
Edito da EDIKIT nel 2019 • Pagine: 220 • Compra su Amazon
Uno scrittore, dopo anni di successo, perde ispirazione, fama e fiducia in sè stesso. Sarà l'incontro con due splendidi giovani a far scaturire in lui una scintilla che lo porterà a riconsiderare ogni cosa e a guardare il mondo con occhi diversi

Uomini chiusi nei loro cappotti, ragazze col cellulare in mano tutte intente a mandare messaggi a qualcuno chissà dove, piccoli gruppi di extracomunitari assonnati e malvestiti, bambini per mano alle mamme, anziane signore con la borsa della spesa, un paio di suore….
-Guarda questa gente,-mi dissi buttando lo sguardo qua e là svegliandomi dal torpore- pur racchiusa dentro pochi metri quadrati, coesiste pacificamente. Tutte queste persone, in apparenza tanto diverse una dall’altra, se ne stanno tranquille nello spazio angusto di un tram come se la cosa non le toccasse veramente. E’ come se ogni singola differenza che distingue gli individui tra loro (caratteristiche fisiche, differenti culture, storie e trascorsi), rivelasse la spiccata capacità di spingere gli esseri umani a coabitare anziché separarsi. Qui dentro tutti i presenti dimostrano di fare parte di un solo, sconfinato gruppo malgrado le reciproche distanze: qualcosa lega le singole componenti di questa folla e un comune denominatore le associa. Solo io mi sento uno straniero, qui dentro. Solo io non c’entro niente con tutti loro.-
Poi, girato lo sguardo, li vidi.
Come fossero piovuti dalla Luna, radicalmente diversi da chi li circondava, esemplari unici di una razza sconosciuta e più luminosi di comete, c’erano un ragazzo ed una ragazza.
Entrambi bellissimi e persi nei loro sorrisi reciproci, stavano lì, tra gli altri, indifferenti al resto. Proprio come se l’universo li avesse generati per essere totalmente affini, si scambiavano sorrisi abbozzati e cenni di intesa, intendendosi come per via mentale o comunque in maniera incomprensibile agli esseri umani. Si vedeva che erano facce della stessa medaglia, generi differenti di un’uguale sostanza e che nulla sarebbe mai riuscito a separarli.
Non erano solo molto belli ma anche totalmente estranei al contesto, giovani alieni precipitati su questo piccolo, periferico pianeta.
E io, trascinato da una cusiosità irresistibile e senza alcun timore di essere scoperto, mi misi a fissare, irretito, la ragazza. La sua bellezza brillava simile a un lampo e, proprio come l’improvviso baluginare di un riflesso, tanta sorprendente avvenenza mi tolse la vista per qualche istante.
Aveva un viso semplice eppure unico, come un quadro sinora mai visto ma mille volte sognato. Dava aria e luce allo spazio che lo circondava, forte come un rullo di tamburi eppure soffice come l’ovatta.
Ripreso fiato, guardai meglio.
Dentro i suoi raffinati equilibri, quel volto aveva qualcosa di davvero speciale: era come se nei suoi tratti si sommassero milioni di studiatissimi, minuscoli errori e che il fine di quella somma fosse la creazione di qualcosa di irripetibilmente magnifico.
Gli occhi, limpidi quasi senza colore, sembravano elettrici, come percorsi da una corrente e malgrado il loro chiarore diffondevano calde scintille. Il loro taglio, le ciglia e le palpebre sembravano un meccanismo, una specie di congegno complesso e ben calibrato che consentisse apertura e chiusura allo sguardo più seducente che io avessi mai incontrato.
La bocca, colorata di un rosso compatto e lucido, si muoveva piano in accenni di sorrisi quieti mentre denti bianchissimi rilucevano dentro il ritmo di parole appena sussurrate. Su quella bocca la luce fredda dei neon riverberava, facendosi fosforescenza e bagliore, rivelando la soffice consistenza delle labbra.
Persino i capelli, piuttosto corti, folti e vermigli, non sembravano completamente reali e, scossi da pieghe rossissime, parevano nati per essere accarezzati. Un balsamo fatato doveva averli resi tanto colmi di luce.
In quella splendida ragazza aliena dimorava una bellezza fluida, mutevole, fatta di tante leggiadre imperfezioni e la grazia che ne traspariva pareva appartenere a chi non abbia mai pianto per amore pur conoscendolo a perfezione.
Ne ero certo: il dolore non aveva mai ferito quell’essere che, purissimo, viveva di sola gioia.
Avvolta nel suo cappotto di velluto scuro, alta almeno un metro e settanta, con una mano si teneva avvinghiata alla maniglia del tram mentre con l’altra sfiorava i bottoni ed il bavero della giacca del suo compagno, quasi tessendo una rete di fili invisibili attorno a lui.
Guardandola era impossibile immaginare un’apocalisse che potesse cancellarla dal mondo o una vecchiaia che giungesse a deformarla: nata da un seme sconosciuto, era fiorita per durare eternamente.
-Chissà cosa si prova a baciarla.-Mi chiesi.
E quasi a volermi distrarre da quel pensiero spostai l’attenzione sul ragazzo, apparentemente unico depositario del diritto di avvicinare le proprie labbra a quelle della splendida marziana.
Pallido e magro, portava sul volto un sorriso enigmatico, come di chi sottintenda sempre qualcosa di non detto. Fissava la ragazza guardandola dritta negli occhi e tra i loro sguardi scorreva un’energia invisibile ma facile da riconoscere: un’adorazione reciproca fluttuava in quelle occhiate.
I capelli biondi, piuttosto lunghi ma pettinati all’indietro e corti sulla nuca, contribuivano a dargli un aspetto ordinato, curato e molto ben definito. Vagamente androgino e colmo di un’eleganza naturale, in risposta ai sorrisi della ragazza piegava appena l’angolo della bocca.
Indiscutibilmente bello, anche lui lo era in modo poco tradizionale. Fissandolo con attenzione mi accorsi che somigliava a certi attori di vecchi film inglesi che avevo visto da bambino, dove giovani anglosassoni dal fisico esile e l’aria un po’ stralunata se ne andavano a zonzo per le periferie londinesi impazienti di ficcarsi in qualche guaio. In lui la fragilità pareva elevarsi a potenza e divenire una specie di forza occulta tanto che, seppur poco prestante fisicamente, lo si sarebbe detto dotato di qualche arcana robustezza. La sua delicatezza trasudava magnetismo.
Il dolcevita verde che gli fasciava il collo, il bel soprabito blu notte, le scarpe italiane ed i pantaloni bourdeaux che scendevano stretti sino alle caviglie, rivelavano gusti raffinati vagamente retrò e un’attenta cura di se stesso.
Non riuscivo a smettere di fissarli. Non sembravano solo innamorati e complici, parevano entrambi unici depositari di un mistero ancestrale, tesi uno all’altra come se il resto dell’esistenza non fosse lì a scorrere al loro fianco, come se tutti noi, piccoli umani, in fondo non fossimo degni di alcuna attenzione. Il progressivo affollamento delle carrozze, il grigiore della città, la vacuità dei discorsi dei passeggeri, i miei sguardi pungenti e la malinconica patina di condensa che copriva i vetri freddi d’inverno, forse non erano nemmeno percepiti da quei due stravanganti esseri, giunti da chissà dove, probabilmente per caso, sulla nostra piccola palla di fango.
Così, quando improvvisamente scesero ad una fermata, il cuore quasi cessò di battermi nel petto e fu solo la ressa della carrozza ormai gremita di gente ad impedirmi di seguirli.
Di nuovo completamente solo, seduto su quel vecchio tram, li guardai mentre si allontanavano lungo il viale alberato, luminosi come scintille, leggeri più di una brezza e con loro mi sembrò scomparire dalla mia vita anche l’ultima speranza di novità e di mistero.

Come è nata l’idea di questo libro?
Dopo avere scritto tante canzoni mi è venuta sempre più voglia di affrontare qualcosa di più esteso e complesso. Da tempo avevo in mente il personaggio di uno scrittore in declino in cerca di riscatto e…
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Scrivere si è rivelata una cosa complessa, non difficile.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Leggo poco degli autori moderni. Ultimamente ho riletto la Tetralogia della Fertilità di Mishima, a cui mi sono ispirato per l’ultimissima pagina del mio libro.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Pur avendo viaggiato parecchio, ho sempre vissuto a Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Progetti? Scrivere, scrivere, scrivere….
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