Edito da Flavio Ciabattoni nel 2020 • Pagine: 289 • Compra su Amazon
Flavio, dopo essersi licenziato dal lavoro, ha un’altra folle idea: viaggiare da solo, zaino in spalla, nei paesi musulmani che circondano il Mar Mediterraneo. Un'avventura on the road come tante altre, non fosse per un piccolo dettaglio: Flavio è gay.
E a nascondersi, lui non ci pensa proprio.
L'unico punto di arrivo in questo libro è un ulteriore punto di partenza: aprire una finestra sull'Altro significa innanzitutto riaprire una porta su di Noi: Mediterraneo, Europa, Aristotele, Cristo, Sant'Agostino, Averroè, Alessandro Magno, Fallaci, Montanelli, Pasolini. E anche Calvino, che una volta scrisse: “L'altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.”
Un vecchio appoggiato a un muro iniziò a camminare nella mia direzione non appena mi vide attraversare il portale.
“Hola, cómo estas!?” mi chiese, avvicinandosi tutto molleggiato mentre la sua palandrana bianca veniva sbatacchiata dal vento. Non avrei saputo dire che età avesse; probabilmente sulla cinquantina o sulla sessantina, ma il suo paio di occhiali da sole in stile Kanye West e il suo corpo atletico rendevano impossibile ogni stima.
“Bien gracias…” risposi senza manco degnarlo di uno sguardo.
“No soy guía turística! No quiero dinero; no tengo nada que hacer, si quieres podemos hacer un paseo juntos,” si affrettò a dire, come se avesse percepito la mia diffidenza. Improvvisamente abbassò la voce e mi chiese in inglese: “Who was that guy with you? Where did you meet him?” lanciando occhiate verso l’entrata della medina. Guardai nella stessa direzione, avvertendo improvvisamente quel leggero senso di nausea che precede una fiammata d’ansia.
“I don’t know, I just met him on the taxi… why are you asking me this?”
Si rigirò verso di me e mi guardò dritto negli occhi. “He is a bad person. Let’s keep going,” disse, facendo un passo verso il centro della medina. “You see the colours of the doors and windows? They change according to the neighbourhood.” Iniziò a indicare le persiane delle case. “Green is Muslim, blue is Jewish, black is…”
Non mi ricordo nemmeno se avesse detto inglese o portoghese. Il mio battito cardiaco continuava ad aumentare, mentre un unico pensiero continuava a ronzarmi in testa come un drone chiassoso. Ma perché deve essere tutto così losco? E perché mi dovrei fidare di questo vecchio qua?
“… and this is why it looks like that. Yallah!” il vecchio mi prese per il braccio, distraendomi dal vortice dei miei pensieri. Percorremmo una via che costeggiava un lungo muro merlato di blocchi di tufo, separando la città vecchia dall’oceano burrascoso, pochi metri più sotto. Raggiungemmo un altro portale di pietra e da lì ci tuffammo nell’intricato mosaico di vicoli. La calce bianca delle case riverberava la luce del sole con una tale intensità da rendere inutili persino gli occhiali da sole. Sempre tenendo il muro di pietra alla nostra destra, continuammo a camminare finché non incontrammo un ultimo portale, all’estremità sud della medina. Ma invece di attraversarne la soglia, il vecchio indicò una transenna appoggiata verticalmente, a mo’ di scala, sull’alto muro di pietra alla nostra destra.
“Come with me… I’ll take you to a secret place,” bisbigliò il vecchio, guardandosi attorno. “It used to be open, but now they closed it,” aggiunse, prima di iniziare ad arrampicarsi sulla transenna. Avrei dovuto
fidarmi? Avrei dovuto seguirlo? La situazione era ormai abbastanza sospetta di suo, ci mancava solo che mi mettessi a fare Prince of Persia. Guardai in su, verso il vecchio; mi stava facendo cenno di seguirlo. Ma se quel losco tipaccio pelato mi sta aspettando al di là di questo muro? Mi guardai attorno; non c’era nessuno. Ah, merda! E saltai sulla transenna, seguendo quel vecchietto che sembrava uno di quei jinn di quelle antiche favole arabe che passano la giornata a tessere trame tra cupole smaltate, guglie da sogno e ombre sottili. Dalla transenna mi arrampicai su un sottile cornicione che correva lungo il muro di cinta. Il vecchio jinn era già saltato su un secondo cornicione, ancora più alto e mi stava aspettando con la mano tesa. Con il suo aiuto mi issai sul secondo cornicione e da lì ci arrampicammo su un davanzale posto sulla sommità del portale che avevo visto prima. Buttai giù gli occhi: eravamo ormai a circa tre metri di altezza. Dall’arco scivolammo su una gronda che correva tutt’intorno al perimetro di una piccola torre imbiancata a calce. Potevo avvertire l’oceano che infuriava dall’altra parte della torre.
“Old cemetery…” sussurrò il vecchio jinn, con l’indice puntato verso il basso. Non capii cosa volesse dire; non vedevo alcun cimitero! Aggirammo la torre con le spalle incollate al muro. E una volta girato l’angolo…
Uno stretto passaggio conduceva all’estremità finale dei bastioni della città, costruiti in modo tale da finire come un’incudine a strapiombo sull’oceano. Iniziai a camminare verso l’estremità, verso l’oceano. Notai delle scalette alla mia destra che scendevano dalla piccola torre bianca su cui ci eravamo arrampicati e finivano in una terrazza nascosta, sospesa pochi metri sopra le onde; più o meno all’altezza della transenna appoggiata a mo’ di scala, ma dall’altro lato del muro. La terrazza, pavimentata con steli smaltate di diversi colori, ognuna decorata con un disegno differente, conteneva una piccola cripta con pareti bianche, porte verdi e una cupola blu. Il cimitero…
Il candore luminoso rifletteva su quei bastioni color tartufo e su quegli infissi blu, verdi e neri, creando un contrasto di colore così unico da rendere quell’angolo nascosto di Asilah uno dei luoghi più rilassanti in cui sia mai stato. Sembrava veramente un posto segreto. Uno di quegli angoli nascosti a cui pensi ogni volta che ti assale lo stress, i problemi e le paturnie; uno di quei posti in cui ti basta un materasso e un telo di cotone azzurro su cui stenderti per lasciarti assorbire dal sole, dal vento e dall’oceano e dissolverti nella quiete eterna. Se non fosse per quella manica di stronzi che mi aveva messo ansia…
“Do you smoke hashish?” mi chiese il vecchio jinn, mostrandomi i suoi denti macchiati di tabacco. “No, I don’t. I quit a while ago…” risposi, il mio sguardo perso nell’Atlantico. Continuai a camminare verso la fine del bastione, come in trance. La mia mente iniziò a ripescare quelle antiche mappe medievali che raffiguravano gli oceani come vastità terrificanti popolate da terribili creature marine. Continuavo a guardare l’estremità di quel bastione. Aveva una forma così strana, come se fosse un ponte. Un ponte senz’altra fine che quelle profondità ctonie, infinite, primitive, bibliche.
Che razza di posto è questo… un ponte che termina nell’oceano… sembra l’ingresso di Atlantide. Platone non aveva forse scritto che Atlantide si trovava più o meno qui? Un tuono profondo, baritonale e nettunico iniziò a sorgere da quell’abisso d’acqua bollente. Arrivavano delle raffiche di vento così impetuose e improvvise che avrebbe potuto facilmente gettarmi giù dal muro. Ma non me ne importava, ero troppo occupato a guardare l’Atlantico. Mi sono sempre chiesto se l’oceano e il mare avessero un orizzonte diverso. È solo un trucco della mente che fa sembrare l’orizzonte dell’oceano così infinitamente più esteso di quello del mare?
“Nice place! If you have your phone, I can take a picture of you,” disse il vecchio, insinuandosi nei miei pensieri.
“My phone…” dissi, la mente ancora intenta a mareggiare in quei golfi mistici di flutti e spuma. “My phone… shit!”
Come è nata l’idea di questo libro?
Ho deciso di scrivere questo libro per due motivi: perché ogni volta che raccontavo qualche avventura legata al mio viaggio in Marocco mi sentivo sempre dire: “Flavio, devi scriverci un libro perché queste cose che mi stai dicendo meritano di essere raccontate!” E perché ho sempre avuto il terrore di scrivere; per quanto mi sentivo insicuro non riuscivo più nemmeno a scrivere uno status di Facebook. Perciò è stato un modo per dimostrare a me stesso che non c’è niente che non posso fare (o perlomeno provarci!).
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà principale è l’aver scritto il libro originariamente in lingua inglese. In seguito ho deciso di tradurlo in italiano. Perciò mi sono ritrovato a dover gestire in contemporanea la pubblicazione di due libri.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Oriana Fallaci, Italo Calvino, Gabriel García Márquez, Luigi Pirandello e Umberto Eco.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho passato gli ultimi due anni viaggiando in giro per il Medio Oriente, però tornando a vivere nella mia casa natale, nelle Marche, diventata la mia base madre. Prima di questi due anni ho vissuto in giro per Londra, Istanbul, Copenhagen, Lisbona e Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ora sto scrivendo un secondo libro, questa volta incentrato sul viaggio in Egitto. Già dalle prime pagine si può notare subito che è molto più dark del primo libro, sia perché è ambientato nell’Egitto post-rivoluzione, una situazione molto più surriscaldata rispetto al Marocco, e sia perché è più focalizzato su società e geopolitica e meno su filosofia e religione. Ho anche cercato di fare un serio e metodico lavoro di divulgazione, sintetizzando in piccole pillole tutta la storia dell’Egitto, inserendole nella narrazione di ogni capitolo in modo da fornire tutte le coordinate storiche per contestualizzare i luoghi e gli eventi cercato di fare un serio e metodico lavoro di divulgazione, sintetizzando in piccole pillole tutta la storia dell’Egitto, inserendole nella narrazione di ogni capitolo in modo da fornire tutte le coordinate storiche per contestualizzare i luoghi e gli eventi.
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