
Edito da Scatole Parlanti - Alter Ego Edizioni nel 2018 • Pagine: 112 • Compra su Amazon
In questa raccolta di racconti i protagonisti sono sia reali che di fantasia, piccoli tasselli che compongono il puzzle dell'esistenza dell'autrice e dei suoi personaggi. Sono storie che fanno sorridere, commuovere e riflettere, poichè attraversano temi cari a tutti, come l'amore, la nostalgia e la rabbia di fronte ai soprusi. Il tono è delicato, ma allo stesso tempo cattura l'essenza delle dinamiche che presenza.
Come suggerisce Vezio Bonera nella prefazione, ciascun lettore potrà immedesimarsi o decidere di essere un semplice spettatore, ma di sicuro non potrà rimanere indifferente di fronte a questi acquarelli di vita, ad esempio quando si parla di argomenti drammatici come la violenza sulle donne (Io per sempre mia) o la solitudine che provano gli anziani (La notte dei miracoli), senza trascurare vicissitudini sentimentali impossibili (Il peso dell'età) e... l'amore per gli animali (Il paese dei gatti).

LA NOTTE DEI MIRACOLI
Aprendo la porta fu investito dal silenzio.
Trascinando quella gamba ormai da tempo malandata, che con il freddo lo faceva dannare, Arturo chiuse a chiave la porta d’ingresso e lentamente entrò nella cucina buia, muovendosi con la sicurezza di chi conosceva quel luogo alla perfezione.
Al centro della stanza si trovava il tavolo di formica verde pallido, sul quale posò il sacchetto della spesa.
Quel tavolo ormai logoro, levigato ai lati dall’usura, scheggiato in più punti, con le gambe un tempo così lucide da potercisi specchiare, oggi invece opache, rigate e a tratti scrostate, era parte fondamentale della sua vita e non se ne sarebbe separato per nessuno motivo, mai.
Su quel tavolo, il giorno delle nozze aveva consumato la prima cena con la moglie, quasi cinquant’anni prima.
Su quel tavolo, erano stati cambiati i pannolini al suo unico e adorato figlio, e sempre su quel tavolo, aveva spento tutte le candeline dei suoi compleanni.
Su quel tavolo aveva pianto lacrime di amarezza, di gioia, di dolore.
Spostandosi appena di lato, aprì l’anta del frigorifero, e la flebile luce illuminò un pezzo di formaggio perfettamente avvolto nella pellicola trasparente, alcune uova meticolosamente allineate negli appositi scomparti, un panetto di burro e due mele rosse riposte nel cassetto sul fondo.
Arturo depose sul ripiano più basso le due fettine di carne appena acquistate e una piccola rosa di lattuga.
Nello scomparto sull’anta, incastrò il cartone del latte, assicurandosi che non si rovesciasse. Chiuse il frigorifero e girandosi lentamente verso l’esterno della stanza, accese la luce.
La piccola serpentina al neon, appesa al lampadario di vetro a forma di margherita, iniziò piano piano a emettere un cono luminoso che andava via via schiarendosi con il passare dei minuti.
Arturo si tolse il cappello, la sciarpa, il cappotto e appese tutto sull’attaccapanni a muro dell’ingresso. Infilò le comode pantofole tenute in caldo sotto al calorifero e tornò in cucina a prepararsi la cena.
Era passato in rosticceria e, anche se la sua pensione non gli permetteva sprechi, aveva preso un antipasto di insalata di piovra, una porzione di lasagne al forno, una fettina di salmone al pepe verde, e facendo uno strappo alla regola, aveva preso anche un quartino di Chianti che gli piaceva tanto.
Era la vigilia di Natale e aveva voluto farsi un regalo.
Sorridendo, guardò il viso della moglie che lo fissava da una cornice in argento.
«Hai visto, Matilde, cosa mi sono comperato?» disse accarezzando con due dita le guance della donna, come se il vetro non esistesse, come se quella carezza sfiorasse davvero il rosa incarnato della moglie. «Stasera cenerò anch’io come un gran signore… peccato non ci sia nessuno a farmi compagnia».
E proprio mentre pensava questo, sentì un suono provenire dall’esterno, sembrava un vociare di bambini in lontananza. Ascoltò con più attenzione e si rese conto che il suono proveniva dal minuscolo giardino davanti casa sua.
Si infilò la giacca da camera per non prendere freddo e andò ad aprire la porta finestra.
Sdraiata sulla spalletta di marmo, c’era una gatta in avanzato stato interessante.
«Oh Signur benedett» disse Arturo, «e adess se fù?»
Rientrò in casa, prese dal divano la vecchia coperta che usava per scaldarsi le gambe mentre guardava la televisione, la piegò in due parti e tornò dalla gatta per posarla sul pavimento.
L’animale allungò il musino verso la coperta, annusò a lungo la stoffa e dopo qualche tentennamento si alzò sulle zampe e vi salì sopra. Fece un paio di giri su se stessa e si accovacciò nel centro, emettendo degli strani gorgoglii.
Intenerito, Arturo si abbassò, cercando di non fare leva sulla gamba malandata e tirò la coperta, gatta compresa, davanti al calorifero della cucina, poi tornò in salotto e prese da sopra la poltrona due vecchi cuscini consunti e li mise ai lati della gatta: “Così se vuole stare sul morbido” – pensò – “potrà farlo.”
Rimase qualche istante a fissare l’animale, che nel frattempo aveva smesso di miagolare. Si accorse di avere ancora la porta finestra aperta e la chiuse.
«Hai fame?» chiese sottovoce alla gatta, avvicinandosi alla coperta.
La gatta lo guardava immobile.
Arturo prese dalla credenza una piccola ciotola e vi versò dentro dell’acqua, poi prese un piattino, sminuzzò una piccola parte di insalata di piovra e mise il tutto davanti al muso della gatta.
Questa lo guardò, ma non si mosse.
Lui, un po’ diffidente nei confronti dell’animale, iniziò ad accarezzarle lievemente la testa e poi, tranquillizzato dalla sua pacatezza, un po’ più affettuosamente il dorso.
La gatta sentendosi al sicuro, avvicinò il musino al piatto e iniziò a leccarne il conte-nuto. A quel punto Arturo decise che fosse arrivato anche per lui il momento di cenare.
Dopo essersi accuratamente lavato le mani, mise la porzione di lasagne in forno e apparecchiò la tavola.
Prima di sedersi a gustare l’antipasto di piovra, diede un’occhiata alla gatta e quando la vide dormire raggomitolata su se stessa, sorrise.
Si voltò verso la foto della moglie.
«Da quando te ne sei andata, è la prima volta che non ceno da solo. Chissà se rimarrà con me tutta la notte o deciderà di andare via. Intanto la lascio riposare tranquilla».
Accese il piccolo televisore che si trovava sulla credenza.
Anche se era la vigilia di Natale, al telegiornale si parlava di guerre, disastri ambien-tali e tragedie famigliari.
Con la mente Arturo tornò ai momenti felici vissuti in compagnia della moglie, alle notti di Natale trascorse insieme, alla gioia che vedeva negli occhi del figlio seduto ai piedi dell’albero mentre scartava i regali.
Sapeva di essere stato un uomo fortunato. L’unica amarezza, quella di essere rimasto solo troppo presto.
Il figlio Paolo, appena laureato in medicina, aveva deciso di partire per il Canada.
Lì lo aspettavano un lavoro molto ambito in una clinica privata e una futura moglie, conosciuta tre anni prima durante una vacanza estiva.
La vita procedeva comunque tranquilla e serena al fianco della amata Matilde, fino a quando una banalissima caduta dalle scale, gliel’aveva portata via.
Erano passati otto anni dal funerale di sua moglie e da quel giorno Arturo era sempre rimato solo.
Il figlio telefonava regolarmente una volta alla settimana, ma non aveva più fatto ritorno in Italia.
Arturo nel frattempo era andato in pensione, ma anziché abbattersi, aveva trovato la forza di reagire, di rendersi utile.
Andava nella parrocchia del quartiere a fare volontariato ai disabili.
Tutto questo fu possibile fino a quando non comparvero i primi acciacchi e allora, a poco a poco, si allontanò dalla parrocchia per chiudersi in casa, ma nessuno, neanche le famiglie delle persone che aveva aiutato, si preoccuparono mai di fargli visita.
Lo vedevano tutte le mattine andare a comperare il pane, a volte fare una breve passeggiata pomeridiana, e a loro bastava.
Il fatto di vederlo uscire, di sapere che era vivo e stava bene, li faceva sentire in pace con la coscienza, ma nessuno di loro, neanche per un istante, aveva mai pensato che ad Arturo avrebbe fatto piacere scambiare due chiacchiere anche solo per parlare del tempo, e che a quel signore, la notte della vigilia di Natale, avrebbe fatto piacere trascorrerla con qualcuno.
Sulla terra non ci aveva pensato nessuno, ma dal cielo Matilde gli aveva mandato una presenza a fargli compagnia.
Stava finendo di gustarsi il bicchiere di vino, quando avvertì una leggera pressione sul polpaccio. Abbassando lo sguardo vide il muso della gatta rivolto verso di lui.
«Ti sei svegliata?».
La gatta miagolò.
«Cosa c’è?».
Quasi a volergli rispondere, la gatta miagolò nuovamente. Arturo si sporse sulla sedia e vide che il piattino era vuoto.
«Ho capito» disse accarezzandole la testa, «hai ancora fame».
La gatta fece un saltino sulle zampe anteriori e si strusciò con il dorso sul polpaccio di Arturo per poi proseguire contro la gamba del tavolo.
«Va bene, va bene» disse lui appoggiando le mani sul tavolo, «adesso mi alzo».
Tirò fuori dal frigorifero una delle due fettine di carne che aveva acquistato, la tagliò a metà e la mise a cuocere in un padellino.
«Visto che devo dividere con te la mia cena di domani, ritengo opportuno darti un nome» disse cuocendo la carne. «Ora… fantasia non ne ho molta, ma viste le circostanze, penso che il nome più adatto sia Natalina, ti piace?».
La gatta continuava la sua danza sinuosa intorno alle gambe di Arturo e il nome che lui le aveva affibbiato, era l’ultimo dei suoi interessi.
Arturo tagliò meticolosamente la fettina di carne assicurandosi che fosse ben cotta e vi soffiò sopra fino a che non fu sicuro di averla raffreddata, poi prese un piattino pulito e lo posò sul pavimento accanto alla ciotola dell’acqua. Natalina prima di chinarsi a mangiare, lo ringraziò con un’ennesima testata sulla caviglia.
Nel frattempo Arturo sparecchiò la tavola, lavò le stoviglie e dopo aver riordinato accuratamente la cucina, accese il televisore che si trovava nel salotto.
Natalina finì di mangiare e tornò a dormire tra i due cuscini, davanti al calorifero.
Arturo spense le luci, si accomodò sulla poltrona di fronte alla televisione accendendosi la pipa. A parte il bicchiere di Chianti che aveva bevuto poco prima, la pipa era l’unico vizio che si concedeva.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro è nata dopo aver ritrovato nel cassetto alcuni racconti scritti per vari concorsi ai quali avevo partecipato, e che si erano tutti classificati. Il pensiero di farne una raccolta, mi ha spinto a scriverne anche di nuovi, e così è nato “La Notte dei Miracoli”.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non ho avuto difficoltà nel portarlo a termine, si può dire che sia nato spontaneamente, è stata una cosa del tutto naturale.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Amo molto la scrittura di Sveva Casati e Dacia Maraini, ma leggo molti autori italiani. Degli stranieri prediligo le storie di Nicholas Sparks.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata e ho sempre vissuto a Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti per il futuro sono l’uscita di un romanzo praticamente già pronto, e sto lavorando ad un altro, che mi sta appassionando molto.