
Edito da Oakmond Publishing nel 2020 • Pagine: 256 • Compra su Amazon
Matanza è la storia di uno spaventoso massacro realmente avvenuto nella città di Torreòn, durante la rivoluzione messicana. Protagonista del romanzo è Juana, una ragazza indigena che viene avviata alla prostituzione da un abietto sfruttatore. Travolta dalla violenza di una guerra senza fine, Juana cerca di riscattare se stessa e dà voce agli ultimi della sua terra, quei popoli nativi, che pur costituendo l’anima più antica della nazione messicana, lottano ancora oggi per avere diritto a un futuro.
La mattanza di Torreòn, rimasta impunita, è una delle pagine più buie e sanguinarie dell’intera storia dell’America Latina.

Capitolo 1
Estado de Nuevo Leòn, Messico, 1910
Il minuscolo villaggio senza nome era abbarbicato sulle pendici scoscese del Cerro San Rafaèl, un colosso di scura andesite incappucciato dall’ultima neve primaverile. Tutt’intorno, rilievi più modesti incisi da profonde barrancas drenavano le acque cristalline della Sierra Madre Orientale verso l’assolata piana di Monterrey.
Lungo lo stretto viottolo che portava al villaggio, la sagoma scura di un uomo alla guida di un malandato calesse si stagliava nella luce rosa del tramonto. Mentre procedeva fra gli scossoni provocati dal terreno accidentato, un cane dal pelo ispido gli tagliò la strada e abbaiò quasi controvoglia al cavallo, che nemmeno si scompose.
La piccola estancia era formata da una decina di bassi fabbricati di paglia e fango intonacati di bianco. Da un paio di essi usciva un sottile filo di fumo, che giunto a una certa altezza si espandeva nell’aria fino a scomparire, inghiottito dal cielo blu. Il calesse si arrestò davanti alla prima casa e il cane, che continuava a gironzolare incuriosito attorno al cavallo, sobbalzò all’indietro ringhiando non appena l’uomo gli si parò dinanzi, inaspettato.
Il carrettiere si guardò attorno per alcuni istanti; a parte il cane e alcune galline, il posto pareva deserto.
Bussò tre volte alla porta, fece un passo indietro e aspettò. Sulla soglia apparve una donna dai capelli lunghi e scarmigliati che lo squadrò con aria stanca; quindi abbassò lo sguardo e lo invitò a entrare.
L’uomo dovette chinare il capo per valicare l’ingresso. Una volta dentro, si tolse il cappello e attese che la vista si abituasse a quel buio improvviso; poi fece scorrere lo sguardo tutto intorno, alla ricerca di quello per cui era andato fin lì. Sulla panca di legno vicino al tavolo scorzato, sedeva una giovane ragazza di diciassette anni dall’aria tesa e impaurita. Aveva lunghi capelli neri, lisci e setosi, che incorniciavano un volto dai lineamenti aggraziati. Quando alzò lo sguardo verso di lui, dischiuse le labbra piene e ben disegnate in un’espressione di sbigottimento. Tutto in lei emanava una forte sensualità, e l’uomo avvertì un brivido di piacere salirgli dall’inguine. Accanto aveva un sacco di iuta con le sue povere cose già impacchettate, e cinque fratellini che sgranavano gli occhi scuri su quell’individuo dalla faccia così austera.
«È lei?»
«Sì», rispose la donna.
L’uomo squadrò ancora la ragazza, poi prese dalla tasca della giacca un piccolo rotolo di banconote sgualcite legate con lo spago e lo diede alla madre. Con un leggero movimento del capo fece cenno alla ragazza di uscire e si avviò verso il calesse. La donna, con gli occhi lucidi, strinse a sé la figlia per l’ultima volta e le sussurrò qualcosa baciandola sulla fronte, mentre l’uomo voltava il cavallo.
La giovane montò sul cocchio accanto a lui e si sedette con il sacco imprigionato fra le gambe, il capo reclinato come una condannata avviata al patibolo. Appoggiata alla soglia d’entrata, la madre rimase a osservarli, mentre rimpicciolivano sempre di più nel viola del crepuscolo.

Come è nata l’idea di questo libro?
All’inizio avevo concepito la storia come un semplice racconto di fantasia ambientato nel Messico rivoluzionario, ma durante la fase di progettazione e di ricerca storica, m’imbattei in un episodio particolarmente cruento, sul quale decisi di far luce. La trama s’infittì, aggiunsi nuovi personaggi, dilatai i tempi e mi appassionai alla vicenda fino a trasformarla in un vero romanzo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Si è trattato di un lavoro lungo e impegnativo che ha comportato una profonda ricerca e analisi delle fonti, sulle quali adattare la fiction. Parlando sia inglese che spagnolo, non ho avuto difficoltà nell’interpretazione dei documenti in lingua originale, mentre i viaggi compiuti nel nord del Messico negli anni ’90 mi hanno aiutato nella ricostruzione dei luoghi e nella descrizione degli ambienti naturali. Dopo la prima stesura, ho svolto un’accurata operazione di editing per migliorare alcuni aspetti della trama e per approfondire la psicologia dei personaggi. Tra varie fasi di stesura, lunghe pause e revisioni, la versione finale ha richiesto quasi tre anni.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono da sempre un appassionato di viaggi e di storia americana, e i miei autori di riferimento sono quasi tutti di lingua inglese: da Joseph Conrad a Jack London, da John Steinbeck a Cormac McCarthy, che fra tutti considero il più grande.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Pisa da genitori istriani, ma ho sempre vissuto a Trieste. Sono profondamente legato al mio territorio, e pur avendo viaggiato molto in passato, non desidero vivere altrove.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Nell’immediato sto già lavorando a un nuovo romanzo ambientato tra Stati Uniti e Messico al tempo delle guerre indiane, argomento che conosco bene e che contribuisce a dare continuità alle due opere precedenti. In futuro vorrei anche scrivere qualcosa sulle mie terre, Trieste e l’Istria. Lascerò per un po’ la frontiera americana per dedicarmi a quella di casa nostra.
Ho letto il libro, scorrevole molto descrittivo senza eccedere rischiando di annoiare, coinvolgente e per quel poco che lo conosco rispecchia la personalità dell’autore. Me lo sono “bevuto” in due serate. Grazie GP.