
Edito da Ali Ribelli nel 2019 • Pagine: 216 • Compra su Amazon
“Da quando suo padre era scomparso non aveva più sentito un calore simile e si chiedeva se fosse possibile avvertirlo sempre, per sempre, perfino quando il suo istinto gli bisbigliava che niente è per sempre.”
Ambientato negli anni Venti Il mattino ha due facce è la storia di Fabrizio, un commerciante di abiti sull’orlo del fallimento. Per tentare di risollevare la situazione del suo atelier fa domanda di una modellista. Alla sua porta si presenta Anna, una giovane con una guancia costantemente nascosta da un velo. Ella si dimostra fin da subito molto talentuosa, riesce a ideare capi che risultino accattivanti e a instaurare buoni rapporti con i clienti, tuttavia chiede che il suo segreto non venga mai svelato. Fabrizio, curioso, e perdutamente innamorato, un giorno decide di contravvenire al suo avviso.
Ad ogni modo, nonostante la citazione e l’inizio qui riportato, questo non è un romanzo sui sentimenti, poiché sebbene i personaggi anelino a provarli, e a riceverli, si trovano spesso a confrontarsi con l’indifferenza, il contrario dell’amore, quale spesso fa molto male e anzi fa tendere addirittura a emozioni opposte, come odio e disprezzo.
Il mattino ha due facce è un horror per persone forti, che vogliono percepire l’adrenalina e trovarsi immersi nella suspense, in un continuo stato di tensione.

Le cose andavano bene. Tutto stava cambiando a una velocità vertiginosa e prima che se ne accorgessero avevano lasciato i panni dell’atelier per trasformarsi in un prêt-à-porter. Era così che lo avevano già chiamato in Francia, un semplice negozio in cui gli abiti non venivano più creati su misura, ma studiati prima e riprodotti poi in serie. Il rayon aveva dato il via alla rivoluzione, i suoi bassi costi permettevano un’ottimizzazione del lavoro, una velocità di rinnovamento dei modelli che li occupava giorno e notte, travolgendoli con una dinamicità mai vista. Il locale ora possedeva un camerino, il primo che avessero mai avuto, uno spazio dove si poteva provare l’abito dopo averlo scelto da una di quelle tante taglie di cui ormai disponevano.
Avevano escogitato un modo, una maniera di vestire le donne a partire da ciò di cui avevano più bisogno: autonomia, indipendenza, libertà. Inoltre c’erano i soldi, tanti soldi; puntando sulla quantità, e dopotutto senza trascurare totalmente la qualità, potevano tornare ad accumularne e… c’era il Natale e la neve che tardava ad arrivare, c’era Anna, con il suo talento, il suo occhio per i capricci scanditi dal mutare della tendenza. La gente cominciava a conoscerla, le voci si diffondevano e ormai non solo Fabrizio si era accorto del suo prodigio, i clienti spesso chiedevano di farsi consigliare da lei nella scelta di un particolare capo e lei, con la professionalità di chi ha un mestiere nel sangue, sapeva sempre come infilare la parola giusta al momento giusto, quell’esatto commento che li avrebbe poi condotti a comprare. Non aveva importanza che aveva la faccia coperta, a nessuno importava, purché lei continuasse a elargire i suoi preziosi consigli.
Una sera aveva trovato il coraggio di chiederle di uscire, adesso che poteva permetterselo. L’aveva portata ad ascoltare la musica nera, il jazz, tuttavia si era scoperto a spiarla quando le luci si erano abbassate.
C’era un’idea, potente, che cresceva dentro di lui: la volontà di ristrutturare l’orfanotrofio, di ridonargli vita. Appena gli era stato possibile era sceso dabbasso recando con sé una bizzarra campana di vetro e sornione aveva sorriso alle sue dipendenti, aveva detto loro che lì ci sarebbero andati tutti i soldi per rimetterlo a nuovo. Avrebbe organizzato una svendita a prezzo ribassato degli abiti rimasti invenduti durante la stagione autunnale, l’avevano chiamata “saldi” e avevano quasi sperperato tutto ciò che avevano per ricoprire la città di manifesti pubblicitari. Del resto non c’era da preoccuparsi, perché in fondo c’era stato un tempo in cui l’orfanotrofio aveva occupato un posto nel cuore di tutti e tutti sapevano che il barbiere, il vicino o il lattaio erano cresciuti lì. Certo, anche loro ci avrebbero messo tutto il denaro guadagnato, ma ci contavano, contavano sulla bontà delle persone.
Si apriva un periodo di grandi speranze, di spensieratezza. La gente si sentiva invincibile e Fabrizio voleva lasciarsi trascinare, per una volta, dalla follia. Da quando suo padre era scomparso non aveva più sentito un calore simile e si chiedeva se fosse possibile avvertirlo sempre, per sempre, perfino quando il suo istinto gli bisbigliava che niente è per sempre.

Come è nata l’idea di questo libro?
Il tentativo è quello di dare un nuovo valore a un genere spesso sottovalutato ed elitario, comprovare che l’horror non è solo scene raccapriccianti e banali mostri, ma che può racchiudere tutta la grazia, la delicatezza che spesso è correlata a generi considerati di più alto livello. Una maniera di raccontare che ha tanto da dare e che può – al pari delle suddette categorie – destare la sensibilità e spingersi nel profondo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato molto difficile, ci sono voluti più di cinque anni. La parte iniziale, in cui si ha l’ispirazione è la più bella e la più fuggevole poiché poi arriva la parte dell’editing in cui si passano giornate a rileggere sempre le stesse righe nel tentativo di scoprire qualche errore di battitura e poi, nonostante tutto questo lavoro, qualche refuso spunta sempre fuori.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Tarchetti e Anne Rice.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo nei pressi di Milano e ho sempre abitato qui.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Scrivere un libro tutto in rime, la poesia mi piace davvero molto.
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