Management dell’economia circolare: presentazione e intervista a Fabio Iraldo

Le implicazioni per il management d’impresa che riguardano tutte le fasi della catena del valore (o “del ciclo di vita del prodotto” – c.d. life-cycle perspective -, se si adotta una visione dell’azienda che ricomprenda le sue interazioni con l’ambiente). Partendo dalla fase di progettazione dei prodotti, va evidenziato innanzitutto che i modelli di business circolari, come sottolineano alcuni autori (Kahn et al., 2020), derivano da investimenti in R&S decisamente significativi, e mediamente superiori a quelli dei business model lineari, e che pertanto questa attività a supporto dell’economia circolare è, appunto nei casi di maggiore successo, molto intensa. Inoltre, come sempre accade nei primi stadi di sviluppo di un nuovo paradigma industriale (si pensi all’avvento dell’informatizzazione e dell’automazione), l’attività di Ricerca e Sviluppo alla base delle innovazioni improntate alla “circolarità” è, da un lato, soggetta ad un alto grado di incertezza e, dall’altro, è caratterizzata dal rapido susseguirsi di innovazioni, di solito incrementali, che vengono proposte sul mercato, ad esempio da sviluppatori di tecnologie o fornitori di materiali. Quanto è accaduto nel settore del packaging negli ultimi anni è emblematico al proposito. Le imprese che operano nei comparti “grandi utilizzatori” di packaging (e.g.: alimentare, cosmetica, fashion…) hanno ricevuto moltissimi stimoli all’innovazione, attraverso la proposta da parte dei produttori di imballaggi plastici di nuove soluzioni, tutte ispirate alle logiche dell’economia circolare ma molto diverse fra loro: dai materiali a base bio-polimerica, alle plastiche derivanti da riciclo, fino alle confezioni mono-materiale atte a favorire il riciclo a fine vita. La Ricerca & Sviluppo di queste imprese ha dovuto misurarsi con l’incertezza e l’estrema variabilità nelle performance tecniche e ambientali delle soluzioni proposte e, non di rado, si è trovata a sperimentare soluzioni diverse e alternative in un breve lasso di tempo, sotto la pressione delle esigenze di commercializzazione e marketing di nuove linee di prodotto “green”, a cui tali packaging erano destinati. In questo quadro, è facile comprendere come la Ricerca & Sviluppo e la progettazione 318 nelle imprese “circolari” debbano necessariamente attrezzarsi per poter gestire sperimentazioni di materiali innovativi i cui esiti sono affetti da incertezza e per seguire l’evoluzione frequente e repentina che caratterizza lo sviluppo di nuove tecniche e materiali in questo ambito. Si aggiungono poi altre esigenze di trasformazione, legate alle peculiarità del design “circolare”. Quando, ad esempio, la circolarità si traduce nel ripensare il prodotto e il suo imballaggio per conferire loro caratteristiche tali da prolungarne la vita utile, o da consentire la rigenerazione in “vite future”, è evidente come il design e la progettazione debbano evolvere per essere capaci di tener conto di cosa accade al prodotto “dopo”, ovvero all’esaurimento della propria prima funzione. Ciò può mettere in crisi il design tradizionale, che spesso si limita a considerare le modalità di utilizzo del prodotto o, al massimo, la gestione del suo fine-vita. Il design circolare, invece, travalica i confini della “prima vita” del prodotto, e richiede pertanto di conoscere, valutare e incorporare nelle scelte di progettazione variabili tecniche e tecnologiche, gestionali e operative che potremmo definire nonlineari, quali ad esempio: il comportamento dei materiali del prodotto o dell’imballaggio nei cicli produttivi successivi, i vincoli tecnologici all’impiego di tali materiali, le componenti del prodotto che possono liberarsi in successivi trattamenti, il deterioramento nei progressivi cicli di recupero (si pensi alle fibre di cellulosa nei processi di riciclo della carta), i parametri prestazionali qualitativi che il prodotto o l’imballaggio possono garantire una volta trasformati in Materie Prime Seconde (si pensi alla omogeneità del colore o alla possibile cessione di odore delle plastiche riciclate, in passato ostacoli rilevanti al loro impiego), etc. Oltre a queste variabili, un design “circolare”, per poter essere realmente efficace, deve tener conto anche di dimensioni economiche (si pensi ai costi del disassemblaggio, della separazione o dei processi di riciclo) e di dimensioni strategiche e comportamentali legate alle scelte che vengono compiute non più e non solo dal cliente / consumatore, ma soprattutto dai settori a valle dell’utilizzo. In questo senso, la progettazione acquisisce gradi di complessità crescenti in proporzione a quanto viene “prolungata” la vita del prodotto, oppure addirittura a quanto vengono moltiplicate le possibili vite future. Si pensi ad esempio alla progettazione di un’automobile, che in un’ottica pienamente circolare dovrebbe incorporare non solo la fase di uso e il fine vita (e quindi ad esempio le modalità di guida, la manutenzione e la cosiddetta rottamazione), bensì le esigenze delle piattaforme di smontaggio, le opportunità di remanufacturing (restituendo al produttore componenti rigenerabili), le regole delle filiere di recupero presidiate dai consorzi 319 (pneumatici, batterie, etc.), le eventuali possibilità di valorizzazione di materiali complessi e non avviabili nei canali della raccolta consortile (es.: cristalli dell’auto), e così via. Queste scelte comportano un’evoluzione delle conoscenze e delle informazioni da mettere a disposizione del progettista, nonché una capacità di interfacciarsi con uno spettro di “attori della filiera” molto più ampia che in passato. Il tema delle informazioni e dei dati di input per la progettazione pare essere particolarmente rilevante nello scenario dell’economia circolare. Le esperienze analizzate nei capitoli precedenti hanno evidenziato come molte imprese che sono sulla frontiera dell’economia circolare abbiano avuto l’esigenza di fare affidamento su conoscenze in grado di orientare le scelte di design, in un contesto un cui predomina l’incertezza. Per tale motivo, queste aziende hanno adottato e utilizzano strumenti a supporto del circular design che, sebbene fondati su metodi scientifici complessi, ne rendano fruibili i risultati in indicazioni e linee-guida dal taglio pratico e operativo, destinate ai designer aziendali. È il caso, ad esempio, dei vari Eco-design e Circular tool messi a punto nei progetti di ricerca descritti in questo volume, concepiti per semplificare e applicare in una logica “screening” e simulativa/predittiva i modelli analitici LCA e di impronta ambientale da cui vengono derivati, per poter essere utilizzati effettivamente nelle scelte di progettazione. In questo senso, alcuni studi recenti (fra cui Kahn et al., 2020) ci dicono molto chiaramente che dall’applicazione di una LCA semplificata, o di un tool di simulazione con cui valutare diverse opzioni, le aziende che si muovono su questa frontiera hanno colto e sviluppato molte idee di miglioramento relative alla circolarità dei propri prodotti e servizi. Va infine sottolineata un’ultima connotazione specifica della progettazione in chiave di circolarità: essa è fortemente improntata alle logiche collaborative inter-aziendali e, ancor di più, basate sull’engagement di altri attori della filiera, dalla supply-chain al consumatore finale e oltre, come sopra evidenziato, fino agli utilizzatori delle “altre vite” del prodotto. L’economia circolare, in altre parole, è un ambito privilegiato di applicazione del cosiddetto “co-design”: nella maggioranza dei casi, un prodotto ispirato alle logiche della economia circolare viene ideato e sviluppato in cooperazione tra i diversi soggetti che hanno un ruolo attivo nelle sue catene del valore (o nei suoi potenzialmente multipli cicli di vita). Questi soggetti vengono coinvolti nella progettazione, in quanto ciascuno di essi detiene il livello di conoscenza più approfondito e ampio sui materiali e sulle tecniche relative alla fase che presidia. 320 Si pensi al caso del design-for-disassembling, più volte citato in questo volume. La progettazione di questi prodotti viene normalmente svolta coinvolgendo le piattaforme destinate al disassemblaggio (se questo avviene post-raccolta) per testare la facilità delle operazioni di disassembling, i trasformatori e produttori di Materia Prima Seconda per i feasibility-test sull’omogeneità e lavorabilità delle componenti disassemblate, e gli utilizzatori delle MPS derivate, per accertarne le reali possibilità di impiego in nuovi cicli produttivi, ecc. La conoscenza messa in campo da questi soggetti è essenziale per rendere il prodotto il più “circolare” possibile, poiché il know-how “indiretto” del progettista o del designer dell’azienda da solo non sarebbe sufficiente. Come sottolineato in precedenza, questo approccio può arrivare a coinvolgere anche i consumatori finali, in quanto le modalità di utilizzo, manutenzione, sostituzione periodica di ricambi, riparazione, etc. sono essenziali per la corretta progettazione del prodotto. L’economia circolare dà un nuovo significato al termine “prosumer”, ponendo l’accento sulla capacità del consumatore di intervenire attivamente nei processi creativi di ideazione del concept di prodotto e nelle scelte di design, influenzandole con la propria conoscenza ed esperienza, in modo da rendere possibile la piena realizzazione della circolarità. Cambia in questa prospettiva anche la funzione della “market intelligence”, che deve spingersi molto più in profondità nella conoscenza del consumatore: non sono soltanto le preferenze di acquisto o le abitudini di consumo ad essere sondate, bensì altre dimensioni più funzionali alla progettazione della circolarità: dai comportamenti usuali nell’utilizzo del prodotto, alle attitudini alla preservazione/conservazione dello stesso, dall’utilità percepita del packaging, alle modalità seguite per lo smaltimento dello stesso, nonché del prodotto a fine vita. Analoghe considerazioni varrebbero, naturalmente, anche per un cliente intermedio che debba impiegare un semilavorato o un prodotto ausiliario nel proprio processo produttivo. In sintesi, in un sistema economico circolare la performance dei prodotti e dei servizi dipende in modo molto più diretto e accentuato da fattori che sono correlati all’operato degli altri soggetti della filiera, in una concezione di filiera più allargata e frammentata rispetto al sistema lineare. La progettazione e il design sono e saranno sempre più fortemente condizionati da questo mutamento di prospettiva. 321 Dalle considerazioni proposte nei capitoli precedenti emerge chiaramente come anche nella fase di approvvigionamento l’economia circolare imponga nuove necessità, cui il management deve dare risposta. In primo luogo, come conseguenza diretta delle scelte di design e di progettazione su materiali innovativi evidenziate nella fase precedente, con l’accrescersi del livello di “circolarità” nelle aziende la catena di fornitura va “espandendosi” e si amplia il range di fornitori con cui esse devono interagire. In questo scenario, alle necessità più “trasversali” all’azienda di costante aggiornamento sulle alternative disponibili e sulle proposte di nuovi “materiali circolari” da parte dai fornitori, che abbiamo visto essere affette da incertezza ed elevata frequenza di evoluzione, si aggiungono implicazioni più specificamente legate al supply-chain management. Occorre, ad esempio, sviluppare una più elevata conoscenza tecnica di materiali nuovi, con cui le aziende non hanno familiarità, spesso difficili da valutare secondo i parametri classici delle scelte di approvvigionamento dell’economia lineare, in quanto implicano “trade off” molto più accentuati; ad esempio: – La qualità (resa, estetica, prestazione tecnica, etc.) dei materiali “circolari” può essere inferiore, ma a vantaggio di un minore impatto ambientale; – I tempi e le distanze di approvvigionamento possono essere superiori rispetto ai materiali utilizzati normalmente (si pensi al legname o alla cellulosa proveniente da foreste sostenibili, alle bioplastiche da imballaggio), ma a vantaggio della minore volatilità dei prezzi. – I volumi reperibili sul mercato possono essere incostanti e da fonti più diversificate (si pensi alla carta da macero o ai metalli di seconda fusione), ma a beneficio di una maggiore autonomia e relativa “indipendenza” rispetto ad analoghe fonti convenzionali in esaurimento o provenienti da ecosistemi o Paesi a rischio; – I costi diretti possono essere superiori (soprattutto nella fase di sviluppo iniziale in cui un nuovo materiale è scarsamente reperibile), ma vengono compensati da minori costi indiretti e, in un’ottica più estesa, da costi sociali inferiori; – Ancora, i costi unitari possono essere apparentemente superiori nel singolo acquisto, ma la ripetizione della fornitura nel tempo può beneficiare di una netta riduzione del costo medio grazie alla maggiore durabilità del prodotto, ovvero all’allungamento della vita utile dovuta alla riparabilità o alla sostituibilità di spare-parts…