
Edito da Paguro edizioni nel 2020 • Pagine: 247 • Compra su Amazon
Il romanzo ci introduce nella Napoli del 1940 attraverso gli occhi scuri di Nicolina, quattordicenne esile dal viso smunto e dai folti capelli neri.
Mentre la guerra divampa, entriamo in una città dove la vita si afferma con la forza di una società istintiva e poliedrica. Il piccolo Giuseppe, venuto al mondo non per una scelta, ma per un impulso giovanile, apre la narrazione della vita di Nicolina: una vita luminosa nella quale le ombre della povertà e della sofferenza non offuscano la purezza del cuore e dei sentimenti.
Emozioni forti, suscitate da vicende incalzanti, in un contesto storico delineato con precisa e accurata documentazione, avvincono il lettore anche attraverso i dialoghi in napoletano, lingua ricca di sonorità e di immagini. Nello scenario di guerra l’esile Nicolina diventa donna, mentre lutti e sofferenze colpiscono la gente di Napoli, città che non è soltanto lo sfondo. È piuttosto protagonista, dai quartieri popolari, come quello di Porta Nolana, a quelli più alti, come Chiaia, dove la borghesia colta vive nei bei palazzi. I quartieri esprimono le diverse sfaccettature dell’autentica anima di Napoli, l’anima corale di una città dalle profonde radici che attingono alla linfa vitale di un’umanità forgiata da una cultura antica, sempre opposta all’ignoranza cieca del sopruso e della guerra. Così i personaggi del romanzo si stagliano come figure eroiche di vicende che si susseguono con ritmo incalzante e inducono il lettore a penetrarne l’atmosfera e a viverne le passioni, i momenti tragici e le speranze.

Nicolina perse la verginità a una età abbastanza consueta per una della sua condizione. Aveva 14 anni, veniva dalla campagna di Cardito, per la precisione da Carditello, e era giunta a Napoli per andare a servizio. Fu ospitata da una lontana cugina di nome Teresa che abitava con i tre figli in un locale a Porta Nolana, nel retro della sua merceria. La perse la prima notte del suo arrivo e quasi non se ne accorse. Era molto affaticata per il viaggio fatto a piedi nudi e stava per dormire quando il maggiore dei cugini, suo coetaneo, la prese con il solo istinto che quell’età produce. Non fu in grado di percepire che quella cosa poteva procurare piacere e non lo provò neppure le volte successive. La prima volta, insonnolita, si limitò a dire: -Ninì, ma ca facite? In seguito, remissiva, non disse più niente. Tornava dal lavoro stanca e con i morsi della fame. Mangiava pane nero, si lavava come poteva e andava a stendersi nell’angolo del letto che le spettava. L’indomani si alzava presto e si avviava verso Via della Maddalena, perché aveva scoperto il busto di San Gennaro in Piazza Santa Caterina a Formiello e aveva preso l’abitudine di fermarsi un attimo per un gesto di devozione, poi deviava verso la zona della stazione dove, al secondo piano di un palazzo signorile, abitava la famiglia presso cui lavorava e che era originaria di Cardito.
Con l’andare delle settimane il suo esile torace vide la comparsa di due seni più sodi, seppure sempre piccoli. Il suo corpo era proporzionato al petto e bastava poco per vestirlo, una tunichetta, un grembiulino. Dalla sua faccia smunta spuntavano come fari due occhioni neri infossati, i capelli erano folti, ondulati, lunghi e neri, quasi eccessivi per la sua magrezza. Quando si accorse di essere incinta, non ne fece cenno alla parente e nemmeno alla padrona. La pancia, appena sviluppata, se ne stava ben nascosta sotto la veste e lei poté continuare a lavare, stirare e rassettare.
La notte di venerdì primo novembre 1940, intorno alle quattro, fu svegliata di soprassalto dall’urlo intermittente della sirena che annunciava l’allarme per un’incursione aerea, con lei si svegliò la stanza e tutta Napoli. Mentre gli altri andarono a cercare riparo dalle bombe nei possibili rifugi, si rigirò nel letto e riprese a dormire. Il bisogno di riposare era troppo forte per smuoverla e il peso della gravidanza, ormai al settimo mese, cominciava a farsi sentire. La mattina seguente, mentre nella merceria e per le vie della città c’era una grande animazione per quel primo bombardamento della RAF che era durato un paio di ore, lei si preparò per andare al lavoro. Giunta davanti al busto di San Gennaro e di lì a Porta Capuana, si trovò in mezzo a dei curiosi che stazionavano intorno a uno squarcio creato da una bomba inesplosa e alcuni montavano sui cavallucci di una piccola giostra azzurra posta lì accanto per vedere meglio dall’alto il nemico piovuto dal cielo. Poi si diresse verso la stazione e, arrivata ai piedi del palazzo dove era a servizio, ne vide drammaticamente i danni. Fortunatamente i signori presso i quali lavorava non erano morti, ma erano in strada insieme ad altra gente e, con gli occhi all’insù, guardavano sconsolati la loro casa, mentre si passavano le notizie che giungevano da una parte o dall’altra. Si seppe che i quartieri colpiti, oltre alla Stazione Centrale, erano quelli di Poggioreale, dove c’era la raffineria, e Bagnoli, dove c’erano le industrie belliche. Pareva che nessuno fosse morto, ma si contarono vari feriti.
Quando Nicolina si avvicinò piangente, la padrona le pose un braccio sulla spalla e, con rammarico, fu costretta a dirle che per il momento il lavoro non c’era più. Ritornata alla merceria, cominciò a accusare qualche dolore al ventre e dovette mostrare a Teresa il suo stato. La donna, come immediata reazione, mollò un gran ceffone al figlio che si era permesso di renderla così, poi si mise a massaggiarle la pancia e le contrazioni alla fine cessarono. Non ci fu bisogno di ricorrere all’aiuto di un medico, perché i dolori non si ripresentarono, finché la gravidanza non giunse regolarmente a termine.
Con le spinte di Nicolina, le buone mani di Filomena, la levatrice, l’assistenza di Teresa e le bacinelle d’acqua che portavano i figli, nacque Giuseppe. Era la mattina dell’otto gennaio 1941 e i suoi primi vagiti furono coperti dalla sirena che annunciava la seconda incursione aerea. Ninì e i fratelli Ciro e Pasqualino, corsero ai rifugi, La puerpera, provata dal travaglio, giaceva nel letto con il neonato, Filomena, ligia al dovere, rimase vicina a assistere entrambi, Teresa non se la sentì di andare via e si mise a pregare.

Come è nata l’idea di questo libro?
Sono partito dal detto napoletano: ‘a vita è na apertura ‘e cosce e na chiusura ‘e cascia.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La parte più laboriosa è stata la ricerca storica, tuttavia, approfittando del lockdown per il covid 19, ho completato l’opera in pochi mesi.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
In genere i latinoamericani, tra i nostri: Sciascia, Eduardo, Eco.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Milano da oltre 50 anni, ma sono nato a Napoli da genitori napoletani e ho vissuto a Verona, Caserta, Novara, Como.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Al momento sto raccogliendo elementi per il mio sesto romanzo e al tempo stesso vorrei ritornare su due che sono ancora inediti. Ho in cantiere anche la ripubblicazione di una raccolta di poesie intitolata Lunaria e la pubblicazione di un’altra raccolta di 45 poesie.
Il libro di Antonio Mercurio ha un incipit avvincente… da leggere d’un fiato!
Mi sembra avvincente.
Lo trovo appassionate.
Lo comprerò sicuramente!
Da questo “assaggio” è tutto da leggere, grazie Antonio