vi aveva regalato, volando come pazzi per il cosmo e vi siete commossi all’idea di conquista.
Nel tempo, avete omaggiato la superficie lunare con lacrime e bandiere ed io, assolutamente lontano dalle vostre spedizioni, seguivo il vostro scorrazzare per la faccia illuminata, sicuro nel mio nascondiglio.
Se Nìmeakor non volle spostarmi allora, fu perché anche lui, nella sua infinita sapienza, non nutriva timore alcuno.
Ma nel tempo, umani, la vostra sete di conoscenza non si è placata.
Qui avete costruito dimore, abitato dentro di esse, studiato le profondità del suolo lunare fino a sfruttarne l’anima.
Anche allora non mi lamentai e nulla fece l’autore dei versi che contengo.
Probabilmente lui, nella spettacolarità del suo pensiero, aveva fiducia nella razza che aveva creato.
Ma quando, ahimè, trovaste la via per la faccia oscura, sognando nuovi sentieri da percorrere e nuove occasioni di guadagno, percepii un pericolo imminente per la mia incolumità.
Se Nìmeakor si accorse dell’ansia che mi prese, non lo dette a vedere e mi lasciò per l’ennesima volta nel nido che ancora oggi mi culla.
Jubiz Kandol Sibejòra: è questa la formula che mi ha salvato. Nel corso del tempo ho imparato a proteggere me stesso da qualsiasi intromissione, sebbene il nascondiglio fosse quasi perfetto.
Pensando e riflettendo e provando, sbagliando e poi di nuovo pensando e provando, mescolando lettere e parole, sono riuscito a concepire questa formula, che mi rende, al solo visualizzarla nella mia mente, invisibile.
È così che sono sfuggito ai vostri occhi, quando indossando tute bianche e caschi neri per proteggervi da un ambiente che non vi appartiene, vi siete avvicinati al mio nido e avete guardato. Io ero nulla, in quei momenti.
Ma ecco, di nuovo quella strana sensazione mi pervade.
È la presenza di voi. Percepisco lievi variazioni di temperatura, odori che non appartengono alla Luna, suoni che mai odo quando sono da solo.
Vi sento.
Siete pochi stavolta, non più di cinque… o sei. Indossate le stesse tute di sempre, nidi perfetti in cui rinchiudere i vostri corpi, bevitori di ossigeno e degustatori di temperature miti: parametri che la Luna vi nega.
Siete pochi, ma siete abbastanza e vi state dirigendo verso di me. Oh quanto è colorato il vostro ingegno, umani.
Quanto è ampio il vostro desiderio di scoperta! Si potrebbe definire infinito, come il cosmo.
Percepisco le emozioni che provate, sono profumate di poesia. Sento il suono cangiante dei vostri cuori, melodia ritmica e incessante, come un pulsare di stelle. Non riesco a vedere. Ed è per questo che prima di tutto devo pensare a obnubilarmi. Non posso starvi a sentire più, non posso percepire ancora un momento le vostre sensazioni.
Devo. È ora di pronunciare la formula che mi salva. È proibito lasciarmi trovare da voi… da chiunque.
«Jubiz Kandol Sibejòra.»
Non può essere. No. Sono ancora visibile.
«Jubiz Kandol Sibejòra!»
Ripeto con più enfasi di prima, in modo che la formula riecheggia dentro di me, facendo vibrare le pagine. Un angolo della mia copertina è ora diventato invisibile e lentamente inizio a dissolvermi.
Forse. Forse ce l’ho fatta, ecco che un altro lembo di me sta scomparendo alla vista.
Sento come un brivido che parte da un punto preciso per poi allargarsi e impossessarsi di me finché non rimarrò intorpidito. Conosco la sensazione, la riconosco adesso che sta…
No! Ritorna indietro il brivido e mi scopre, mi scopre come farebbe il vento di
Gaia con un velo sottile, lasciandomi scevro di protezione, alla mercé dei loro sguardi curiosi e indecenti.
«Jubiz Kandol Sibejòra…»
Riprovo con le forze che scemano, allorché sfinito dai ripetuti tentativi falliti.
Finché il velo invisibile che mi stava nascondendo si ritira definitivamente, schivando la recitata formula per la prima volta da quando la perfezionai.
Arrivano.
Nejàsilor che calcate la mia dimora, fermatevi! Un ordine discreto, insicuro, gettato lì come vuota speranza a cui non credo.
Fermatevi.
Non ho più la forza di pensare, i sensi sbalorditivi a cui tengo tantissimo se ne vanno altrove, sono loro adesso a nascondersi, lasciandomi in completa balia di voi.
Fermatevi…
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata riprendendo in mano un poema mitologico che avevo scritto qualche anno fa e che narrava la storia della creazione dell’universo e della vita in genere, da parte di alcuni dèi da me inventati.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato meraviglioso pianificare l’opera e poi vederla crescere, capitolo dopo capitolo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Uno su tutti: Stephen King. Poi direi Ammaniti, mi piace molto il suo stile di scrittura e la sua ironia.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo con mia moglie a Chiesina Uzzanese, un paese in provincia di Pistoia. In passato, abitavo a Pieve a Nievole, solita provincia.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il mio progetto è quello di continuare a scrivere romanzi, anche di altro genere, oltre al fantasy.
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