
Edito da L'Erudita nel 2019 • Pagine: 185 • Compra su Amazon
La sera della semifinale dei mondiali del 2006 Germania – Italia, Luis e Brando sono in macchina diretti ad un concerto metal. All’improvviso Luis fa una deviazione. Decide di comprare dell’erba per la serata e si dirige verso la casa del Toro. Quella che doveva essere una scappata e fuga si trasforma in un viaggio all’interno della casa, dove sono in atto i preparativi per una grossa festa. I due amici incontreranno svariati personaggi freak e borderline che non vedono l’ora che la festa inizi, con tutte le sue attrazioni animalesche e depravate. Con una scrittura ragionata, utilizzando linguaggio crudo e diretto, Marco Mazzucchelli e Danilo Oggionni accompagnano il lettore in una storia accattivante, ricca di colpi di scena, trasformando il viaggio all’interno della casa in un percorso di discesa interiore, soprattutto per Brando. Perché Brando nasconde un segreto, del quale neanche lui è a conoscenza, e l’uscita da quella casa sarà un walzer di donne, droghe e sangue. Di croci e di morti.

Luis si accende una canna con le mani a coppa sulla bocca e l’auto imbarca subito verso sinistra. Corregge la traiettoria solo con le ginocchia. Aspira con violenza, la succhia a labbra strette.
«Senti questa storia, zio.»
“Zio” lo dice con lo stomaco, sforzandosi come sempre di tenere il fumo nei polmoni il più a lungo possibile. Il mento verso l’alto, il tatuaggio UNSCARRED sul gozzo ben tirato, il finestrino aperto, il braccio destro teso sul volante. Fuori tutto scorre smembrato dall’alta velocità e inizia a diventare più arancione per colpa del tramonto. La stoppa dei suoi capelli rosso fuoco che si esalta, vive in questi colori e non si scompone di un centimetro.
«Allora, mi trovavo dalle parti di Lecco con una tonta che mi scopavo, un paesino qualche chilometro sopra la statale, quasi in montagna, un posto del cazzo così. Mi aveva chiesto di raggiungerla per il weekend. La sera prima aveva incontrato un vecchio amico che non vedeva da dieci anni e lui aveva cucinato tisane di oppio per tutta la notte. Quella sera l’avrebbero rifatto e io mi sentivo le palle gonfie come due cocomeri, no? Così mi prendo mezza di ferie per non beccarmi tutto il traffico del venerdì sera e la raggiungo.»
Mi passa la canna. Siccome continua a guardare la strada, mi permetto di fissarlo per qualche frazione di secondo in più. Lo guardo e lo riguardo. Quando gli passo la lattina di birra lo fisso di nuovo. Luis la prende, se la scola e la butta fuori dal finestrino. Dietro di noi qualcuno suona il clacson e Luis fa una strana smorfia di disappunto.
«Allora, quando arrivo lei è già in compagnia di questo tizio. Mi stavano aspettando alla fermata dell’autobus, mi avevano chiesto di portare dell’erba o un pezzo di fumo. Così fumiamo. Questo tizio è già a pezzi, se ne sta in silenzio, con gli occhi rossi, la bocca guastata, come se i denti fossero ancora ok, ma le gengive fossero proprio andate. Gli era squillato il cellulare due volte e si era alzato a fatica farfugliando qualcosa. “È la sua donna che gli rompe i coglioni” mi dice la tonta, la troia. Vabbè, ne fumiamo un’altra. Siamo infrattati dietro a due alberi alla fermata del bus per non farci vedere dalle vecchie che passano con le borse del Penny Market. Poi lui a un certo punto tira fuori un tubetto di deodorante in metallo, uno di quelli lunghi, una merdata per donne, tipo Rexona, senza la capocchia in plastica dove schiacci ed esce quel maledetto odore di ascelle no? Leggermente piegato nel mezzo, con un piccolo buco, tutto bruciacchiato.»
Lascia il volante e con entrambe le mani cerca di farmi capire la forma di quel coso. La macchina sbanda ancora ma riprende subito il volante.
«Cristo santo, ma perché questa merda non riesce ad andare dritta? Vabbè questo tizio prende un pezzettino di fumo, lo mette sopra al Rexona e lo scalda. Capito? Ci sei oh?»
Mi tira una vecchia muovendo verso l’alto solo l’avambraccio. Spalla e bicipite immobili.
«Sì cazzo. Sì.»
«Si mette a scaldare il pezzo di fumo e quando diventa rovente aspira con forza. Poi me lo passa e io faccio lo stesso. E cazzo, ti giuro, i polmoni mi prendono fuoco. Lo rifacciamo e praticamente resto rincoglionito per le due ore successive. Vabbé poi, a un certo punto, questo si alza e dice che torna subito. La tonta mi spiega che sta andando a prendere le piante di oppio. Sta andando a chiederle ai suoi vicini di casa che tanto non sanno che cazzo sono e non se ne fanno un cazzo.»
Luis mi chiede di aprirgli un’altra lattina di Lowembrau e poi dice:
«Hai intenzione di fumartela tutta tu quella cazzo di canna?»
Faccio un ultimo tiro e gliela passo. Gli passo anche la lattina, se la posiziona tra le palle, poi la prende con la mano dove tiene anche lo spinello, tutto senza staccare gli occhi dalla strada.
«Questo tizio aveva 42 anni e da 20 prendeva qualsiasi droga gli capitasse sottomano, no? E’ stato dentro, è stato in ospedali. Tipo due giorni prima era andato a Milano per una cazzo di visita psichiatrica, ovviamente obbligatoria. Prima che arrivassi l’aveva raccontato alla tonta, a quella cazzo di troia, che appena era uscito dall’ospedale aveva trovato del metadone e se l’era sparato, ma aveva capito subito che gli aveva preso male no? Così aveva cercato una bottiglia di vino per attenuare l’effetto, solo che in quel quartiere non c’era un cazzo e aveva fatto fatica a trovarla no? Ci aveva messo del tempo. Così quando finalmente riesce a comprarne una in un bar è troppo tardi, fa due sorsi e collassa appena fuori sul marciapiedi e si risveglia in ospedale.»
Fa ancora un tiro.
«Cazzo hai capito che tipo?»
Fa ancora un sorso.
«Senti ma la spegniamo sta cagata? Va bene che stiamo andando a un concerto, ma a me di sta cazzo di partita non me ne frega un cazzo eh.»
Così io spengo l’autoradio.
Lui fa ancora un tiro. Fa ancora un sorso.
«Ehi che cazzo hai amico? Non dici una parola, esegui tutti gli ordini che ti do come un bravo cagnolino… è tutto a posto?»
«Sì, tranquillo.»
Ovviamente non è vero.
Fa ancora un tiro. Fa ancora un sorso.
«Cazzo stiamo andando a vedere i Brutal Truth cristo santo, a saperlo ti avrei lasciato a casa.»
Fa un tiro.
«Ok, saranno un po’ scoppiati, non saranno più quelli di una volta, ma restano uno dei gruppi della vita diobbono, sangue e merda! Dico bene?»
«Parole sante.»
Per un attimo lo fisso ancora, ma non se ne accorge.
«Lo spero bene, datti una svegliata, che è un po’ un mortorio qua. Quante birre ci sono rimaste? Dobbiamo berle tutte prima di entrare eh.»
Sto ancora controllando dentro al sacchetto dell’Autogrill che riattacca.
«Vabbé quando quel tipo ritorna ha con sé un sacchettone della Garibaldina pieno di oppio e ha la faccia deformata da un sorriso a tutte gengive. Ci sfila davanti con tutta la testa immobile, pietrificata, tenendo questo sguardo e questo sorriso fissi su di noi. Loro due si salutano e si danno appuntamento per la sera, io invece è ancora come se non esistessi… Così, la sera ci vediamo dalla mia amica, faccio anche fatica a ricordare il nome di quella troia, ci credi? Ma di lui mi ricordo che lo chiamavano Il Santo.»
Mi sporgo verso di lui, faccio un po’ fatica a sentire tutto quello che dice, per via dei finestrini aperti per il fumo, l’alta velocità e tutte le auto che superiamo. Il sole è basso e falcia e si rifrange caldo sulla capotte. Se mi giro a guardare indietro l’asfalto dell’autostrada è infuocato di arancione.
«Ti starai chiedendo perché lo chiamavano il Santo. Beh me lo sono chiesto anch’io, e la tonta me l’ha spiegato il perché. I primi anni che aveva iniziato a prendere acidi raccontava in giro che parlava con Dio e faceva dei cazzo di discorsi sull’esistenza, e stronzate simili; solo che poi una volta aveva dato fuoco alla casa che i suoi genitori avevano comprato per lui, si era addormentato a letto tutto strafatto con la sigaretta accesa e capisci quello che può essere successo no? Solo che questo figlio di puttana, nessuno sa come, è riuscito a salvarsi senza bruciarsi neanche mezzo capello, poi è tornato a casa dai suoi e ha continuato a calarsi qualsiasi cosa. Tra l’altro, una delle poche, pochissime cose che mi ha detto è stata che lui era un cazzo di sciamano, che era in grado di fare rituali con incensi, ossa, artigli, piume, zanne, che sapeva come chiamare uno di quei cazzo di spiriti guarda-spalle e poi, quella sera, aveva cercato del latte e della vodka alla mia troia per richiamare il suo spirito custode ma gli abbiamo detto di lasciar perdere, che non era proprio il caso, così si è ributtato sul divano, scuotendo il capo e sbuffando. Poi mi ha detto che avrei avuto una vita lunga, ma molto, molto male al cuore… cristo santo. Capisci perché lo chiamano Il Santo, no? Non per quella merda di film con Val Kilmer.»
Luis fa una pausa, poi riprende.
«Vabbè, così alla fine alla sera arriva a casa della mia amica, la troia, no? Avevamo appena finito di scopare, quindi non vedevo l’ora di un bello sballo a base di oppio. Grazie a dio iniziamo a fumare perché il salotto puzzava ancora del mio cazzo e delle scoregge di quella vacca. Così lui tira fuori due bollitori elettrici e li riempie di quelle piante a stelo lungo e un poco d’acqua e li accende. Lì, cazzo, abbiamo dovuto subito spalancare le finestre perché quella roba ha iniziato a fare un odore da vomito tipo di patate bollite ed erba di campo marcia. Non puoi capire. E lui ha sempre quel sorriso da cacarsi sotto e quando parla con la troia è tutto un farfugliare che non si capisce un cazzo.»
Fa un tiro, se lo butta giù nello stomaco. Stira la bocca, si tirano i legamenti del collo, come se fosse un pipistrello.
Fa ancora un tiro. Fa ancora un sorso.
«All’epoca noi avevamo circa 30 anni, quindi circa 10 meno di lui, io e lei intendo, quindi io mi facevo andare bene quella situazione da malati mentali, ero tranquillo, tra l’altro mi ero appena svuotato i coglioni no? Vabbè iniziamo a bere tazze di quell’infuso di patate vomitate e aspettiamo che faccia effetto. Fumiamo ancora, sono sempre io che faccio su. Il Santo si tiene il Rexona in tasca. Poi a un certo punto sembra che gli arrivi una botta immediata perché si incupisce e gli occhi gli si cementano aperti su un altro mondo. Inizia a farfugliare una roba tipo “ora ci troviamo qui, fuori dalle nostre vite, appena arrivati da una vita conclusa e pronti per ricominciarne una nuova”, non so, come se fossimo fuori dal tempo, come se quella stanza galleggiasse nello spazio e noi tre ci conoscessimo da milioni di anni e di tanto in tanto ci prendessimo della pause andando a vivere delle vite separate, per poi tornare lì, in quel cazzo di salotto, a bere tisane di oppio. E intanto che diceva ‘ste cose, ogni tanto si alzava per riempire la tazza e per cucinare un altro bollitore e sai una cosa? Anche io a un certo punto ho iniziato a sentire di conoscerlo da una galassia di anni, da sempre… guarda, una cosa fuori, proprio fuori. Comunque a me e alla vacca la botta sale piano, però arriva. Quando finiamo di bere quella merda usciamo per fare due passi, usciamo dal paese, andiamo dove tutto è buio e ci sono solo le stelle a illuminare la strada. La Via Lattea pulsa e inizio a vedere cose strane e mi sembra di camminare da secoli. Robe così…»
Si volta verso di me.
«Non è stato per niente male sai?»
Poi ritorna a guardare la strada.
«Poi a un certo punto, come se nulla fosse, ci troviamo di nuovo sotto casa di lei e ci salutiamo, ci diciamo che possiamo rivederci il giorno dopo. Lui prende il suo Piaggio del cazzo e se ne va. E insomma, a parte quelle robe da fulminato che ha detto guardando il pavimento, non mi ha praticamente rivolto parola per tutta la serata, se non forse una volta per chiedermi se iniziavo a sentire l’effetto. Ci mettiamo a letto e»
Gli squilla il cellulare.
«Cristo santo – Pronto? – Ehi amico! Tutto ok? – Sì sì, stiamo arrivando, dammi 10 minuti va bene? Ooookay. A dopo, ciao.»
«Quindi, ci mettiamo subito a letto e-»
«Chi era? E dove cazzo stiamo andando scusa?»
«Ma niente, facciamo una piccola deviazione, devo solo recuperare un po’ di roba per la serata.»
«E quando pensavi di dirmelo?»
«Era una sorpresa amico, non ti va un po’ d’erba? Che dici, ti fa schifo?»
«Certo che no.»
«E mi pareva.»
«Da chi passiamo?»
«Facciamo un salto dal Toro.»
«E che cazzo Luis!»
«Che cazzo c’è??»
«Figa, lo sai che non lo sopporto quel coglione!»
«Figa, lo sai che se vuoi un po’ d’erba non ci sono tante alternative.»
«Cristo, ne faccio volentieri a meno.»
«Beh adesso non si può più, porca troia. Volevo farti una sorpresa, e questo è il ringraziamento?»
«Non prendermi per il culo Luis, lo sai che non la sopporto quella testa di cazzo.»
«Oooooooooh che due coglioni, ci mettiamo un attimo, te lo giuro. Entriamo e usciamo, roba di un minuto.»
«Fanculo cazzo, io non entro! Lo so come funziona, si entra e ci si siede sempre a quel cazzo di tavolo e-»
«Entriamo e usciamo, te lo prometto. Entriamo e usciamo. Entriamo e usciamo!. Entriamo e usciamo cazzo!!!» inizia a sbattere le mani sul volante.
«Ho capito! Ok!»
«Cazzo… non mi voglio perdere i gruppi di supporto. Ok?»
«Ok un cazzo. Ma va bene, ok» … «cazzo.»
«Che rompicoglioni che sei. E vedi di levarti quell’espressione da cazzo moscio che hai in faccia, sta cominciando a darmi sui nervi.»
Continuiamo così in silenzio per qualche minuto. Io guardo fuori dal mio finestrino, gli volto le spalle. Conoscendolo, mi starà facendo mille smorfie del cazzo da malato mentale. Mi sforzo di ricordare come è andata l’ultima volta che siamo passati dal Toro, ma è come se tutte fossero uguali e il loro ricordo si mischiasse in una macchia indistinta.
Poi Luis riprende la storia.
«Quindi… [lo enfatizza, per farmi capire che ha i coglioni girati ma sta cercando di stare tranquillo] dopo che ci siamo bevuti quelle tisane merdose e abbiamo fatto un giro a piedi vedendo animaletti inesistenti, ci mettiamo subito a letto. Siamo troppo stonati per fare qualsiasi altra cosa e sprofondo subito in un sonno da favola. Quando mi alzo dico che erano anni che non dormivo così bene e sai la troia che mi dice? Mi dice che le ho fatto passare una notte di merda, perché non ho fatto altro che lamentarmi e imprecare nel sonno, che mi alzavo e bestemmiavo e imprecavo contro qualcuno. Bah, secondo te devo credere a una cazzata del genere? Vabbé il giorno dopo ci vediamo col Santo che è già pomeriggio. Stiamo ancora a casa di lei, fumiamo, e lui si presenta con un cazzo di bottiglione di sangria, sai quelle merdate già pronte da un euro per un litro e mezzo? Ce la offre e devo ammettere che all’inizio non è male. Poi faccio un secondo sorso e la bocca mi si impasta di merda, ma non dico niente. Lui sembra contento che ci piaccia, così si offre di andare a comprarne altro, è palese che non è in grado di guidare ma sembra che voglia fare qualcosa di carino per noi, così gli diciamo di prendere anche due birre, come per incoraggiarlo no? Per non farlo sentire un minorato mentale. E cazzo, poi, quando torna sembra che si sia bevuto una tanica di quella merda, perché non capisce proprio nulla. Dice di essere caduto col motorino e infatti tira fuori dal giubbino due lattine di birra graffiate e ammaccate, le due bottiglie di sangria invece sono salve. Io gli dico che allora hanno ragione a chiamarlo Il Santo, ma lui mi guarda come se non sapesse di cosa cazzo stessi parlando, ma lì per lì non ci faccio caso perché ha lo stesso sguardo perso nel vuoto di sempre, come se avesse gli occhi di un pesce morto. Poi ovviamente fumiamo con quel fottuto Rexona. Quindi…»
Luis mette la freccia a destra e inizia a portarsi sulla corsia di decelerazione, stiamo per imboccare l’uscita quando una macchina ci taglia la strada a tutta velocità, siamo così vicini all’imbocco che Luis deve frenare, la macchina sbanda leggermente, niente di tragico, ma Luis perde la testa, pesta le mani sul clacson e accelera e si porta sotto il culo di quel BMW nero, che di risposta inizia a rallentare fino a inchiodare, con Luis che sterza ancora per non finirgli addosso. Praticamente ci ritroviamo fermi all’imbocco dell’uscita e se qualcuno arriva ci c’entra in pieno. Il BMW nero capisce e così riparte. Luis gli sta subito addosso, ha il sangue alla testa, appena la corsia si allarga gli si affianca e inizia urlargli contro di accostare.
«Luis…»
In macchina c’è esattamente chi ti aspetti di trovare in un BMW nero che ti taglia la strada, un coglione sui cinquanta visibilmente pieno di soldi che parla al cellulare e che ci considera giusto il necessario per mandarci affanculo scocciato.
Luis gli va quasi addosso, questo sbanda un attimo.
«Luis…»
Luis è mezzo fuori dalla macchina, urla come un pazzo, andato, non capisce nemmeno che è con la macchina di suo padre e non con la sua, sta rischiando di bollarla senza rendersene conto. Il tipo del BMW alza la mano e ci fa il segno della pistola. Poi accelera e va a prendere la corsia del Telepass. Luis si mette a seguirlo. Guardo velocemente vicino allo specchietto retrovisore, lungo tutto il cruscotto e noi siamo senza.
«Luis non ce l’abbiamo il telepass cristo santo.»
«Non me lo faccio scappare quel coglione.»
«Luis non fare cagate, quello può anche avere una pistola.»
«Ma che cazzo dici??! Ma cristo santo che pistola può avere un coglione come quello??»
«Vista la zona non ne sarei sorpreso e, comunque, ti vuoi fermare cazzo?! Come credi di passare??»
«…»
«Luis!»
«…»
«È la macchina di tuo padre!»
Solo allora qualcosa ritorna a funzionare in quel cervello allagato di sangue e rabbia. Controlla negli specchietti e vira verso i caselli con il pagamento del pedaggio tradizionale.
«Quand’è che ti sei trasformato in una piccola fichetta spaventata?»
«E tu quand’è che ti deciderai a trasformarti in un non-coglione totale?.»
«Solo una settimana fa mi sembrava che i coglioni ce li avessi ancora.»
Qui le orecchie iniziano a ronzarmi, annegate in una specie di rumore bianco. Non sento altro. Vedo Luis che mi parla, ma non sento nulla, sono come da un’altra cazzo di parte, disinteressato, come se fossi ancora in questa macchina ma allo stesso tempo in un’altra dimensione. Inizio a vedere delle immagini ma subito tutto finisce e, facendo finta di nulla, dico:
«I coglioni ce li ho ancora, solo che al tuo contrario ho anche un po’ di cervello. Ma non ce la fai ogni tanto a lasciar perdere, a passare sopra alle cose? Una sola cazzo di volta…»
«Mi stai consigliando di essere un codardo?»
«Cristo santo, siamo in macchina e non su un ring o in guerra, e quello era solo un coglione come tanti. Dove cazzo sta il problema?»
«Dovevo dargli una lezione.»
«Ma perché?!»
«Perché i tipi come quello devono imparare che non si può fare i duri da dietro i finestrini della loro cazzo di auto. Devono imparare che ogni azione ha una sua reazione, devono imparare che se mi tagli la strada o se mi mandi affanculo non è che non succede niente! Non è che non ci sono conseguenze porca troia! Perché se no questo mondo va tutto a puttane!!»
«Ma che cazzo stai dicendo? Ma sei serio??»
«Che cazzo dico?! Ma svegliati diosanto, guardati attorno, guarda che cazzo di mondo è diventato! Coglioni che ti insultano dai finestrini delle macchine e poi scappano, coglioni che se solo fossimo fermi in un parcheggio non avrebbero le palle di guardarmi neanche in faccia. Pure le donne adesso ti insultano, ti urlano contro dalle loro Yaris di merda, ma stiamo scherzando? Le potrei schiacciare con questa mano tutte quelle tonte.»
«Ma che cazzo-»
«C’entra invece! C’entra! Usa il cervello!»
«Ma che cazzo volevi fare?. Volevi combinare un altro casino? Non ti è bastato quello di settimana scorsa?»
«Guarda che io non ho fatto un bel cazzo di niente.»
«Caaaazzo, ma davvero? È’ uno strano modo di vedere le cose visto che è cominciato tutto perché tu hai perso la testa, proprio come adesso.»
Luis si gira a guardarmi con gli occhi iniettati di sangue. È fuori controllo. Fa per dire qualcosa ma si tappa la bocca con la mano. Ha il blocco di capelli rossi leggermente fuori sede. Il tupè deve essersi spostato a causa del suo agitarsi e del suo pestare i pugni sul volante della macchina. Sposto subito lo sguardo.
Stiamo per arrivare al vetro dove pagare, così rischio e decido di parlare, giusto per non fargli fare una figura di merda.
«Luis senti…»
«Che cazzo vuoi?»
«Ti si sono spostati un po’ i capelli… si vede…»
Lui si controlla subito nello specchietto e si sistema. Resta in silenzio e ferma la macchina prima della sbarra. Penso di dargli delle monete ma sono sicuro che me le farebbe volare fuori dal finestrino con uno schiaffo sotto la mano. Paga con i suoi soldi. Io aspetto di vedere come saluta per capire in che stato si trovi. Non saluta. Parte schiacciando abbastanza il pedale, non tanto da far fischiare le gomme ma abbastanza da farmi sbattere la nuca sul poggiatesta. Resto ancora in silenzio, in attesa.
«Mi passi una birra per favore?»
Gliela passo.
«Ti dispiace farne su un’altra? Devo darmi una cazzo di calmata.»
«Ok.»
«Meglio se entro dal Toro che non ho i coglioni così girati.»
«…»
«È che ho avuto anche una giornata di merda al lavoro, quel magazzino di merda, con tutti quei rincoglioniti. Ho bisogno di fare festa, con la F maiuscola cazzo. Senza la festa questa vita non vale la pena di essere vissuta, dico bene?»
«Può essere, non so.»
«Già. D’altronde tu te ne stai tutto il giorno a casa a cazzeggiare, che cazzo ne vuoi sapere.»
Mi torna il ronzio nelle orecchie, il rumore bianco, inizio a vedere una croce, ma tutto finisce subito.
«Può essere. Ma non è la festa con la F maiuscola, dico bene?» decido di stemperare i toni, preparo il terreno all’erba che sta per fumare, in modo che attecchisca il meglio possibile, che lo rilassi.
«Dici bene fratello.»
«Ecco fratello.»
Gli passo la canna, gliela faccio accendere anche se guida, in segno di rispetto. Se la ficca in bocca e prende l’accendino, stacca le mani dal volante che continua a tenere con le ginocchia, se le porta a coppa vicino al volto e dà fuoco. Fa un tiro lungo e vigoroso, come al solito. La canna scoppietta.
«Beh, dove cazzo ero rimasto… insomma, quando mi riprendo [lo dice strozzandosi, come sempre, poi butta fuori il fumo che inonda l’abitacolo e poi viene risucchiato dai finestrini aperti] è quasi buio e vedo la troia che prepara la tavola, mi dice che ceniamo tutti e tre assieme. Il Santo non c’è, è andato via un attimo a prendere altra sangria. Deve averne bevute già tre bottiglie da solo cazzo. Poi succede che la troia mi chiede che cazzo mi è passato per la testa, di dirgli che lo chiamano Il Santo, che non riesco mai a tenere la mia cazzo di bocca chiusa, che era una cosa che non volevano fargli sapere e via dicendo. Ma che cazzo ne so io, no? Comunque lì per lì continuo a non dar peso alla cosa, no? Poi lei inizia a dirmi “guarda che non è coglione o un fuso come sembra”, che la prima sera che si sono rivisti hanno parlato per un po’, lui le ha detto che lo sa, che si rende conto di non piacere a nessuno in paese, che ha rovinato la vita di sua mamma e cagate sentimentali di ‘sto genere, le ha anche detto di non avere paura di lui se la guarda, che se la guarda è solo perché la considera un po’ il simbolo della sua giovinezza. Capisci no? Tutte le estati che hanno passato assieme, lei bambina, lui ragazzino, cose così. Poi quando torna è, se possibile, ancora più a pezzi. A tavola decidiamo di non dargli altro da bere, ma lui beve a canna dalle sue infinite bottiglie di sangria di merda, mangia la pasta e la carne come se fossero spugne per il suo stomaco allagato. Ogni tanto ride, se così si può chiamare quel suo grugnire. Ogni tanto fa quei suoi sospiri gutturali. Il cellulare gli squilla due volte, si alza da tavola entrambe le volte sussurrando “Adesso succede un casino”, ma poi non succede nulla. Mi ricordo che anche la notte prima, anche se era tardissimo, aveva ricevuto delle telefonate. Intanto che si è appartato per parlare la troia mi dice che sta parlando con la sua tipa. Il Santo ritorna e sedendosi fa quel suo suono cavernoso da brividi. La testa gli ciondola. Da una parte mi sento come se stessimo facendo un‘opera buona, dando un tetto e un pasto a un bisognoso, cristo santo; dall’altra mi sembra di non star facendo nulla per impedire a questo orso di ammazzarsi a furia di bere. Alla fine decidiamo di proporci di accompagnarlo a casa, non vogliamo che guidi il motorino per quelle strade conciato in quel modo. Glielo diciamo ma lui rifiuta offeso, gli proponiamo di sdraiarsi un attimo sul divano allora, o di fare quattro passi in paese, per smaltire quella merda che si è bevuto, ma lui dice che se deve camminare o riposarsi lo farà continuando a bere sangria. Che cazzo dobbiamo fare? Lo lasciamo andare a casa, no? Gli diciamo di mandarci un sms quando arriva a casa e così lo vediamo scomparire in sella al Piaggio a fari spenti nella notte. Passa parecchio tempo. Facciamo in tempo ad addormentarci e ovviamente non ci arriva nessun cazzo di sms, ma vabbè cazzo, chi conciato come lui s’è mai ricordato di mandarlo, dico bene? Quindi, io non dò peso alla cosa e inizio a dare quattro colpi a quella troia, che non aspettava altro, no? Dico bene fratello?»
Fa’ un tiro lungo e potente, inarca la testa verso l’alto.
«E vabbé… la mattina dopo, prima di pranzo, sai che faccio? Tolgo il disturbo e me ne torno a casa. Quella stessa sera mi chiama la troia mezza sconvolta, mi dice che tutto il giorno è stata preoccupata per il Santo e quindi lo ha chiamato sul cellulare, solo che risponde sua madre e le dice che Il Santo è morto.»
Mi volto per guardarlo in volto.
«Ci resto di merda anche io no? Cazzo!»
Fa una pausa. Si porta la mano destra sulla bocca, cercando le parole migliori.
«Fatto sta che quella vacca se ne resta zitta e a me mi assale un senso di colpa devastante, credo più derivante dal fatto che in quei due giorni in qualche modo, un modo strano direi, mi ero affezionato a lui, e non tanto derivante dal sentirmi in colpa per non aver insistito a non lasciarlo andare via col motorino. Voglio dire, pensaci bene Brando, vent’anni di dipendenza da qualsiasi sostanza disponibile! E poi era abbastanza vaccinato dalla vita per fare il cazzo che voleva, no? Ma comunque non è questo il problema, perché la troia dopo che mi ha fatto sbollire nello stesso brodo da senso di colpa di merda in cui deve aver sbollito pure lei – forse per farmi capire cosa ha passato lei al telefono, capisci come cazzo ragionano le donne? Cristo santo l’avrei menata se ce l’avessi avuta di fronte – mi dice che non è morto la notte prima, ma quel pomeriggio a letto. Un infarto, un collasso boh, non si capisce che cazzo sia successo, a parte che ‘sta cosa ci ha tipo scagionato dalla storia del motorino, no? Vabbè ho riattaccato e per un po’ non ho pensato a nulla. Ma poi ho pensato una cosa che mi ha lasciato il segno no? Che forse il Santo era morto perché io gli avevo rivelato qual era il suo soprannome, come se tutte quelle dicerie e il suo esserne all’oscuro funzionassero come uno scudo contro la sua vita sregolata e che, venendone a conoscenza, venendo svelato quel segreto, quei poteri venissero meno e lo avessero lasciato indifeso, pronto a morire subito. Come se le mie cazzo di inutili parole potessero uccidere un uomo più del mio menefreghismo, del lasciarlo guidare strafatto di notte per delle strade di montagna.»
Fa un tiro e fa uscire il fumo dalla bocca e sta in silenzio, guardando davanti a se, per riprendere fiato o sistemare le idee che ha in testa.
«Perché te ne stai lì tutto zitto zitto? Non hai un cazzo da dire?»
«Senti Luis, io non capisco-»
«-perché ti racconto questo? Non lo so, forse perché non sono riuscito a capire che messaggio qualcuno ha voluto mandarmi facendomi vivere questa cosa, mettendomi sulla strada di questo uomo di 42 anni che non avevo mai visto prima, proprio poche ore prima che morisse, a causa di quelle cose che non sono riuscite ad ammazzarlo per vent’anni, come se… come se fosse stato il mio arrivo ad ammazzarlo. Ovviamente non sono così scemo da pensare che lui avesse un superpotere e io gliel’abbia tolto con delle parole, però… ogni tanto penso che, forse, dirgli che tutti lo chiamavano il Santo, che lo consideravano immortale, gli abbia potuto far prendere la decisione di bere una bottiglia di sangria in più di quelle che avrebbe bevuto se fosse stato all’oscuro di quell’informazione, o di farsi una dose di metadone in più, chi cazzo lo sa come funzionava la sua testa o che ritmi potesse reggere il suo organismo? Forse è stata la mia faccia da cazzo, forse gli dava così fastidio avermi visto che per dimenticare la mia faccia ha bevuto una boccia in più o s’è fatto una dose in più… chi cazzo lo sa? Ma il punto è che le cose che diciamo, che facciamo soprattutto, creano delle conseguenze, no? Certe volte in modi inaspettati, ma poi bisogna comunque fare i conti, in un modo o nell’altro, no? O forse… forse semplicemente è capitato tutto questo, perché ognuno di noi ha la sua storia mistica da raccontare, e questa è la mia.»