
Edito da Michele Coradeschi nel 2020 • Pagine: 411 • Compra su Amazon
Cosa sareste disposti a fare per ottenere un lavoro? Fin dove sareste disposti a spingervi per cambiare il corso della storia? E se una importante battaglia del passato fosse andata in modo diverso? Credete nell’esistenza dei lupi mannari? E se vi dicessero che anche i killer hanno un cuore? Distopie e futuri alternativi, ma anche adolescenti brufolosi e calciatori che realizzano un sogno: nei 21 racconti che compongono questa raccolta, niente è come sembra; perché l’immaginazione non ha limiti e attraversa, libera, ogni genere letterario.

Il calciatore
È la sera della finalissima. Le strade, deserte e polverose, richiamano strani paesaggi lunari. Qualche motorino passa veloce con un rombo sordo. Le bandiere tricolori sventolano nell’aria. C’è un silenzio irreale per una domenica sera estiva. Tutti itelevisori sono sintonizzati sulle 22 superstar che di lì a poco attireranno gli sguardi di un pianeta. La coppa del mondo di calcio. Un’ avvenimento. L’Avvenimento. L’unico capace di rapire le menti e i cuori e tenere miliardi di persone con il fiato sospeso. Di lì a due ore le strade si riempiranno di gente festante, in preda a una esaltazione da ricordare, oppure scorreranno le lacrime. I calci contro muri già scrostati. La rabbia e la frustrazione, perché nessuno si ricorda della medaglia d’argento. Chi arriva secondo non entra mai nella storia. Al limite, fa capolino dalla finestra. Materiale per gli almanacchi. Sono quelli che fanno una bellissima cavalcata ma cadono prima del traguardo. E l’idea di dover aspettare altri quattro anni rende tutto ancora più amaro.
Anche i cinema proiettano la partita. Tanto, nessuno andrebbe a vedere un film stasera. E gli incassi perduti sono ampiamente ripagati dalla vendita di bibite e patatine.
Nelle piazze, sono montati maxischermi che sembrano volersi estendere sino all’orizzonte. La folla è in festa e l’atmosfera èpiacevole, nel caldo della sera estiva. La tensione, però, scorre come una corrente elettrica. In tanti fumano una sigaretta dietrol’altra. Sembra una sala di attesa per futuri papà.
I sussurri “Sta per iniziare” si inseguono nell’aria. Tutti prendono posto. Non c’è tempo neppure per litigare.
L’inno.
Qualcuno si mette la mano sul cuore e canta a squarciagola.
Altri lo sussurrano, come se recitassero una preghiera che non ricordano più molto bene.
C’è chi osserva che i nostri giocatori sono insensibili e ignoranti perché non cantano neppure l’inno del nostro paese. Ma per ora si può perdonare tutto. Per ora. In fondo sono lì per giocare a calcio. Non per vincere un concorso canoro.
È iniziata.
Italia-Brasile del 2022.
Il brasile. Il dream team del calcio. La poesia. I piedi dolci. Il temutissimo brasile.
Primo tempo: i brasiliani si riversano all’attacco. L’Italia si difende. Da principio con ordine. Man mano che passano i minuti, però, la pressione aumenta. Il goal è nell’aria. E infatti arriva. Anzi arrivano. Due a zero per il brasile alla fine del primo tempo e la sensazione che la partita sia già finita.
Qualcuno dice che è andata bene. Che se continuiamo così ne prenderemo altri quattro nel secondo tempo.
Qualcuno si alza e abbandona il suo posto. La sofferenza è troppa. Il calcio è una questione di fede. Quelle persone aspettano l’urlo collettivo che li riporterà indietro, al loro posto. Aspettano il grido della speranza.
Inizia il secondo tempo, e lo stadio deflagra in una esplosione rabbiosa. I minuti, adesso che solo un goal ci separa dalla parità, passano rapidi. Troppo.
Il calcio è uno sport strano. Basta poco per cambiare il corso di una partita.
La torcida brasiliana continua a far festa. Coloratissimi volti dipinti di verde e oro, corpi seminudi che ballano al ritmo dei tamburi. Due modi così diversi di tifare e di vivere il calcio. L’allegria e la spensieratezza contrapposte alla sofferenza e alleproteste. Fanno parte di noi. A ciascuno il suo.
Il pareggio arriva a dieci minuti dalla fine. Lo stadio esplode in un fragore rabbioso. Recuperare due goal in una partita è sempre molto difficile. Ma farlo in una finale mondiale, contro l’imbattibile Brasile, ha il sapore dell’impresa.
Adesso tutti ci credono. Tutti saltano. C’è elettricità nell’aria. L’attesa è spasmodica. C’è voglia di esultare ancora.
In tanti pregano di non arrivare ai calci di rigore. Gli Italiani vedono i fantasmi dal dischetto, è storia. Niente somiglia di più a una roulette russa. Perdere ai rigori è la beffa delle beffe. Non perdi sul campo. È un logorio mortale per i nervi: ogni rigore subito è un sospiro di rassegnazione. Ogni rigore sbagliato è una bestemmia. E se in quel momento a nessuno importa poi molto della salvezza della propria anima, tutti tengono alle coronarie.
Roberto Barro aveva sognato per tutta la vita di giocare una partita come quella. Anzi, la partita. Il sogno di tutti i tifosi e degli aspiranti calciatori. Giocare in nazionale è già il coronamento di una carriera. E lui era lì. È difficile descrivere la realizzazione di un sogno. L’adrenalina prima della partita non ti fa dormire, perché hai sulle spalle le aspettative di tanta, troppa gente. “In fondo è un gioco” amava ripetergli sua moglie. Ma vallo a raccontare ai milioni di tifosi che si aspettano una tua magia.
Barro indossa la maglia numero dieci. Una maglia pesante. Ma lui è il leader indiscusso. Il giocatore più amato e più criticato. Quello che è sempre sulla bocca di tutti. Nel bene e nel male. I paragoni con i grandi del passato si sprecano.
Sta giocando bene. Ha regalato due assist per i goal dei compagni, però manca ancora qualcosa per entrare nella storia. E solo una manciata di minuti alla fine della partita.
L’Italia non ha più paura. Sono i brasiliani a essere sotto pressione. Si sono divorati due reti di vantaggio e ora gli italiani sembrano volare sul campo. La stanchezza e la tensione sono svaniti.
Il gioco viene aperto sulla destra. L’ala salta il terzino avversario con una finta e lascia partire un cross alto.
Barro è al limite dell’area. Ha seguito l’azione e si è smarcato dal suo avversario. È probabilmente l’ultima azione dei tempiregolamentari. Dopo, i supplementari e lo spettro dei rigori. Barro osserva il pallone scendere.
Un’idea folle gli attraversa la mente in un attimo. Adesso la sfera sembra scendere al rallentatore. “Ecco, ora”. Si gira di spalle e prova la rovesciata, il colpo del sogno. L’azione che entra nella storia, perché tutti, da bambini, l’abbiamo sempre sognata. Ilrespiro aumenta di intensità, si fa pesante. Sembra che il tempo si fermi, come fissato in una istantanea. Le gambe mulinano in aria. Quando il piede destro colpisce il pallone Barro sa già che entrerà in rete. Lo sente. Il pallone è in fondo alla porta e lui è entrato nella storia del calcio. Barro ricade pesantemente al suolo. Si gira e vede il portiere lanciato in un disperato allungo. La palla, però, è diretta dove lui non può arrivare.
Ottantamila persone ammutoliscono, incredule. Poi, lo stadio esplode. La gioia dei tifosi italiani è immensa. È un’emozione chesi può solo provare, non si può descrivere.
La torcida brasiliana è annichilita.
Barro è ancora al suolo. I suoi compagni lo sommergono. È un abbraccio collettivo. Non sente il peso dei loro corpi sopra di lui.
Chiude gli occhi.
Quando li riapre l’impossibile lo circonda.
Lo stadio è vuoto. Il campo da gioco è deserto. E lui è solo. Si guarda intorno, intontito. Non ha mai visto uno stadio cosìsilenzioso. Fa paura. Sembra un’immensa balena con la bocca spalancata, pronta a inghiottirti.
Prova a darsi un pizzico. Sente il dolore ma non si sveglia. Allora si piega verso il terreno, strappa un ciuffo d’erba. Lo passasotto il naso. Profuma.
Prova a chiudere gli occhi e a concentrarsi sul boato che aveva sentito fino a pochi attimi prima.
Quando li riapre lo stadio è ancora vuoto. Silenzioso e gigantesco.
“Devo essere svenuto”. “Ma quanto sono stronzo, segno il goal decisivo in una finale mondiale e perdo pure i festeggiamenti.Ora mi porteranno in ospedale e mi perderò l’alzata della coppa. No, no. Cazzo, cazzo.”
Si gira verso il centro del campo e lo vede. L’uomo è esattamente dove si batte il calcio d’inizio. Indossa un completo scuro. Giacca e cravatta. Sembra un dirigente.
«Ma guarda se me li devo anche sognare, ora»
L’uomo si avvicina lentamente, con passi misurati.
«Devo avere battuto la testa veramente forte se me li sogno
pure, i dirigenti» Però è tutto troppo reale. Da quando ha memoria, non si ricorda di aver fatto un sogno tanto vivido.
L’uomo continua ad avvicinarsi. Oramai è a pochi metri da lui.
Barro lo osserva. È bellissimo. Viso regolare e ben rasato. Gli occhi talmente blu che si fa fatica a scorgerne la pupilla. È alto. Più si avvicina e più riesce a cogliere la perfetta armonia dei lineamenti.
Quando gli si para davanti, Barro ne percepisce l’autorità. Ma non quella degli uomini consapevoli di essere conosciuti, riconosciuti e riveriti come i presidenti dei club o i politici che aveva incontrato. Non era affatto la stessa cosa.
Quello che ha di fronte è un perfetto sconosciuto. Eppure emana…potere. “È una persona importante” è l’unico pensiero che gli attraversa la mente.
L’uomo gli porge la mano. Barro la stringe.
«Scusi, ma lei chi è?»
«Non lo indovini?» La voce è come il suono di un cristallo che si infrange. È più che musica. È un suono unico. Inimitabile. È.. caldo.
«Sembra, si, insomma, da come è vestito, un dirigente?»
«Non sono un dirigente. Anche se in un certo senso potrei essere considerato tale»
«Allora un procuratore?»
«No»
«Un presidente?»
«No»
«Un giocatore?»
«No»
«Un politico?»
L’uomo rise «No. Direi proprio di no»
Barro si sta stancando di questa situazione assurda. Vuole svegliarsi e godersi il suo momento di gloria. Che cosa sta succedendo? Lui che era abituato ad avere tutto e subito. A essere trattato con rispetto. A essere viziato.
Con quell’ individuo non riesce a essere diretto o scortese. Qualcosa lo impedisce.
L’uomo con il completo scuro sorride. Una dentatura perfetta. Bianchissima. Avrebbe sicuramente riflesso la luce del sole, se ci fosse stato. Il cielo, invece, è coperto da un’unica, grande nuvola bianca e compatta.
«Sai, oggi mi sono emozionato. E non mi capita spesso»
Ma cosa stava succedendo? Quella voce così particolare lo metteva a disagio e lo incantava nello stesso tempo.
«Che cosa sta succedendo? Io non capisco»
«Tu sei morto. Nel momento in cui hai segnato il goal decisivo e consegnato la coppa del mondo all’Italia il tuo cuore non ha retto. L’emozione è stata troppo forte»
«Non… non è possibile» Cerca di dire qualcosa ma le parole non escono.
«So che non è facile da accettare. Realizzare il sogno di una vita e non goderselo, se non per un attimo. Però è molto più di quanto molte persone abbiano mai avuto»
«Ma io sono giovane. Non ho ancora trent’anni. Ho tutta la vita davanti a me»
«Vedi, per esperienza, ti posso dire che non conta la quantità del tempo, ma la qualità. E tu hai avuto una vita piena di soddisfazioni. Una bella vita, si può dire»
«Ma io non voglio morire. E poi non si dice che tutta la vita ti passa davanti agli occhi? Perché allora io non ho visto niente e sono dentro a uno stadio vuoto? Non dovrebbe esserci un tunnel con una luce in fondo che mi attrae? Io resisto e mi salvo»
L’uomo, ma era un uomo poi? sorride di nuovo.
«Credo che tu abbia visto troppi film sul soprannaturale. Ciascuna persona vede le cose in modo diverso. Per te questo stadio, questo momento, ha rappresentato la realizzazione del sogno di una vita. È per questo che ti ho incontrato qui»
«Sei un Angelo, non è vero?»
«Non proprio»
«Come, non proprio?»
«Sono, diciamo, il presidente degli Angeli» «Sei… Dio?»
«Sono Dio»
«Ah»
«Ora dobbiamo andare. Ti aspettano»
«Chi mi aspetta?»
«Le anime di un sacco di Italiani che ti vogliono conoscere. E
festeggiare»
«Italiani…importanti?»
«No. Le persone importanti difficilmente vanno in paradiso.
Persone comuni, per lo più»
«E devo venire vestito così?» Indicò il completo da calcio. «Non è importante l’abito. Vieni»
Lo condusse verso l’imboccatura del tunnel. Una luce bianca, abbagliante, usciva dal tunnel che conduce i calciatori verso gli spogliatoi.
«Volevi il tunnel, ti ho accontentato»
«Scusi, ma io non sono stato esattamente buono. Non vorrei darmi la zappa sui piedi ma qualche peccatuccio l’ho fatto…» Barro si morse il labbro, preso per un attimo dal timore di non poter entrare.
Dio sorrise.
«Lo so. Ma un bel goal val bene il paradiso» Entrarono.

Come è nata l’idea di questo libro?
Questa raccolta di racconti è stata scritta nel corso degli anni. La prima stesura del racconto “Il figlio” è stata realizzata nel 2005.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile portare a termine l’opera. Le cose più faticose sono state senza dubbio l’editing e la revisione dei testi. Ma nella stesura di un libro, quello che emerge sopra a tutto, è il piacere di realizzare qualcosa di tuo, plasmarlo e riuscire a dargli la forma che, inizialmente, potevi solo immaginare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono C.Palahniuk, Ray Bradbury, Joe R. Lansdale, F. Herbert, R. Matheson, S. King. In ogni caso, credo di essere un “onnivoro”, a parte la scarsa affinità verso generi quali i romanzi “Rosa” e “Romance”, penso di aver letto (e di avere ancora da leggere) un po’ di tutto, spaziando da Omero a Baudelaire, da Asimov a Welsh.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo ad Arezzo con mia moglie Marta e mia figlia Livia. Mi sono laureato in Scienze Politiche a Bologna, dove ho vissuto per 4 anni.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Oltre alla Raccolta di racconti “Niente è come Sembra” ho pubblicato il noir “Istinto Omicida”, edito da Libromania, nel 2018. Attualmente sto lavorando su di un nuovo romanzo e continuo a scrivere racconti.