Edito da Francesca Ottaviani nel 2021 • Pagine: 252 • Compra su Amazon
Mafalda è una donna in carriera, di una bellezza non convenzionale, un misto tra pantofolaia fuori moda e Carmen Sandiego, ma goffa e maldestra come pochi; proprio non è al passo con la fine degli anni ‘90. È sempre alla ricerca di nuove avventure e nel paesino di Arpa, che da poco l'ha accolta, si annoia facilmente. Il suo lavoro di crisis manager le permette di viaggiare in tutto il mondo e affrontare progetti sempre nuovi. Nella vita di tutti i giorni, però, sfrutta qualsiasi occasione per mettersi nei guai. Odia tutto di Arpa, a esclusione del suo lavoro e del novello ispettore di polizia, Giorgio Penta, per il quale ha decisamente una cotta. Arpa è piccola, piena di tradimenti, pettegolezzi e casalinghe disperate, ma dopo il terzo anno che Mafalda è lì, pur non volendo ammetterlo, comincia ad apprezzare la piccola comunità. Quasi il genere umano le appare più tollerabile in quell’angolo di mondo... Analizzando quello che le sembra un nuovo e succulento indizio per un’avventura, si caccia nell'ennesimo guaio, imbattendosi nel Cantropodo. Cosa si celerà dietro questa parola sconosciuta? Tra misteri, omicidi e amori, la nostra Mafalda ne combinerà di tutti i colori.
Il libro è un cozy mystery, ossia quello che in italiano potremmo definire "giallo da ombrellone", ossia un giallo con atmosfere frizzanti. Di fatto, mncano la parte ansiogena dei thriller e le scene di violenza esplicita. Ci sono invece scene divertenti, omicidi e giusto un pizzico di rosa.
Solitamente, è presente un'investigatrice amatoriale che nella vita fa ben altro. In questo libro, Mafalda è un così detto tagliatore di teste e nel tempo libero fa l'impicciona.
A mantenere le redini dell'indagine per fortuna c'è il sagace ispettore Giorgio Penta. Lui è alto, bello e pensa solo al lavoro... e Mafalda ha una spaventosa cotta per lui.
Un cappello era poi l’immancabile cornice della sua figura. Ne aveva di tantissime fogge: a falde larghe, di paglia, modello borsalino, bombetta, fedora, panama…
Il suo preferito era il copricapo a cloche, tipico degli anni ‘30 e a forma di campana. Tolta la sua goffaggine e la completa inconsapevolezza di sé, somigliava vagamente a Carmen Sandiego, protagonista di un videogioco anni ‘80, ispanica, capelli ondulati e scuri, ladra internazionale di buon cuore con guanti neri, borsalino e trench rossi.
Mafalda Carta era uscita nel cuore della notte e si era intrufolata, come spesso faceva, nella biblioteca pubblica del suo paesino, Arpa. “Viveva” lì da circa tre anni; aveva lasciato il suo passato a Roma e si era trasferita, con armi e bagagli, ad appena due ore dalla metropoli. Nella realtà dei fatti, sarebbe più giusto dire che soggiornava ad Arpa, dato che non aveva voluto vendere la casa a Roma e la teneva sfitta, pronta a ospitarla ogni volta che si sentiva smarrita senza una boccata di smog e una buona dose di traffico.
Arpa era un tipico esempio di impianto urbanistico romano, con lo schema organizzato su due assi principali ortogonali, il cardo e il decumano, che si incontravano al centro del paese, dove si trovava Piazza Oleandro, orgoglio del sindaco Marco Falerio.
Alle 4:00 del mattino, la Rossa saliva ancora le scale a pioli premute contro gli altissimi scaffali della biblioteca “Enrico Fermi” per consultare libri e libri, tutto per riuscire a capire cosa fosse mai quella parola, “CANTROPODO”, intercettata mentre, distesa sul letto, ascoltava le conversazioni dei vicini per prendere sonno. La migliore cura contro l’insonnia per lei erano proprio le barbose e insulse chiacchiere dei paesani. In modo poco ortodosso, aveva impiantato un radiotrasmettitore sulla torretta telefonica che raggruppava tutti i dispositivi del paese e con quello ogni sera si sintonizzava su varie frequenze, talvolta per prendere sonno, talvolta alla ricerca di qualcosa che le facesse sembrare la sua esistenza meno tediosa.
“Non sai quanto è brava la mia bambina” aveva detto la signora Tarpa, odiosa vicina. “Gli altri bambini in confronto a lei sembrano dei poppanti. Sentissi che voce da usignolo”.
Mafalda, che la voce di tale “usignolo” la sentiva ogni pomeriggio durante le prove di canto, era più propensa a immaginare la bimba come un grosso e grasso uccellaccio spelacchiato con il collo incastonato nel busto, che gracidava a mo’ di Albanella pallida: un rapace, che però fa il verso di un rospo, seppure più acuto.
“Io credo che lui mi tradisca”, aveva frignato la signora Gilda parlando del suo ultimo toy-boy. Per quanto ne sapesse la Rossa, l’attuale tresca era con un certo Oscar. Lei non lo aveva mai visto e conosceva giusto di vista la compaesana, ma si vociferava stesse con un uomo tanto più giovane, bello e tenebroso. Quello era il gossip più succoso in circolazione. Non si riusciva a far a meno di ascoltare qualcuno che diceva la sua in proposito ovunque si andasse: dal parrucchiere, all’alimentari, in edicola…
Pareva che la signora Gilda avesse un’età compresa tra i quaranta e… i sessant’anni, ben mistificata dagli strati di trucco e Dio solo sa cos’altro e aveva un giro di pretendenti in costante evoluzione.
“Ehi, amico, si balla stasera?” aveva chiesto il giovane Almo, figlio della signora Molla e del signor Brown, ex militare americano.
Mafalda trovava piuttosto simpatico Almo, giovane baldanzoso che era stato tra i primi ad accoglierla al suo arrivo in paese. Con lui e la sua famiglia condivideva una parete della sua villetta a schiera.
A forza di cambiare continuamente frequenza, qualche ora prima, la Rossa aveva intercettato una voce grave e ovattata; quella stava sussurrando qualcosa di incomprensibile. Aveva cercato di ristabilire il contatto perso e le uniche cose che era riuscita a sentire erano state “CANTROPODO, TOP-SECRET, PERICOLO”.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata immaginando prima di tutto la protagonista, Mafalda. Di lei avevo in mente praticamente solo il nome, in onore al celebre fumettista Quino. Sì, perché a me, talvolta, nasce così l’ispirazione: costruendo il personaggio prima che la storia. Volevo che lei fosse odiosamente impicciona e che avesse quella curiosità dei fatti altrui che a me manca completamente.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portare a termine questa storia è stato più difficile rispetto al mio primo libro. Penso che un po’ sia dovuto al fatto che in un giallo si debba cercare di non essere banali, girare intorno all’assassino come se non si sapesse già chi è, interrogare i presunti colpevoli e lasciare qua e là indizi, in modo che chi legge possa sentirsi anche lui un po’ investigatore.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Mi rifaccio soprattutto agli autori anglosassoni, ai quali non manca mai la vena sarcastica.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Roma, città in cui sono nata e cresciuta.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho nel cassetto molti libri che ho cominciato e che vorrei portare avanti. Mi piacerebbe che Mafalda diventasse una serie e vorrei raccontare la storia di Marco, fratello di Adele, protagonista femminile di “Io, la mia moto e, forse tu!”.
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