
Edito da Davide Napolitano nel 2018 • Pagine: 125 • Compra su Amazon
Quando la caduta è vertiginosa, risalire diventa impossibile.
La storia vera di Gerhard Kurzbach, sottufficiale della Wehrmacht, il quale durante la seconda guerra mondiale salvò la vita a duecento ebrei polacchi, nascondendoli nelle officine di riparazioni meccaniche per veicoli militari di Bochnia, città del Governatorato Generale di Polonia. Grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, il 19 dicembre 2011, Yad Vashem, l'Ente israeliano per la Memoria della Shoah, lo insignì dell'alta onorificenza di Giusto fra le Nazioni.
«Basterebbe un solo tedesco buono, e questo tedesco meriterebbe di essere difeso, perché grazie a lui non si avrebbe più il diritto di riversare l'odio su un popolo intero».
Etty Hillesum, scrittrice olandese ebrea (1914-1943).Primo classificato alla XXIX Edizione del Premio Letterario Belli indetto dall'Accademia Giuseppe Gioachino Belli di Roma (2017).

UN PASSO DALLA CADUTA
Il futuro è la svastica,
il Reich la nostra patria,
il Führer la nostra guida:
«Sieg um jeden Preis!».
Balliamo ignari sotto la forca.
La mattina del 5 marzo 1943 la temperatura era sotto lo zero. Il sottufficiale della Wehrmacht, Gerhard Kurzbach, comandante all’officina di riparazioni di veicoli militari (HKP) di Bochnia, città del Governatorato Generale della Polonia, distante 45 km sud-est da Cracovia, chiuse la porta dell’ufficio con il morale appesantito dalla lettura di un articolo pubblicato sul Völkinscher Beobachter, il giornale ufficiale del Partito Nazista, fondato nel 1920 da Alfred Rosenberg, noto intellettuale antisemita.
In Baviera, la Gestapo di Monaco aveva arrestato alcuni dei membri della Rosa Bianca, studenti cristiani, poco più che ventenni, ariani: Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf e il docente universitatio Kurt Huber; formalmente incriminati e processati dal Völksgerichtshof, il Tribunale del Popolo, in realtà tribunale speciale penale competente per i reati politici contro il regime
nazista, erano stati riconosciuti colpevoli delle accuse di tradimento, incitamento al sabotaggio dello sforzo bellico e degli armamenti, rovesciamento dello stile di vita nazionalsocialista, propaganda di idee disfattive e diffamazione del Führer, prestando così aiuto ai nemici del Reich. Il giudice penale Roland Freisler, uomo di legge dall’atteggiamento aggressivo e mortificatore, li condannò a morte per decapitazione.
Nel periodo in cui il sottufficiale Kurzbach aveva prestato servizio nei vari reparti d’artiglieria della Panzer-Division della Wehrmacht, alcuni dei membri della Rosa Bianca erano stati soldati partecipi alla guerra sul fronte occidentale, probabilmente si erano incontrati nella campagna militare di Francia, combattuta sulle colline delle Ardenne e lungo il fiume Mosa, durante le operazioni militari Fall Gelb e Fall Rot, nel maggio e giugno 1940.
I volantini stampati clandestinamente dalla Rosa Bianca e lasciati nei luoghi più frequentati di Monaco tra il giugno 1942 e il febbraio 1943 avevano suscitato forte trambusto a causa del loro contenuto, uno dei quali recitava pressappoco così: «Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina da guerra continui a funzionare, prima che le città diventino un cumulo di macerie».
Quegli studenti universitari possedevano un cuore tenero e uno spirito forte, avevano avuto l’ardire di rinnegare e condannare il regime nazista, ma l’anonimato non era bastato a proteggerli da informatori civili e agenti della Gestapo; nel cuore della notte erano stati arrestati, introdotti nel Palazzo di Giustizia in Karlsplatz e lì interrogati.
In Germania e nei territori dell’Europa occupata, chiunque conosceva i metodi d’interrogatorio della polizia segreta ma, se incalzati da domande difficili, ci si sentiva rispondere di non sapere: «Nie wiem», mentire e non essere biasimati. La tortura era largamente utilizzata, poteva protrarsi per giorni interi; trovarsi in una stanza cieca, umida e malamente illuminata di un seminterrato, con le caviglie e i polsi legati a una sedia o a una brandina in ferro, a volte con la presenza di una dattilografa seduta alla scrivania all’angolo in penombra, da due a cinque agenti della polizia segreta che pretendevano solo una cosa da te: una confessione di colpevolezza da verbalizzare, firmare e protocollare subito. Chiunque avrebbe confessato qualsiasi crimine, innocente compreso.
Adesso i membri della Rosa Bianca erano morti.
I topi non possono schiacciare la testa del serpente.
Talvolta però le azioni sopravvivono agli attuatori. Non ci furono lacrime né sconfitta a segnare i loro volti, accolsero la morte senza che le ginocchia cedessero o i passi incespicassero negli scalini del patibolo eretto nella Marienplatz, dinanzi la Mariensäule.
Rosa Bianca era il solco che delimitava il confine tra uomini liberi e uomini asserviti. Il cuore può smettere di battere e le persone possono essere zittite per sempre, ma la memoria non può essere arginata né dimenticata. Essa è un albero che dà frutti, sta a noi raccoglierli.
Gerhard spinse il caricatore nella sua sede e infilò la pistola d’ordinanza nella fondina, poi sollevò lo sguardo al cielo plumbeo sopra gli stabilimenti delle officine mentre con occhi vitrei, di colore grigio-verdi, osservò il movimento quasi impercettibile delle nubi rigonfie. Era troppo freddo per nevicare.
Il pensiero di Elfriede, sua moglie, e di Barbara, sua figlia, lo fece sorridere mesto. Viveva per loro, per vederle ancora una volta. Głogów era lontana un giorno di viaggio in treno eppure quel cielo grigio, insolitamente silenzioso, accorciava la distanza che lo separava da casa, denudandolo dell’amarezza con mano di donna, della sua dolce Elfriede.
Casa è dove nascono i ricordi, rimangono sempre dentro di noi.
Cos’è la vita se non un susseguirsi di decisioni, di guardare alle spalle, verso il passato, e di tanto in tanto non riconoscersi affatto mentre il presente mormora prudenza e il futuro appare ineluttabile. Siamo sballottati da un argine all’altro di un lago, senza apparente appiglio, che in realtà esiste sempre, in ben pochi però abbiamo l’audacia di afferrarlo.
Cinque minuti prima delle dodici, Gerhard rientrò nell’ufficio. Aveva appena ultimato i controlli del regime di produzione delle officine, adesso si stava dedicando ai consueti rapporti da consegnare entro il fine settimana al Dipartimento della Wehrmacht di Cracovia; «inutili scartoffie burocratiche perditempo», come diceva lui.
Seduto dietro la scrivania in ebano, la sigaretta stretta tra le dita, la macchina da scrivere di fronte e la fotografia in bianco e nero, incorniciata d’argento, di Elfriede che sorrideva felice, tenendo in braccio la loro piccola Barbara sotto il porticato della casa in campagna, Gerhard non immaginava lontanamente ciò che stava per abbattersi contro di lui.
Quando la caduta è vertiginosa, risalire diventa impossibile.

Come è nata l’idea di questo libro?
Il 27 gennaio 2017, 72° Anniversario del Giorno della Memoria, mi imbattei accidentalmente in un articolo di giornale, che parlava di un sergente polacco di origine tedesche, riconosciuto Giusto tra le Nazioni dall’Ente Israeliano per la Memoria della Shoah, Yad Vashem. Mi dissi subito che Gerhard Kurzbach, e cioè che lui rappresenta, ossia che non tutti i tedeschi erano fanatici nazisti, anzi che alcuni di loro combatterono contro il regime totalitario, meritava di essere raccontata, così da testimoniarne l’insegnamento.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Un progetto molto, molto difficile. Dovevo farmi testimone di vita, di un tempo e di un luogo che non conoscevo e che non avevo vissuto, evitando di profanare la memoria, così mi sono accostato alla vita di Gerhard Kurzbach, e non solo, con delicatezza, umiltà e rispetto profondo. Mi auguro di non aver commesso l’errore di condannare o assolvere, bensì contribuire, anche se minimamente, e non voglio sembrare iperbolico, ma non conosco altro modo per scriverlo, a diffondere la consapevolezza che la luce brilla più forte nella notte più buia.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono davvero tanti gli autori di riferimento. Tiziano Terzani e Dacia Maraini sono straordinari, così Goffredo Parise e Goliarda Sapienza. Non è facile scegliere.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Vasto, una pittoresca città della Costa dei Trabocchi (Abruzzo).
Dal punto di vista letterario, quali sono i vostri progetti per il futuro?
In futuro ci saranno altri libri, probabilmente inizierò a interrogarmi sui temi dell’attualità, il conflitto generazionale, e i sentimenti che muovono le persone, così affascinanti da un punto di vista sia umano che narrativo.