Novemila Chilometri
Edito da Intrecci Edizioni nel 2018 • Pagine: 124 •
Greta sta cercando di metabolizzare la fine di una relazione ed intraprenderà un percorso interiore che culminerà con un viaggio fuori dai soliti schemi. La meta è un'isola al largo del Madagascar, a novemila chilometri da casa. A far da contorno una famiglia strampalata: la sorella Metusa, cocainomane amante dell'arte e sconquassata da disturbi alimentari, il padre Agasi, anaffettivo e devoto solo alla gatta Matiuzza, la madre Tanda, un avvocato agguerrito e fagocitato dal lavoro ed una figura misteriosa, l'uomo con il cane. Un racconto ironico e amaro allo stesso tempo alla ricerca del vero significato della vita.
1
L’uomo col cane procedeva lento, l’andatura un po’ sconnessa, avanzava come per inerzia. Ogni giorno alla stessa ora, col vento, il buio o la pioggia, lui passava di là.
Con il suo cane. In silenzio. Le spalle leggermente ricurve e quel passo strozzato.
Greta rigirava il libro tra le mani, perplessa. “Questo filosofo indiano è fuori di testa.” pensò.
Amare senza volere niente in cambio. Solo per il piacere di donare. In teoria non fa una piega, nella pratica chi ci riesce davvero?
Ti doni anima e corpo a qualcuno che poi scompare nel nulla, e tu che fai: lo ringrazi, solo per il fatto di aver accettato
il tuo amore?
Però doveva ammettere che l’idea era intrigante. Le lasciava una scia di leggerezza. Forse era stata la sua psico che gliene aveva parlato, invitandola così ad abbandonare l’ottica consumistica dei rapporti.
Greta guardò l’orologio: una bella birra fresca ci stava tutta.
Purtroppo aveva finito l’erba, porca miseria.
Uscì sul terrazzo a prendere una boccata d’aria e sentì quelli accanto che gorgheggiavano la solita litania. Dovevano essere in parecchi, a giudicare dall’intensità. Per un attimo si lasciò
trasportare da quel suono, guardò verso i campi e la strada, ed ecco che comparve l’uomo col cane.
Greta lo guardava incuriosita, chiedendosi chi fosse quel tizio, se avesse una moglie o dei figli, se lavorasse gli orti o stesse tutto il giorno chiuso in casa. Lo guardava e sentiva una
strana energia passarle attraverso.
Pensò anche che, se un giorno l’avesse incontrato al supermercato, non l’avrebbe riconosciuto, perché lo aveva sempre visto solo e soltanto di spalle. Da lontano. Tornò dentro e aprì un’altra birra. Chissà quale popolo l’aveva prodotta per primo: se invece di cazzeggiare su internet si fosse degnata di incrementare un po’ la sua cultura, magari ora avrebbe avuto
la risposta.
Dall’appartamento accanto, la litania continuava. Una volta la tipa, pure carina e simpatica, le voleva affibbiare un libricino sulla felicità. L’aveva vista sì e no quattro volte in tutto, forse qualche volta di più, e l’aveva bollata come infelice/depressa. Greta aveva rifiutato categoricamente, farfugliando qualcosa, e si era divincolata da quel tentato attanagliamento. Sì, le sembrava che la tipa la stringesse in una morsa.
A Greta la parola felicità aveva sempre fatto venire ribrezzo, e anche un po’ da ridere. Nel senso che nessuno è felice, ma le persone intorno a te si aspettano che tu lo sia; sei impossibilita a diventare felice perché non sai da chi prendere istruzioni. Quindi, che razza di libro poteva mai essere quello?
I suoi ragionamenti paranoici furono stroncati dalle urla del tizio del piano di sopra. Non si capiva contro chi stesse inveendo, forse con il gatto. Greta drizzò le orecchie e tutta quella rabbia che le arrivò nei timpani la disturbò fortemente, così tornò in casa e si sforzò di cucinare qualcosa di commestibile.
La cosa più importante era che si sarebbe stappata una bella bottiglia di rosé. Quello buono di Fosco, il contadino amico di famiglia.
Ma la sua, era una famiglia?
Il padre non si era mai visto granché: era un ingegnere sempre in giro per il mondo, collaborava con le Nazioni Unite.
La madre era avvocato, persa continuamente nelle sue arringhe, e poco nella vita reale.
Poi c’era la sorella Metusa, una tipa strampalata: fredda, bulimica, anoressica e poi di nuovo bulimica, mezza scultrice e mezza pittrice.
E c’era lei, che non aveva ancora capito se voleva continuare a fare la commessa o se fare le valigie e partire. Da sola: tanto sugli uomini non si può fare affidamento. E neanche sulle amiche. Della serie: meglio soli che male accompagnati.
Tanto per essere originali.
2
Aprire gli occhi è necessario.
Perché se resti con gli occhi chiusi vai a sbattere e t’insanguini il naso.
Ma aprire gli occhi richiede coraggio, perché devi mettere tutto in discussione e ripartire daccapo. Con uno sforzo sovrumano, devi fare manovra e cambiare senso di marcia.
Greta guardava fuori dalla vetrina rigata di pioggia. A un tratto sussultò: le era sembrato di vederlo tra i passanti, con l’aria sconsolata e fugace. Fugace e sconsolata come i suoi vestiti, il suo corpo, il suo modo di essere. Di vivere.
Con il senno di poi, Greta si rese conto che tutto in lui emanava quel senso di fuga e inconsistenza. Un’oscena vacuità.
Se fosse stata un’indovina. Se si fosse fermata prima. Se non lo avesse mai incontrato. Questo si ripeteva…
Ma perché cazzo bisogna soffrire, per crescere? Si chiedeva, con disperazione mista a rabbia, mentre lanciava negli scaffali una raffica di bambolotti dagli sguardi omicidi. Non si può crescere e basta, come fanno i pulcini e gli altri animali, senza dover per forza passare attraverso il dolore e un sacco di fregature? Ma poi, perché si ritrovava quel karma lì?
Aveva detto karma. E ora da dove saltava fuori quella parola?
Ebbe all’improvviso voglia di tenerezza, ma non di qualcuno che la sbaciucchiasse e abbracciasse, no. Voleva una tenerezza autentica, e voleva sentirla esplodere dentro di sé, senza
che fosse innescata da nessuno.
L’uomo con il cane si fermò davanti alla vetrina, indugiando alla ricerca di non si sa cosa, ma Greta non lo vide.
Era persa in un fiume di immagini e parole non dette. Immagini e parole ferme lì, come l’aria di quella giornata senza vento e senza sole.
“Non si trattano così le persone. Spero ti renderai conto del male che mi hai fatto.
E spero che in futuro ti riservino lo stesso trattamento. A meno che, visto che sei un bel cagasotto, tu non scappi per primo ancora una volta. Mi hai usato per tappare la tua solitudine e la tua paura folle di affrontare la vita. Poi, visto che in due i problemi si moltiplicano, mi hai buttata via come un fazzolettino usato.
Ma ricorda: nessuna potrà mai riempire il tuo vuoto. Quella che hai dentro è una voragine di mancanze: mancanza di voglia di vivere, di gioia perché sei al mondo, mancanza di indipendenza e responsabilità. Chissà come ti senti alleggerito per avermi scaricato. Credo che, prima o poi, ti assalirà un’irrequietezza ingestibile. E allora, altro che depressione, bello mio.”
Quando chiuse la serranda di “Giochi da Luna”, Greta sentì il bisogno di arrivare al mare. Chissà perché aveva preso un appartamento in campagna, quando – invece – senza mare le mancava l’ossigeno salmastroso e andava in astinenza da linea dell’orizzonte.
La visuale, da casa sua, era piuttosto ristretta: un colle tozzo e appuntito le faceva pensare a uno di quei troll di Tolkien; al di là della piccola strada sterrata, delle case nascondevano in parte i campi.
C’era tranquillità, quello sì, ma adesso che era stata mollata, la campagna le faceva troppa eco.

Come è nata l’idea di questo libro?
Novemila Chilometri è nato da una sofferenza e, al tempo stesso, da una straordinaria esperienza: come Greta sono infatti stata lasciata di punto in bianco da un ex (nel libro viene nominato come “il fetente”) mentre cercavo una via di uscita dal dolore, fino a ritrovarmi in viaggio per Nosy Be, da sola, a novemila chilometri di distanza. Quindi lo spunto è per lo più autobiografico. Ma il libro non rispecchia fedelmente la realtà, perché mi sono divertita a farcire la storia con personaggi strani e inventati.Sono infatti dell’idea che scrivere sia prima di tutto prendere spunto da noi, dal nostro sentire e vivere, ma è anche in gran parte rielaborazione ed esplorazione.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato complicato, perché in genere scrivo ogni volta che sono ispirata senza darmi limiti di tempo. Puntualmente poi si presenta il cosiddetto “blocco dello scrittore”, ma nel corso degli anni ho imparato ad accoglierlo, so che prima o poi se ne va e l’ispirazione torna. Il finale del libro non mi convinceva, ma nella fase di editing è stato mantenuto come anche alcuni episodi più surreali, quindi credo proprio che funzioni.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Amo Andrea de Carlo da quando ero adolescente, Rossana Campo (che ho anche avuto la fortuna di conoscere), Fabio Genovesi, Melania Mazzucco così talentuosa e quasi ingegneristica nel tessere le sue storie, e adoro Paola Mastrocola.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Livorno e sono nata a Volterra dove ho frequentato il liceo vivendoci per cinque anni. Poi durante il periodo dell’Università ho vissuto a Firenze. Considero Livorno la mia città, sono qui da quasi quindici anni e non posso più resistere senza il mare a fianco.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Novemila Chilometri è il primo libro ad essere pubblicato, ma ho pronti da correggere altri tre romanzi. Un quinto è in corso, sta procedendo un po’ a rilento, ma l’idea è sempre più definita e lo voglio curare al massimo. Il mio desiderio è riuscire a vivere di scrittura.