
Edito da Giancarlo Catania nel 2019 • Pagine: 220 • Compra su Amazon
Un dirigente lascia improvvisamente la splendida carriera per mettersi alla ricerca della sconosciuta dimensione ideale; acquista un motocarro destinato alla pressa, lo carica dei suoi tanti romanzi mai letti e inizia a girare per i piccoli paesi del circondario, fermandosi nelle piazze per affittare i libri. Così scopre nuove realtà, ragiona sui sentimenti, sulle sensazioni e viene in contatto con tante caratteristiche umane: rabbia, ingenuità, indifferenza ma conosce anche l'amicizia, emozione quasi mai provata e l'amore, attentamente evitato nel suo prima.
Una fotografia dai toni morbidi sulla società contemporanea, prendendo spunto dagli eventi, dagli atteggiamenti, dalle situazioni che fanno così parte della vita quotidiana da essere quasi invisibili.

Primo capitolo
Una piazza
Il motocarro montava con fatica nella stretta via fiancheggiata da un lato da basse case color bianco vecchio, dalle imposte bucherellate e scheggiate per i molti anni o dalla mancanza di buon mantenimento, opposte a un muretto troppo basso persino come panchina, forse eretto più allo scopo di poter dire: anche in questo luogo esiste il progresso edilizio, piuttosto che protezione sullo strapiombo dove s’inerpicava la strada.
Per quanto difficile, riuscì a schivare il gatto proprietario di quel tratto d’asfalto, poi allontanatosi nella consapevolezza del rischio di perdere la prima delle tante vite, e di sfiorare una vecchietta uscita all’improvviso da casa, tanto sorda da ignorare il sopraggiungere dell’acuto strombettio provocato dal motore sotto sforzo. Fortunatamente il motore suonava davvero forte, nessuno intese gli insulti dell’anziana contro quell’infernale macchina, nemmeno lui.
Giunse subito all’ormai conosciuta curva, un gomito che aveva sempre superato con svariati tentativi ma, questa volta, mise in campo l’intenzione dentro quell’insignificante scaramuccia esistenziale, accelerando e scalando marcia allo stesso tempo. Il bolide prese velocità grazie all’aumentare dei giri, sino a fiondarsi verso la svolta a un’andatura giudicabile assurda per quel modello; nessuno, se se lo fosse domandato, avrebbe potuto capire come, dove prendeva quell’ulteriore potenza. Raggiunto l’apice, il motocarro rimase un breve istante in bilico fra procedere e fallimento, con il motore muto, sospeso; la folla inesistente adesso tratterrebbe il respiro, poi sarebbe stata scossa dal secco rumore del cambio, tipo due assi di duro legno che cozzano fra loro, avrebbe quindi esultato al nuovo canto della marmitta, mentre le ruote trascinavano il mezzo oltre l’ostacolo, fino alla piazza, l’unica esistente.
Spense il motore dopo l’ulteriore accelerata per festeggiare il risultato di quel piccolo raid, poi ancora l’intromissione del freno a mano che, come tutti i freni a mano, grattava mentre veniva inserito e il silenzio riprese subito il possesso di quanto suo.
Attese qualche attimo per uscire dalla cabina, il muoversi velocemente era quasi ricordo, comunque aveva deciso da molto che nulla valeva tempo quanto il perdere tempo, questo gli consentiva di guardare, gustare, assimilare ogni colore, apprezzare, fare proprie quelle sensazioni giudicate giuste d’esserlo. Chiuse la portiera, poi tolse il telo steso sopra il cassone e il suo contenuto: libri, tanti libri da non essere mai stati visti li tutti assieme prima del suo arrivo, quindi abbassò la sponda dov’era attaccato un cartello artigianale, recitante in bella scrittura rossa:
“SI AFFITTANO LIBRI”.
Sedutosi sulla poltroncina di metallo e plastica verde, riprese il romanzo dove aveva lasciato un piccolo pezzetto di carta come segno, senza prestare attenzione agli sguardi dei tre unici clienti del bar, tanto erano sempre quelli della volta precedente, clienti, sguardi, comportamento, comportamento sempre giustificato dall’assenza di tempo; ora il tempo sarebbe dalla loro parte per fare tutto quello che avrebbero dovuto fare ma l’abitudine, unita alla beatitudine portata dalla rassegnazione inconscia a una vita fatta di pochi stimoli, li faceva proseguire nel consueto andazzo: partenza, ritorno, bar, casa, tuttavia adesso mancava la partenza, di conseguenza partenza e ritorno venivano sostituiti dalla permanenza, permanenza, bar, casa. La sola cosa modificata era il tempo passato ad apprezzare, commentare, giudicare i sederi delle passanti, in particolare quello di Tiziana, la farmacista; davvero un bel sedere, sintesi del capolavoro che partiva dallo splendido sorriso e finiva con due gambe dalle mille promesse.
Da sempre incline a mostrarsi nella sua armoniosa eleganza, lontana dall’ostentazione, Tiziana aveva mantenuto col sesso forte un rapporto professionale, non le erano certo mancate le occasioni ma, al modo d’ogni donna innamorata, anche lei vedeva soltanto il marito; le sembrava d’essere anche corrisposta poi, quando il suo lui era partito per studiare lingue dell’est insieme alla giovane badante ucraina di Giovanna, l’anziana madre del calzolaio del paese, cambiò opinione, decise di vendicarsi nel pieno rispetto del criterio femminile della vendetta: contraccambiare, seppur in ritardo, gli anni senz’altro sprecati dentro quel legame vissuto in maniera corretta, dove sono bastati capelli biondi, occhi chiari, pelle color sbiadito per buttare anni, onore. Tiziana era splendidamente mediterranea, sempre, sopratutto adesso mentre s’avvicinava ancheggiando nel tubino.
“Salve. Ha un manuale serio su come conquistare le donne?”
“Donna Tiziana,” provava sempre soddisfazione nel chiamarla in quel modo dal sapore antico, allo stesso tempo definitivo nel distinguerla e a lei faceva piacere esserci chiamata. “s’esistesse, avrei solo quel libro in affitto, oltre al motocarro vuoto.” Al sorriso d’entrambi aggiunse: “Penso d’indovinare, non lo cerca per lei ma per i suoi concittadini.”
“Ecco un uomo sprecato per questo posto.” Concluse la frase con un altro sorriso poi, dopo averlo salutato, si diresse verso la farmacia. Se il corso della vita non avesse raggiunto quell’idilliaco momento dove le ondate di testosterone s’erano trasformate in debole risacca e il ragionamento preso potere, forse preludi della pace dei sensi, sarebbe partito lancia in resta alla conquista di quella Gerusalemme del desiderio. Veramente un gran bel sedere, concorde giudizio dei maschi presenti, tutti intenti nel seguirne il movimento.
Riprese il viaggio nella sua Africa personale, dove in quel momento soggiornava l’immaginazione.
Si spostò di poco sulla poltroncina, un raggio di sole, caldo quasi all’eccessivo, passava fra l’angolo della palazzina e il lampione; penetrava prepotente nella piazza dove gli edifici si mostravano in sintonia col resto del paese, semplici, privi di fronzoli, di certo nel sapore della discrezione: il comune, distinto dalle bandiere appese, la farmacia, l’unico negozio escluso l’alimentari-tabacchino-giornalaio-ferramenta ecc. ecc, il bar, poi la chiesa, con la facciata abbellita solo dalla classica scalinata ripida nel probabile scopo di rendere faticoso l’avvicinarsi a Dio, dove risiede Don Barberio, anch’esso edificio del paese, dalle medesime caratteristiche.
Il raggio colpiva le pagine, che restituivano un riverbero fastidioso; strano, il sole fastidioso, il sole è uno dei tanti motivi ma non il primo della sua presenza li.
Mostrava il viso al cielo, passando contemporaneamente la mano fra i capelli quasi tutti bianchi ma ancora abbastanza folti da poter rimandare la preoccupazione della calvizie, gustava le sensazioni del calore sulla pelle poi, all’improvviso, ricordò i tempi in cui nascondeva gli occhi dietro lenti scure, come facevano tutti.
Si sentiva bene in quel luogo, si sentiva bene ovunque dal momento in cui aveva raccolto i libri, acquistati al solo scopo di riempire il mobile acquistato per riempire la parete acquistata nell’esibizionismo moderno, e li aveva caricati sul motocarro comprato d’impulso, l’inizio di questa cosiddetta professione, un colpo di testa suggerito non dal ragionamento o dall’esempio altrui, piuttosto da una sensazione di pancia, un bisogno corporale inconscio, il desiderio di dare qualcosa di vero al proprio essere; qualcuno diventa asceta, altri partono verso chissà dove, lui aveva scelto d’essere libraio nomade, ignorava quando fosse nata quell’idea. Senza il problema di render conto a una relazione, giudicava il tempo impiegato nella compagnia stabile soltanto spreco, aveva sistemato gli impegni, abbandonato il lavoro fra l’incomprensione generale ed era partito insieme al suo carico.
Non s’illudeva di poter guadagnare nell’andare in giro ad affittare libri, fare utili come avrebbe detto tempo prima scimmiottando altri scimmiottatori, finora il guadagno consisteva in qualche spicciolo bastante per ripagarlo della benzina consumata, detratta la perdita de “I miei amori”, trattenuto da quasi un anno…buffo, viene da dire contro la sua volontà…dall’illustre rappresentante della politica locale, per fortuna il problema d’affrontare le spese quotidiane era risolto, aveva affittato la casa in centro a una cifra tanto vergognosa da, unita ai risparmi accumulati negli anni con saggi investimenti, consentirgli d’avere una giusta sicurezza economica, doveva solo usare attenzione, questo bastava per soddisfare le esigenze; molti dei suoi cosiddetti amici di una volta sarebbero stupiti nel vedere quanto pochi sono i bisogni veri, avrebbero solo criticato il comportamento diverso da quello che ritengono giusto per appagare le proprie voglie: denaro, potere, belle donne, macchine potenti, tutti oggetti usati al fine d’indicare lo status sociale, naturalmente più alto possibile. Molti cosiddetti amici, tutti.
Il leone, quasi acquattato nell’erba alta, procedeva con lentezza, risolutezza, fissava di continuo, pronto allo slancio, la preda intenta ad abbeverarsi la probabile ultima volta. Tutto era immobile, anche l’aria, solo il millimetrico procedere della fiera distingueva il movimento da un’immagine fissa, quando, come per…apparve Don Giacomo Barberio.
Don Giacomo avrebbe diritto al titolo di miglior cliente, se pagasse qualche volta ma da buon sacerdote cercava d’ottenere senza pagarne il costo; in genere ci riusciva, sostenuto addirittura dalla comprensione delle circostanze nei suoi cosiddetti fornitori. Il prete potrebbe aspirare alla carica di santo ancora prima del tempo grazie ai miracoli realizzati: aveva ristrutturato la semplice chiesa in bilico fra rovina e crollo con le volontarie donazioni dei fedeli, definite da tanti rapine a volto scoperto; non contento delle offerte, aveva fatto impugnare sempre ai fedeli frattazzi e cazzuole, obbligandoli a impastare il cemento offerto spontaneamente dalla cementifera, dopo la decima o quindicesima visita, poi aveva messo mano ai locali dell’oratorio, sempre mediante il volontario aiuto dei fedeli, infine aveva ricavato due stanze dalla vecchia stalla espropriata a un parrocchiano molto devoto, per usarle come deposito dei generi destinati ai poveri. Il vero miracolo era che ci fossero ancora fedeli.
Abbastanza piccolo, occhiali spessi, capelli neri, buona parte lo avevano abbandonato, vestiva secondo l’ispirazione del mattino, talare o jeans; era stato visto sfacchinare con indosso la veste oppure svolgere gli uffici in borghese. Sembrava fosse appena sceso da cavallo, senza parlarci non avrebbe fatto grande impressione ma stava proprio qui la sua forza, la voce, possedeva quel qualcosa, forse il modo, che attirava, catturava, convinceva, soprattutto convinceva.
Giunto al motocarro restituì la ventina di libri affittati la volta precedente e ne prese altrettanti, li faceva leggere, d’obbligo, ai ragazzi dell’oratorio prima di permettere l’uso del campetto da calcio, un capitolo al giorno seguito dall’interrogazione; fatto sbalorditivo i ragazzi leggevano, ogni volta fra inutili proteste.
Mise via i libri restituiti senza controllarli come non controllava mai quelli affittati; respinse anche l’abituale tentativo di coinvolgerlo in qualche progetto, tentativo blando visto la bravura dimostrata, il prete si rendeva conto che il libraio faceva già la sua piccola parte.
Quando il sacerdote fu lontano riprese l’occupazione preferita.
Concluse il viaggio nella sua Africa, sua perché personale, ch’era l’ora di fare ritorno, senza aver affittato nulla a onor del vero ma questo era normale; forse affitterà domani.
Mise in moto, diretto verso casa.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata da un pensiero, da un immagine: un motocarro che arrancava per una salita, immagine riportata all’inizio. La trama, invece, è nata parola dopo parola, influenzata da fatti, opinioni che di volta in volta condizionavano i miei pensieri; subito non sapevo che storia avrei scritto, è creciuta con il procedere, ne ho conosciuto la fine solo con l’ultima frase.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile da terminare, è stato lungo, circa due anni, è stato anche complicato in quelle parti che non si leggono: la correzione, la ricerca dei refusi e la creazione della copertina.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori preferiti sono: Follet, Pirandello, Pennac, Saramago e tanti altri; sicuramente tutti hanno influito sul mio modo d’esprimermi, di conseguenza di scrivere tuttavia non credo d’imitare nessuno di questi ma di mettere nelle pagine quello che sono e il modo in cui lo sono.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Genova e, a parte un paio di brevi parentesi, ci ho sempre vissuto; città che adoro e non sopporto, come tutti i genovesi, nel cui porto ho sempre lavorato, per lungo tempo come scaricatore.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti? Penso siano come quelli di chiunque scrive: scrivere e pubblicare ancora. Adesso sto scrivendo un romanzo storico, sempre con risvolti umani, e un altro che non saprei definire bene, forse l’aggettivo più calzante è surreale.
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