
Edito da Meligrana Editore nel 2018 • Pagine: 320 • Compra su Amazon
Estate 1916. La guerra infuria in tutta l’Europa e nel resto del mondo, trascinando a fondo milioni di vite. Geoffrey Coleman, studente universitario arruolatosi come volontario nell’esercito inglese, sta per partecipare alla terribile offensiva della Somme sul fronte occidentale. Tutto si svolgerà in pochi attimi, quando i soldati usciranno dalle trincee per dare inizio all’attacco e la morte sarà in agguato ad ogni passo. Sospeso tra determinazione e paura, Geoffrey deciderà qui tutta la sua vita: l’amore, la morte e l’amicizia.

30 giugno 1916
Francia. Zona di guerra, a pochi chilometri da Albert
Cara Lisbeth,
sono le undici di sera e domani andremo all’attacco. Sono venuto qui per questo, è stato il mio scopo fin dall’inizio. Sono pronto, niente potrà fermarmi. Sento una certa calma dentro di me, a differenza di quasi tutti quelli che mi circondano. Qualcuno si ubriaca, qualcuno tenta di scrivere una lettera alla mamma, qualcuno canta a squarciagola. Alcuni piangono, mentre altri ancora hanno lo sguardo perso nel vuoto. Io me ne sto qui nell’angolino che mi sono ricavato e scrivo queste poche righe senza grande agitazione. Per fortuna qui il rombare dell’artiglieria inglese, che bersaglia le linee tedesche, non è troppo fastidioso anche se per voi laggiù, che la guerra non la vedete, risulterebbe certamente insopportabile.
Dunque, dicevo, domani andremo all’attacco. Pare si tratti di un’offensiva in grande stile, per quello che conta. Vogliono sfondare il fronte tedesco, roba da squilibrati. Non sfonderanno un bel niente. Molti credono alle favole raccontate dai comandanti, che i reticolati davanti alle trincee tedesche verranno distrutti dopo che i nidi di mitragliatrice saranno stati resi innocui, con i serventi germanici falciati dal bombardamento di preparazione, portato avanti ininterrottamente per la bellezza di una settimana. Sì, lo so, a te queste cose non interessano e dubito che ti interesserà sapere di me, ma te le dico ugualmente, già che ci sono.
Io non credo a queste storie. Possono raccontarle fino allo sfinimento, ma il tono di voce alterato dalla foga patriottica che ci mettono dentro tradisce subito la falsità di ogni parola. Il patriottismo serve solo ad ingannare i semplici e gli ingenui. Serve a trascinarli nelle trincee e a farli morire in modi che altrimenti non accetterebbero mai. Domani alle 7.30 sarà dato l’ordine di attaccare e sarà sempre la stessa storia, la stessa da quel maledetto agosto di due anni fa.
Hanno detto, a me e al mio gruppo di soldatini terrorizzati, che dovremo uscire verso le 8 del mattino. Faremo parte di una delle prime ondate che si lanceranno verso le linee avversarie. Meglio. Tanto meglio. Non avrei avuto nessuna voglia di starmene qui tutto il giorno a vedere cosa succede lì fuori, per poi prepararmi ad uscire dopo ore di battaglie furibonde con morti e feriti urlanti dappertutto. Meglio uscire subito e cercare il proprio destino senza perdere tempo.
Te lo voglio dire chiaramente, mia cara, anche se non vuoi che ti chiami così: io voglio essere ucciso. Sono venuto qui per questo, per uscire dalla trincea correndo in avanti senza nemmeno curvarmi verso terra allo scopo di ricevere un minimo di protezione. Sono venuto qui per correre incontro ai proiettili tedeschi e farmi falciare il prima possibile. Stabilii di arruolarmi in fanteria, qualche mese fa, proprio perché essa sopporta il peso maggiore di questa guerra scriteriata. Stando in fanteria le probabilità di essere ammazzato sono molto più elevate. Cerco la morte. La desidero più di ogni altra cosa e credo che questa dannata guerra possa avere almeno un aspetto utile: uccidermi senza dover rendere conto a nessuno. Volevo uccidermi già prima che mi venisse quest’idea dell’arruolamento, ma poi ci ho rinunciato. In fondo sono buono d’animo e non ho voluto creare dei fastidiosi grattacapi alle poche persone che mi circondano. Non ho voluto che sentissero il peso di dover giustificare un suicida, di doversi sorbire tutti i giudizi dei parolai e di dover giudicare a loro volta.
Dunque eccomi qui, pronto. Ho trovato il modo di uccidermi senza farlo sembrare un suicidio agli occhi di tutti. Perché lo dico a te, allora? Perché tu sei la causa di tutto questo. E anche perché so che non lo dirai a nessuno. In realtà sospetto che potresti anche non leggere queste mie parole, ma cosa importa ormai? Lasciami almeno l’illusione che tu partecipi con me ai miei ultimi momenti.
Il capitano, domattina, darà l’ordine di uscire col suo fischietto e io sarò l’unico a lanciarsi fuori con entusiasmo, perché so che finalmente la mia pena avrà fine e non dovrò più preoccuparmi di nulla. Andrò davvero incontro alla morte col sorriso, ma non perché sono contento di sacrificarmi per la patria. No. Sorriderò perché la morte avrà il tuo viso. La pallottola o la granata ad uccidermi recherà con sé il tuo viso, e io morirò felice.
Diranno che sono stato falciato mentre andavo arditamente a conquistare le posizioni avversarie. Diranno che la patria deve essere fiera del mio coraggio. Non sapranno mai che sono stato io ad andare all’attacco, con quello slancio fulmineo, per trovare te dentro un proiettile. Non lo sapranno mai ma tu, se vorrai, lo saprai. Perché tu devi sapere.
Ora devo interrompere la mia lettera, si sta avvicinando un gran baccano perché quel deficiente del soldato Williams ha tentato di ustionarsi deliberatamente una mano pur di farsi mandare nelle retrovie ed evitare di partecipare all’attacco. Strillano, cercano di spegnere il fuoco sulla mano carbonizzata, il capitano bestemmia. Una scocciatura irrimediabile ed inutile. Williams domani attaccherà come gli altri, è ovvio che il tentativo di ustione è autoinflitto e nessun ufficiale lo manderebbe al punto di medicazione nell’imminenza di un attacco, anche perché ciò scatenerebbe una ribellione indomabile qui in trincea. Ma come, quella testa di cazzo se ne va tranquillamente in infermeria e noi stiamo qui come poveri stolti?
Non so se riuscirò a riprendere a buttare giù qualche riga, più tardi. Tutto qui è imprevedibile. Nel caso non dovessi farcela a scrivere ancora, addio. Addio Lisbeth, sappi che ti ho amato tanto, forse troppo. Sappi che non avresti dovuto trattarmi in quel modo e che se ho deciso di venire fin qui per uccidermi, è perché non posso sopportare di essere stato trattato così male e di amarti allo stesso tempo. Nulla mi interessa più, nessun progetto futuro può coinvolgermi ormai. So che anche tu, in fondo, approvi la mia scelta e non mi salveresti neanche se te ne fosse concessa l’occasione. Per me è finita qui, volevo solo che sapessi qual è la verità sulla mia morte.
Addio Lisbeth, ci rivedremo domani, un’ultima volta. Ti aspetto ansiosamente nel proiettile che mi falcerà.
Unisco a queste poche righe un quaderno contenente un diario scritto da poco prima che la guerra iniziasse, due anni fa. È per te, conservalo e tienilo stretto.
Con amore,
Geoffrey

Come è nata l’idea di questo libro?
Da molti anni desideravo scrivere una storia mia, ma mi era sempre mancata una buona idea per iniziarla. Poi, d’improvviso, ho avuto un flash con l’immagine della scena con cui si apre il romanzo ed ho subito pensato che quella potesse finalmente rappresentare la fonte d’ispirazione che cercavo. Partendo da questa idea ho sviluppato il racconto inserendovi alcune delle tematiche per me più interessanti come quelle della Grande Guerra, periodo storico che ha ancora molto da dire pur a cent’anni di distanza, e l’amore nelle sue forme meno convenzionali.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà principale è consistita nel non sapere se sarei stato in grado di portare a termine l’arduo compito di scrivere un intero romanzo mantenendo alto il livello di scrittura e l’interesse di un potenziale lettore. Più scrivevo, però, più mi rendevo conto che forse l’impresa era a portata di mano. Certamente scrivere è un impegno consistente e non si esaurisce affatto nel completare la prima stesura di un libro ma le difficoltà incontrate possono anche generare grandi soddisfazioni.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Se dovessi indicare pochi autori di riferimento per questo libro, farei certamente questi tre nomi: Wu Ming, James Ellroy e Stefan Zweig. Il gruppo Wu Ming per avermi, per così dire, indicato la strada e cioè quella del romanzo storico che rende viva e vibrante l’epoca nella quale è inserito. Ellroy per il modo unico in cui sa mostrare il lato oscuro dell’animo umano e per come sa andare dritto al punto di un racconto. Zweig sicuramente per l’eleganza della sua scrittura e per numerose suggestioni provenienti dai suoi testi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Io sono veneto di nascita, pur avendo il padre pugliese, e tuttora vivo in provincia di Treviso. Non ho mai cambiato città finora, ma non mi sento particolarmente legato a concetti quali “la mia terra” oppure “la mia regione”. Sono semplicemente un ospite temporaneo di questo pianeta, quindi più che un scrittore “veneto” mi definirei più uno scrittore “planetario”.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
La mia speranza è di riuscire a continuare l’avventura della scrittura pubblicando altri libri dopo questo primo romanzo. Scrivere non sempre è la parte più difficile del gioco: trovare persone disposte a credere in ciò che scrivi e trovare lettori curiosi di immergersi in nuovi mondi letterari lo è molto di più. Io ci provo, tentando di mantenere dritta la barra.
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