Edito da La penna sognante nel 2020 • Pagine: 52 • Compra su Amazon
Tre desideri: Melody deve esprimerli, ma non sa per quale ragione. A richiederli è il Bambino dei Desideri, una creatura magica che potrebbe avere la chiave per accedere al passato, dimenticato dopo l'incidente in cui hanno perso la vita i suoi genitori. Nel frattempo, un perfido essere di Nebbia corre contro il tempo e contro Melody. Quali sono i suoi obiettivi? Melody riuscirà ad accedere alla verità? Una verità che ha davvero qualcosa di magico... di unico.
1 – INTRO: UNA VOCE TRA LE FOGLIE D’AUTUNNO
«Devi esprimere tre desideri.»
«Lo so! Cheppalle!».
Lo gridò a tutti i venti possibili, stringendosi nel trench color fango, più per timore di quello che stava accadendo (di nuovo!) che per l’umidità dell’autunno appena iniziato. Un fruscio attirò la sua attenzione verso i rami dei Bagolari e dei Noccioli del Parco degli Scoiattoli. In alcuni punti le estremità si sfioravano come le dita di due timidi innamorati. I rami oscillarono all’improvviso, come se qualcuno li avesse percorsi in tutta la lunghezza. Sicuramente uno dei codosi, come chiamava di solito gli scoiattoli.
Melody portò le mani ai lati della bocca. Congiunse le punte delle dita poco sopra alla piccola e odiata gobba del naso, richiamando così la forma di un megafono.
«Ehilà? Ci sei?!». Fece una piroetta, mentre la bruma calava dall’alto, come un sipario fastidioso. «Insomma, vuoi mettere fuori il muso?».
Scrutò ogni dettaglio del parco, invaso da un silenzio innaturale. Sentì il battito del cuore sincronizzarsi con il tic-tac dell’orologio da polso.
Melody si guardò intorno, cercando di mettere a fuoco le forme più vicine a lei e non ancora strette nella morsa della nebbia.
«Ehi, bambina, voltati!».
Di nuovo, la voce infantile, leggermente rauca, le rammentò la sua presenza.
Lei fece come le era stato chiesto, mantenendo sul volto la smorfia indispettita.
«E che cavolo! Qui dove? E, soprattutto, bambina un corno!».
Melody sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Avanzò mettendo da parte ogni paura, fino a quando uno sbuffo di vento non la privò del berretto di lana.
«Ma porcaccia… pure il vento ci si mette?».
Vide beccheggiare il copricapo che ricadde su un cumulo di foglie morte. In quel punto la nebbia era meno densa rispetto al resto del parco. Che strano!
Melody raccolse il berretto. Lo aveva fatto e finito con le sue mani due settimane prima, in un pomeriggio. Nella sua stanzetta trovava spesso il tempo per dedicarsi al lavoro con i ferri.
Cento grammi di lana bordeaux.
Cento grammi di lana bianca.
Due ferri numero 4.
Quarantadue punti montati sul primo ferro mantenendo la mano morbida.
Immaginò di armeggiare con gli strumenti del mestiere, seguendo gli schemi, segnati sul suo diario, con precisione certosina.
«Poi si rovescia il tutto e si effettuano sette giri di punti a coste.»
Alternò i diritti ai rovesci, seguendo una linea immaginaria continua. Fu inarrestabile, fino al momento in cui non simulò il gesto con cui si liberò dei ferri. Ricordò allora di non essere nella sua stanza ma al parco, così raccolse il copricapo da terra e lo esibì a un pubblico immaginario.
Un sorriso e l’occhiata alle mani che, rapide, realizzavano veri e propri prodigi di maglia e uncinetto. Chi glieli avesse insegnati, non lo ricordava. Era l’unica ospite dell’Istituto capace di lavorare a maglia. Anzi, di certo, era l’unica quattordicenne con quella passione, mentre le amiche preferivano i trucchi e lo shopping online.
Melody ricordava poco o nulla del suo passato. Ogni volta che cercava di evocarlo, le sembrava di sprofondare in un baratro.
La sua vita era cominciata sette mesi prima. Come un neonato che avesse visto la luce in un assolato pomeriggio di fine marzo.
Con un gesto energico, premette il berretto sulla testa. Strizzò gli occhi. Una lacrima rigò la guancia, su cui passò la manica. Era ruvida, segno che il trench aveva diversi anni. Non sapeva quanti. Era il primo anno che lo indossava, anche se, forse, lo aveva già indossato prima di tornare a nascere.
«Melody?».
La voce del bambino attirò il suo sguardo nel punto in cui c’era una panchina. La nebbia che l’aveva avvolta tra le sue spire umide si alzò come un sipario, rivelandola. Con essa si mostrò anche un corpo accovacciato accanto a un’aiuola vuota.
Melody portò le mani ai lati della testa. La scosse, tremando.
«Io ancora non so che cosa chiederti.»
«Non devi avere paura.» La voce risuonò rassicurante. «Sono tre desideri. Tre.»
«Ne ho soltanto uno in testa. Ed è quello che tu non puoi realizzare.»
«Purtroppo io non posso far tornare in vita i tuoi genitori. Te l’ho detto un sacco e una sporta di volte.»
«Stai citando Salinger.» Cambiò subito argomento. «Ma allora, spiegami una cosa. Se non posso realizzare quello che a noi umani risulta impossibile, a cosa serve la magia?».
Il bambino inclinò la testa.
«Quello che dici non è esatto. La magia serve a realizzare ciò che è possibile. La trovi dentro di te, mai fuori. È la forza che ti permette di trasformare le cose e di agire nel mondo, cambiandolo. Non parlo di grossi cambiamenti ma di piccoli gesti. Non parlo nemmeno di impossibile. Si tratta di una categoria che nessuno può gestire.»
Melody si lasciò cadere sulle ginocchia, avvinta, lui continuò: «La magia è l’azione della creatività che rende il mondo quello che è. Senza creatività voi esseri umani non sareste voi, e nemmeno avreste fatto quello che avete fatto. Le case, l’arte, i romanzi, le poesie, le canzoni».
« E io, cosa c’entro in tutto questo?».
«Tu sei la creatività.»
Melody scosse la testa, confusa.
«Io sono… quella cosa? Non dire cavolate!».
Il bambino ondeggiò avanti e indietro.
«Ti prego, cerca dentro di te un altro desiderio. Più piccolo. E poi un altro e un altro ancora. E allora scoprirai che ho ragione.»
Melody cercò di guardarsi dentro. Quante volte lo aveva fatto? Certo, spesso non le era piaciuto vedere certe immagini. Anzi, dentro si vedeva piuttosto sporca. Come una discarica. Era come se avesse avuto bisogno di uno spazzino per raccogliere tutto. O di uno speleologo che riuscisse a scoprire quello che aveva seppellito. Ecco uno speleologo: lei aveva dentro le caverne. Gallerie interminabili che si dividevano in altre caverne. Roba da impazzirci.
Il Dottore le diceva sempre che sotto le cose brutte c’erano le belle, ma il difficile era spostare le brutte. Per questo esistevano le mappe per le cacce ai tesori.
Alla fine, Melody si scosse, rassegnata.
Il bambino la incoraggiò: «Devi rilassarti e concentrarti su qualcosa che ti piace. Il desiderio verrà da sé. Come i cioccolatini. Uno tira l’altro.»
Melody si imbronciò.
«Sono allergica alla cioccolata.»
Il Bambino rilanciò: «I salatini?».
«C’è il sale!»
«Per mille centauri! Pensa se si chiamassero dolcini!».
Si guardarono e risero, poi fece un ultimo tentativo: «Un desiderio tira l’altro come le gommose?».
Melody si illuminò come una lampadina.
«Le adoro!».
Si distese, finalmente. Scrutò il volto del bambino con curiosità: non l’aveva mai guardato con tanta attenzione. Ora poteva distinguere i lineamenti: occhi neri e saggi, naso leggermente schiacciato, labbra carnose tese in un piccolo sorriso. Quel bambino aveva davvero un qualcosa di strano. Un’espressione che sapeva di eternità. Le sembrava giovanissimo ma anche vecchissimo. Come quella donna. L’infermiera che…
«Ci seiiii?».
Lui la richiamò, lei si sentì frastornata. Era vero che un desiderio tirava l’altro? E tanti desideri, infilati come le perline nel filo di una collana, le avrebbero restituito la memoria?
Barcollò tra le spire del vento che si alzò. Le foglie accumulate a terra si sollevarono raccogliendosi in una serie di mulinelli. Si disposero intorno al suo corpo creando un effetto centrifuga frastornante. Tra gli spostamenti notò una coda agitarsi e poi sparire.
Da una parte, Melody avrebbe voluto credere nelle parole del bambino, ma poi subentrava la sua necessità. Riabbracciare i genitori era l’unica soluzione ai suoi problemi, al senso di solitudine che la macerava dentro. Di certo, grazie al loro ritorno, avrebbe ricordato il suo passato. Si sarebbe ritrovata nell’abbraccio di mamma, nel bacio di papà, nei piatti del dopo cena di una sera di autunno. Quelle sere fresche e umide lasciate fuori dal soggiorno inondato dal calore dei primi fuochi accesi nel caminetto. Quelle sere in cui ritrovarsi davanti a un vecchio film in bianco e nero o a un puzzle.
E invece le sue sere erano spesso deserti riempiti da una lettura, dallo sguardo fuori dalla finestra. Era la ricerca dell’abbraccio nel piumone. Era una pagina di diario scritta, dopo aver letto e riletto gli appunti che mamma aveva lasciato.
Mamma. Dove sei?
All’improvviso la rabbia esplose in un gesto: si strappò il berretto dalla testa e lo lanciò lontano, urlando tutta la sua angoscia.
«Papà? Mamma? Dove siete?».
Un urlo a occhi chiusi si levò come il richiamo di un uccello morente, una lacerazione del silenzio subito ricomposto, insieme alle foglie tornate a stratificarsi sul terreno.
Il berretto si sollevò da terra, come mosso da mani invisibili. Si spostò verso di lei, quindi si allargò sopra alla sua testa. Sentì di nuovo il calore della lana, in netto contrasto con il freddo che le scuoteva il resto del corpo.
Melody lo cercò con lo sguardo, ma del bambino non c’era più traccia.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata dalla mia passione per i manga e gli anime. L’ho sviluppato in un paio di pomeriggi, alcuni anni fa, poi l’ho messa da parte, aspettando tempi migliori. Con il primo lockdown ho deciso di mettere “Melody la Vestale di Inventia” in download gratuito, ottenendo in tre mesi più di 4mila visualizzazioni. Contemporaneamente ho pubblicato la versione digitale e il cartaceo su Amazon, pensando al desiderio di evasione in un momento di fermo. Mai come ora abbiamo bisogno di sentire che quello che vogliamo può realizzarsi: Melody parla proprio di questo, della possibilità di realizzare i propri desideri. Un messaggio di speranza e l’appello alla fantasia per trovare le strategie volte a risollevarci nei momenti più difficili. 2)
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile portarlo a termine perché era una storia che voleva essere raccontata. Sono entrata in punta di penna nel mondo di Melody, un urbanfantasy che nasce per i più giovani ma può piacere ai grandi che sanno sognare e amano il genere. L’ho visto, ho sfiorato i personaggi e loro mi hanno trascinato nelle loro avventure. Ho chiesto loro di regalarmi un po’ di magia… mi hanno risposto che l’avrei trovata dentro di me. E in effetti… è stato così.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho una valanga di autori e autrici, qui cito quelli fantasy o surreali: Michael Ende, Laini Taylor, la Barbara Baraldi di “Scarlett” e “Striges”, Philipp Pullman, Danielle Trussoni, Silvana De Mari, Connie Furnari con il mitico “Stryx”, Romina Casagrande, Alma Katsu, Aldo Palazzeschi, Iginio Ugo Tarchetti, Antonio Fogazzaro di “Malombra”. Mi fermo qui anche se non posso non citare tutti i riferimenti alle fiabe classiche che adoro.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo tra la Bassa modenese, Riva del Garda e Milano, anche ora, causa restrizioni Covid sono nella Bassa. Ho vissuto a Milano, città che ho nel cuore per una serie di ragioni personali e lavorative. Ma quando scrivo, vivo ovunque.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho tanti progetti tra cui un’uscita nel 2021 con Dario Abate Editore. Inoltre intendo continuare le avventure di Melody, strutturando una saga vera e propria. Non mancano racconti, alcune dei quali commissionati da editori, e una trasposizione cinematografica su cui sono al lavoro (e qui ci sarà da attendere!)
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