
Edito da Rudis Edizioni nel 2021 • Pagine: 220 • Compra su Amazon
Mario vive un’esistenza provata
e caratterizzata dalla disillusione. Gli ultimi anni, segnati da eventi drammatici lo hanno portato a distaccarsi da tutto: amici, sogni, passioni.
Uno spietato disamore per il proprio vivere, caratterizzato da un’apatica rassegnazione. Qualcosa però sta per cambiare, una metaforica saetta sta per folgorare la sua rassegnata monotonia. In positivo.
Un punto di rottura, una presa di coscienza lo porta a ripercorrere il recente passato e a metterne in discussione il presente. Il ricordo di Lino, il suo amico tragicamente scomparso due anni prima, lo accompagnerà in un viaggio alla scoperta di una vita nuova, dentro e fuori di sé.
Un susseguirsi di eventi inattesi, orientati a far riconquistare a Mario il proprio posto nel mondo, nel nome della musica, nel nome del punk.

Volti anonimi, volti sconosciuti per lo più. Occhi che ti scrutano. I tuoi occhi che li scrutano. Passi che si uniscono al rumore dei tuoi passi, sorrisi, pianti, vociare. E poi parole, tante parole che come unico coro penetrano il tuo udito in un brusio caotico, senza inizio né fine, senza un filo che ti permetta di capirne il senso, un cianciare che si somma ai tuoi monologhi mentali.
E di facce se ne vedono tante, ognuna diversa dalle altre, ognuna con una propria storia da raccontare, ognuna protagonista della propria vita e nonostante ciò, troppo comuni per finire sulle pagine dei rotocalchi. Facce che precedono azioni, facce che sono l’apparire e che nascondono dietro di esse storie di cui forse mai nessuno leggerà o sentirà raccontare.
Roberta era una di queste anonime facce prima che la conoscessi. Ma i suoi occhi erano troppo limpidi perché restasse nell’anonimato. Compresi subito che la parte che doveva recitare nella mia storia personale, era da coprotagonista. E i rotocalchi personalissimi che abbiamo dentro il nostro animo, avrebbero pubblicato pagine e pagine a colori con lei in primo piano. La incontrai nei giorni immediatamente successivi alla bravata del cornicione.
Fu in quei giorni che le mie parole incominciarono ad entrarle nelle orecchie per la prima volta. Ero andato a trovare qualche vecchio amico, in una delle tante piazze della periferia.
Era lì che loro e altri allegri compagnoni – per me semplici conoscenze perlopiù – trascorrevano i pomeriggi del dopo lavoro o del dopo studio o del dopo qualsiasi cosa fosse. Non mi capitava di andarci spesso, ma in quel momento, trovandomi a passare di là, decisi di farci un salto. Nonostante mi innervosisse un po’ intromettermi nei discorsi di chi non conoscevo ancora bene.
Percorsi il viottolo che portava alla piazza in auto, parcheggiai e mi diressi a piedi verso le due panchine dove stavano seduti; un clima di approssimata compagnia circondava amici, conoscenti e facce sconosciute.
Esordii con un «Ciao!» generalizzato. Tutti mi risposero. Andrea e Gianni, i più affezionati, mi salutarono in maniera più calorosa.
Tra le tante voci e i tanti volti, scrutai uno sguardo color verde vischio, uno sguardo limpido, puro, dolce e accattivante. Quelle due iridi così particolari, belle a vedersi, catturarono non solo il mio sguardo, ma rapirono tutto me stesso. E in mezzo a quelle voci salutanti, il mio udito percepì qualcosa. Parole pronunciate dalle labbra sottostanti a quei due occhi così belli.
«Ciao Mario!»
Mi sembrò quasi incredibile, conosceva il mio nome.
Compresi solo allora che l’avevo vista altre volte, ma non mi era mai capitato di presentarmi a lei.
La cosa mi stupiva alquanto.
Le sorrisi e anche lei fece lo stesso. Recepii quel saluto e quel sorriso come un segno. Forse perché avevo bisogno di un segno, sentivo la necessità di appigliarmi a qualcosa. Cercavo in lei – o se non proprio in lei, per lo meno in qualcuno – la libertà da quel recente passato che mi aveva demolito, pezzo dopo pezzo, l’esistenza.

Come è nata l’idea di questo libro e quanto è stato difficile portarlo a termine??
Questo parto narrativo porta una storia con sé, oltre a quella in esso raccontata. Iniziai a scrivere questo romanzo nel novembre del 2000, terminandolo nel dicembre del 2002. Un manoscritto rimasto chiuso in un archivio digitale per quasi vent’anni, prima di essere riletto per caso, dopo un banale backup durante il primo lockdown. Incominciai a scriverlo che avevo io poco più di vent’anni. Sentivo di esistere, di essere io stesso parte del mio divenire, per la prima volta. Ero arrivato a questa forse tardiva forma di coscienza attraverso il dolore. Non una malinconia delusa, ma il dolore vero, reale, puro, che ti si presenta davanti, senza che tu lo voglia. Il dolore dato da eventi cruenti e addii improvvisi, che hanno il sapore amaro delle lacrime e del sangue; di giorni accompagnati dal consumarsi nella sofferenza fisica di qualcuno a cui vuoi bene, giorni che puzzano di piscio da pannolone, di etere, giorni che portano alla morte. Questo romanzo nasce dall’abisso interiore più profondo e arriva fino alle stelle della vitalità più estrema. Nasce da quel vivere senza compromessi, da un estremo all’altro. Oggi sai che forse a vent’anni non volevi regalare alla rassegnazione quei giorni di dolore, vivendo una ribellione pura, nella speranza, nella fede. Che poi però riscoprivi deluse. Giorni e notti fatte di esami universitari e amici, di sabati sera sporcati da vomito alcolico e freddo preso in strada, di musica, feste e di qualunque cazzo di altra cosa che ti aiutasse a non pensare a quella nuova dimensione esistenziale. La vita e la morte assumevano per me lo stesso fascino e la stessa attrattiva. Il sapore della vittoria e quello della resa suscitavano il medesimo appetito. E in mezzo a un siffatto guazzabuglio emotivo, prendeva vita “Nulla avviene per caos”. Allora però, non aveva questo titolo. Io non sono più quel ventenne di allora. Sono lontano da quel ragazzo speranzoso, ma malinconico, intraprendente, ma triste, sognatore, ma illuso. Ma una storia resta una storia. E se è bella, merita di essere letta, raccontata, ascoltata. Indipendentemente da chi la scrive. E questa è una bella storia, agrodolce, ironica, fatta di amicizia, amore, risate, lacrime, speranza e musica! Tanta bella musica! Una storia che non meritava di rimanere chiusa dentro un hard disk, per quello che porta con sé.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho gusti variegati. Mi sono formato leggendo Salinger, Goethe, Tolkien, Dumas, Hugo, Manzoni. Col tempo le mie letture hanno impattato contro autori più concettuali, come Nietzsche e Celine. Ma un conto è leggere, un altro è scrivere. E la mia incoerenza nella preferenza di stile mi ha portato ad addentrarmi all’interno di altri contesti letterari e nel cercare un mio di stile. E nel lontano 1998, quando per la prima volta mi approcciai ai componimenti letterari di tipo narrativo, le mie scelte in fatto di lettura coincisero con la scoperta di due autori in particolare: Nick Hornby e Charles Bukowsky. Ho letto praticamente tutto e ho cercato di assorbire il più possibile dai loro romanzi. Sono due autori probabilmente agli antipodi. Ma a qualcuno (se pur indegnamente) bisogna ispirarsi per cercare un proprio stile. E in loro io trovo un reale riferimento narrativo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Calabria, a Cosenza per la precisione. In passato per necessità poco piacevoli, sono stato costretto a vivacchiare in quel di Roma. E’ Roma che mi ha dato – nonostante le circostanze poco felici – la possibilità di interfacciarmi con realtà artistiche e letterarie molto più ampie e stimolanti. Cosenza è una città che ha tantissimo potenziale, cultura, storia, arte; sono enumerabili le “star del ghetto” che cercano a fatica di emergere, in ogni settore creativo. Al contempo però ha la grande pecca di non possedere un vero e proprio “ambiente culturale” di confronto, ma solo quelle che gergalmente vengono definiti “giri”. Se appartieni a certi giri, riesci a venir fuori, a farti conoscere, se non altro a livello locale. Almeno fino a qualche anno fa. Oggi la dimensione tuttavia si sta allargando, per fortuna, e se pur a fatica, sta uscendo fuori da quei contesti snob e settari che la caratterizzavano in passato. Ci sono momenti di confronto e possibilità di esprimersi e mostrare le propria arte che prima non c’erano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Di scrivere non mi fermo mai. Ho iniziato ad abbozzare quello che spero diventi il mio terzo romanzo. Ma ciò che più mi preme, è riuscire a portare in teatro il mio nuovo musical. Questo però non dipende solo dalla mia volontà, ma da una situazione più grande di noi, che spero arrivi presto alla fine: l’emergenza Covid.
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