Edito da Giorgio Pulvirenti; Marco Negrone nel 2019 • Pagine: 287 • Compra su Amazon
1957. Justin è un giovane adolescente che vive a Montauban, un piccolo paesino immerso tra le campagne del sud della Francia, assieme ai suoi genitori adottivi. La guerra è finita da diversi anni ma ha lasciato ferite profonde sul corpo e nella mente di Benjamin, il padre adottivo del ragazzo, essendo un sopravvissuto del campo di sterminio di Auschwitz. Justin è deciso a conoscere la verità sul suo vero padre e la sua vera madre. Chiede quindi a Benjamin di raccontargli la storia delle proprie origini, che coincide con gli orrori che il padre ha vissuto all’interno del campo di sterminio. Quella che il ragazzo avrà modo di ascoltare sarà una storia forte, cruda, una vicenda che metterà in risalto la tenacia e la caparbietà di un gruppo di ebrei nel trovare un modo per sopravvivere ad una delle pagine più tristi e cruente della storia dell’umanità. Quando tutto sembrerà spacciato, un violino cambierà le loro sorti.
Prologo
Montauban, Francia, Luglio 1957.
Sentii dei suoni provenire dalla cucina di sotto. Erano appena le tre del mattino. La luce della luna era ancora chiara ed entrava dalla mia finestra illuminando l’ambiente circostante. Aprii di scatto gli occhi e dopo che riuscii a mettere a fuoco mi sollevai e mi sedetti sul letto pronto a incalzare le mie pantofole. Mia moglie dormiva serenamente e cercai di non provocare il minimo rumore. Aprii lentamente la porta e notai che una delle luci della cucina era accesa e che l’ombra di qualcuno si muoveva lungo la parete. Decisi di scendere per vedere a chi appartenesse. Feci un bel respiro e, gradino dopo gradino, giunsi di sotto, riuscendo finalmente a capire di chi si trattasse.
«Papà, che fai sveglio a quest’ora della notte?» domandò mio figlio, sorpreso di vedermi.
«Justin… Potrei farti la stessa domanda, figliolo. Che ci fai tu sveglio a quest’ora? Su, va’ a dormire. Domani devi svegliarti presto per la scuola» risposi io preso quasi alla sprovvista.
«Ma papà… domani è domenica. Non c’è scuola la domenica…» incalzò lui a bassa voce cercando di non svegliare mia moglie al piano di sopra.
Io riflettei per qualche secondo prima di avvicinarmi alla credenza e riempire la teiera per metterla sul fuoco.
«Vuoi un tè? Magari una fetta di pane con del burro e marmellata?» gli domandai mentre prendevo la teiera sbuffante di vapore in mano.
«Sì, perché no…» rispose, prendendo il suo solito posto a tavola.
«Non mi hai ancora detto perché sei in piedi a quest’ora, Justin» gli chiesi eclissando la sua domanda iniziale.
«Non riuscivo a prendere sonno… Fa davvero troppo caldo…» cercò di giustificarsi. «E tu?» ribatté prontamente.
«Ho sentito dei rumori e così sono andato a vedere…» risposi.
«Ti chiedo scusa… Non era mia intenzione svegliarti…» mi disse dispiaciuto. Glielo lessi negli occhi.
«E poi anche io ho caldo…» aggiunsi, ma non servì a nulla perché conoscevo bene il suo sguardo.
«Incubi, figlio mio. Incubi» gli confessai seccamente esitando qualche attimo.
Mi voltai per posare la teiera sul fornello e rimasi a fissare fuori dalla finestra con lo sguardo perso nel vuoto.
«Papà? È tutto ok?» mi domandò ma per un paio di secondi sembrai ignorarlo.
«Sì, Justin. Adesso sì…» gli risposi e voltandomi mi sedetti anche io al rettangolare tavolo in legno scuro della nostra cucina.
«Sai papà, è da un po’ che volevo chiederti una cosa…» prese a dire Justin.
In quel momento stavo imburrando le fette di pane prima di fermarmi di scatto. Un brivido iniziò a salirmi lungo la schiena.
«È da qualche tempo che mi chiedo com’erano… i miei genitori naturali…» mi disse quasi facendosi coraggio e prendendo un bel respiro. Io lo fissai negli occhi per qualche secondo e facendo un sospiro profondo posai lo spalma burro sul piatto e iniziai a parlare.
«Beh, sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato, figliolo. Io e la mamma lo aspettavamo, e adesso è arrivato. Dio… non immaginavo così presto… Va bene, cercherò di raccontarti tutto quello che desideri sapere, ma sappi che è una storia abbastanza lunga…» lo avvertii mettendogli una mano sulla spalla con gli occhi lucidi. Lui sapeva che per me non era mai stato facile ricordare il passato. Mia moglie glielo diceva sempre, ma stavolta era deciso a sapere, a conoscere la verità, e non credo ci sarebbe stata occasione migliore di quella notte, proprio quella, aspettando il mattino dopo.
Marco e Giorgio, raccontateci come è nata l’idea di questo libro.
L’idea di base è stata sempre quella di cercare di creare una storia d’amore nata durante l’orribile periodo dell’Olocausto tra le mura di Auschwitz ma da un punto di vista diverso dal solito…
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Abbiamo fatto di tutto per cercare di ricreare quel mondo pieno di sofferenza in modo tale da trasportare completamente il lettore all’interno della vicenda, come se vivesse accanto al protagonista, facendogli vivere suoni, odori e momenti di quel periodo. Abbiamo dovuto studiare molto e ascoltare numerose testimonianze. Quindi sì, è stato abbastanza faticoso…
Quali sono i vostri autori di riferimento?
Marco: J.R.R. Tolkien. Per me è un genio…
Giorgio: Non ne ho uno nello specifico. Di primo acchito direi Charles Dickens…
Dove vivete e dove avete vissuto in passato?
Entrambi abbiamo sempre vissuto a Catania, la terra del fuoco e dell’acqua!
Dal punto di vista letterario, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Abbiamo molta carne sul fuoco. Il prossimo libro vi lascerà senza fiato! Per adesso non possiamo dire molto ma… Vi accenniamo solo che riguarderà un processo con un imputato d’eccezione…
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