Edito da Brè Edizioni nel 2020 • Pagine: 180 • Compra su Amazon
Eleonora Carboni, bella e svampita signora emiliana, su un vecchio Espresso Torino-Lecce incontra il misterioso Alessandro Spilotros.
L’uomo è attraente ma visibilmente disturbato, sembra apprezzare molto le sue eleganti scarpe rosse e in qualche modo riesce incuriosirla, convincendola a cambiare itinerario.
I due scendono a Telese Terme e da quel momento in poi si perderanno le tracce di Eleonora.
Ma il ricco marito della Brolli e il caparbio carabiniere Armando Fontana per ritrovarla lotteranno contro burocrazia, falsi avvistamenti e piste sbagliate. Fino alla scoperta di un misterioso blog amatoriale…
Entrò in stazione con un quarto d’ora d’anticipo e si avviò di buon passo verso il binario.
Erano gli ultimi giorni d’ottobre e l’aria umida e pesante sembrava appoggiarsi sopra le cose, le persone. Il sole era tramontato da poco e una nebbiolina leggera saliva dalle campagne, come ogni sera d’autunno in Emilia.
Non gli era mai piaciuto vivere in provincia e appena aveva potuto se ne era andato. Ma sapeva che nessuno se ne va mai veramente, che prima o poi si è costretti a tornare e quella nebbia ti rimane addosso, anche se prendi un treno che va molto lontano.
Il giorno seguente avrebbe compiuto quarantacinque anni. La cosa lo lasciava quasi indifferente, forse a causa di un meccanismo di rimozione inconscio.
Non era soddisfatto della propria vita, non lo era mai stato, anche le rare volte in cui i traguardi professionali lo avevano gratificato. Si era sempre sentito in prestito, come se il suo posto fosse stato da un’altra parte, come se la sua presunta carriera in una grande città fosse stata un bluff riuscito solo in parte.
Ormai le sue aspettative erano mutate, non gli importava più di ciò che la gente poteva pensare di lui. Cercava di riflettere il meno possibile e di tenere la mente sempre occupata col ragionamento o con la lettura. Ma quando doveva prendere il treno tutto si complicava. Chiuso dentro lo scompartimento, era in trappola: la sua mente restava costretta, in ostaggio di vecchi fantasmi.
Si faceva più fatica a barare sui treni. E lui lo sapeva.
Il passato lo tormentava, mordendolo dentro senza pietà. Non sperava di potersene sbarazzare, gli bastava metterlo in grado di non nuocere più.
Era uno di quegli uomini che aveva imparato ad addomesticare il proprio dolore.
Erano gli ultimi giorni d’ottobre e l’aria umida e pesante sembrava appoggiarsi sopra le cose, le persone. Il sole era tramontato da poco e una nebbiolina leggera saliva dalle campagne, come ogni sera d’autunno in Emilia.
Non gli era mai piaciuto vivere in provincia e appena aveva potuto se ne era andato. Ma sapeva che nessuno se ne va mai veramente, che prima o poi si è costretti a tornare e quella nebbia ti rimane addosso, anche se prendi un treno che va molto lontano.
Il giorno seguente avrebbe compiuto quarantacinque anni. La cosa lo lasciava quasi indifferente, forse a causa di un meccanismo di rimozione inconscio.
Non era soddisfatto della propria vita, non lo era mai stato, anche le rare volte in cui i traguardi professionali lo avevano gratificato. Si era sempre sentito in prestito, come se il suo posto fosse stato da un’altra parte, come se la sua presunta carriera in una grande città fosse stata un bluff riuscito solo in parte.
Ormai le sue aspettative erano mutate, non gli importava più di ciò che la gente poteva pensare di lui. Cercava di riflettere il meno possibile e di tenere la mente sempre occupata col ragionamento o con la lettura. Ma quando doveva prendere il treno tutto si complicava. Chiuso dentro lo scompartimento, era in trappola: la sua mente restava costretta, in ostaggio di vecchi fantasmi.
Si faceva più fatica a barare sui treni. E lui lo sapeva.
Il passato lo tormentava, mordendolo dentro senza pietà. Non sperava di potersene sbarazzare, gli bastava metterlo in grado di non nuocere più.
Era uno di quegli uomini che aveva imparato ad addomesticare il proprio dolore.
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