Edito da Lupieditore nel 2020 • Pagine: 228 • Compra su Amazon
In origine il Regno magico era popolato da un’unica fazione, quella degli Incontaminati: maghi eterotermi, dalle grandi abilità intellettuali e l’atteggiamento schivo. Ma poi un’eruzione vulcanica portò alla nascita dei Ferventi - maghi a sangue caldo, molto rapidi, passionali, irascibili e invincibili nell’attacco - e incominciarono gli eterni scontri tra queste due fazioni.
Emanuele è un Fervente, ma lo scopre solo a quindici anni, quando grazie all’amica Bianca entra a conoscenza del carattere magico del Regno. Appena viene a sapere che fu un Incontaminato a uccidere sua madre, decide di andare insieme ai suoi quattro amici alla ricerca del Remedium, l’ambito libro che permette di relegare i nemici sulla Terra. Con loro sente di poter vincere e supererà sfide molto complesse, finché la presenza nel gruppo di un ignoto Traditore e di un Veggente dai dubbi intenti non comporterà diffidenze e allontanamenti. Questa è una storia soprattutto di crescita, dove sono richieste prima di tutto bontà d’animo, maturità e lealtà reciproca. La vera difficoltà di questi giovani maghi sarà imparare a fidarsi dell’altro e anteporre gli affetti al potere. Al centro delle vicende c'è la tormentata storia d'amore tra Emanuele e Bianca, una maga dall'animo oscuro e misterioso che lui stesso attaccherà per sfiducia, e per questo la perderà. Ma quando appurerà che forse c’è ancora una speranza per lei, rivedrà i suoi obiettivi e visiterà nuove dimensioni, disposto a fronteggiare i mostri inquietanti e le atroci visioni del Mondo Maledetto pur di salvarla e scoprire il vero ruolo dei suoi presunti amici.
Il desiderio di fama e la voglia di vendetta non sono che esigenze umane, maledettamente effimere e illusorie, che, con uno spiacevole effetto boomerang, ti restituiscono tutto il male che hai compiuto per ottenerle. Sento che manca qualcosa nella mia vita, manca lei. Il pensiero di lei non mi abbandona mai, come se ci fosse qualcosa di irrisolto, come se potessi ancora salvarla. Un misto di sensi di colpa e rabbia ancora mi attanaglia. Rammento la sua bellezza, il suo candore e il suo sguardo funereo come se l’avessi davanti agli occhi: le conferivano un fascino indicibile. Non sono mai riuscito a capirla, mai. Tornerei indietro anche solo per avere delle risposte, per sapere come figurarmela nella mente, se come buona o cattiva.
Capitolo 1
La conobbi all’età di sei anni, durante il compleanno di un mio compagno di classe. Ricordo bene quel giorno: il vento ululava senza sosta, trascinandosi dietro nuvole grigie e minacciose, e di tanto in tanto un lampo squarciava il cielo, imponendosi nell’oscurità. Poeti e cantanti guardavano il cielo stupiti e preoccupati, mentre alcuni disegnatori si affrettavano a riporre le proprie tele negli zaini, timorosi che il loro lavoro di settimane venisse spazzato via dal nubifragio.
Il mestiere dell’artista era decisamente il più elevato e nobile. In un mondo dove la sopravvivenza era garantita soltanto mediante il baratto, niente valeva più di un’opera originale. Per questo, chiunque si cimentava nella scoperta del proprio talento intercambiabile e lo coltivava ovunque andasse. In ogni strada c’erano persone che scrivevano poesie, pitturavano e cantavano; tuttavia il canto era permesso solo dai diciassette anni in su.
Iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia e, per quanto fossi tentato di perdermi a guardare i tipici arbusti del luogo, come sorbo e sambuco, e l’originalità di quelle villette dalle forme tondeggianti e i colori delicati e rilassanti, corsi più velocemente che potevo, costretto per una volta alla puntualità.
Al mio arrivo lo stanzone era già gremito di bambini frenetici, intenti a stabilire le penitenze di un gioco a carte, e fu allora che mi accorsi di lei, rannicchiata in un angolo con la testa tra le ginocchia. Sembrava spaventata, nel suo elegante vestitino dal sopra bianco e la gonna blu. Non sapevo chi fosse, ma mi dispiaceva che non giocasse. Così decisi di approcciarla con le migliori intenzioni. Lei sollevò lo sguardo per studiarmi e per un istante i suoi occhi emanarono una luce abbagliante. Non avevo mai visto niente di simile ed ebbi paura. Non riuscivo a spiegarmi la discordanza dei suoi caratteri: se da un lato i suoi grandi occhi marroni e il suo viso paffutello la rendevano simpatica e gradevole, dall’altro l’estremo pallore della sua pelle e la sua espressione indecifrabile la facevano apparire ostile, oltre che inquietante. Le mie perplessità su di lei erano tante, ma non bastarono a scoraggiarmi.
«Come ti chiami?» le chiesi timidamente.
«Bianca e tu?» rispose, accennando un vago sorriso.
«Emanuele.» Ricambiai il sorriso. «Giochi con noi?»
Lei mi guardò con occhi sgranati e scappò via con aria sconvolta. Non pensavo che l’avrei più rivista.
Quando il lunedì dopo l’insegnante ce la presentò come nostra nuova compagna di classe, inevitabilmente mi rallegrai: ormai legare con Bianca era diventato il mio obiettivo. Mi sedetti accanto a lei e diventai a tutti gli effetti la sua ombra.
«Ciao!» la salutai amichevolmente durante la ricreazione, concedendomi una confidenza mai esistita.
«Ciao.» rispose quasi con disappunto.
«Vieni in giardino con noi?»
«No.» rifiutò con un filo di voce, incrociando le braccia sopra la pancia e voltandosi subito verso la finestra.
Fraintesi i suoi atteggiamenti, sicuro che fossero dettati da semplice timidezza. Non immaginavo che qualcuno al mondo potesse davvero ambire alla solitudine. Con la scusa di dover fare un compito insieme, riuscii a farmi invitare a casa sua. Speravo che, osservando il suo ambiente, avrei avuto delle rivelazioni su di lei, ma i suoi genitori – che solo dopo ho scoperto essere suoi zii – erano affabili e il disordine nella sua stanza nella norma. Non era una bambina perfezionista o amante del nero, le piacevano i colori tanto da dipingere ognuna delle quattro pareti di camera con un colore diverso, sfumato a sua volta in tre tonalità diverse; sembrava tutt’altro che sospetta. Appesi alla parete di destra c’erano un poster di Ed Sheeran e un ritratto incorniciato di lei insolitamente sorridente; di fronte all’entrata c’era un enorme armadio in legno e sulla sinistra una scrivania con portapenne, astuccio e quaderni blu disseminati lungo tutta la superficie. Avevano tutti delle margherite attaccate con lo scotch, tranne uno con una taschina di jeans da cui spuntava un quadrifoglio.
Faticavo ad associare la personalità di Bianca a quell’ambiente vivace e pacifico, perfetta antinomia della sua quotidiana cupezza; era come voler spacciare un cactus per un oleandro o attribuire un gusto dolce al mare. In fondo sentivo che nascondeva qualcosa, ma non ero pronto a scoprirlo. Così mi sedetti ed estrassi il quaderno dallo zaino come se niente fosse.
«Allora, dobbiamo scrivere mezza pagina su cos’è per noi l’amicizia.» riepilogai. Lei non disse niente. Mi osservava immobile e assorta.
«Che c’è?» chiesi, guardando se per caso ci fosse qualcosa dietro di me o se stesse proprio fissando me.
«Niente. Cos’è per te l’amicizia?» domandò giusto per chiedere, voltandosi finalmente altrove.
«Giocare insieme, no?»
«No.» rispose lei testarda.
«Perché stai da sola? Voglio essere tuo amico!»
«Perché è già come se non esistessi più, non vale la pena di perdere tempo.»
«Per me esisti, mi stai simpatica.»
Lei sospirò, fece cenno di no con la testa e alzò gli occhi al cielo: «No, non hai capito: io non appartengo a questo mondo, lo vedo, lo sperimento. Quelli che voi definite “déjà vu”, non sono che ricordi che riemergono malgrado ogni personale resistenza, frammenti di vita passata per me senza una consequenzialità.»
«Hai una fantasia strana.» commentai con una risata isterica.
«Non è che una maledizione, che punirà sia me che te.» comunicò, guardandomi fissa.
«Facciamo i compiti?» quasi la implorai inquietato.
«Non mi va, non credo nell’amicizia.» ribadì, stringendosi nelle spalle.
«Se vedi il futuro, sai se diventeremo amici?» chiesi un po’ per curiosità un po’ per sdrammatizzare.
«Ti conviene scappare adesso.» rispose, sapendo pure lei, nel profondo, che non lo avrei mai fatto. E di fatto non lo feci. Sarebbe stato tutto decisamente più facile se l’avessi ascoltata subito.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata quando avevo 17-18 anni. Dopo aver visto Hunger Games, decisi che volevo scrivere una storia romantica in un contesto diverso e così iniziai a pensare alla classica struttura del Regno magico diviso in fazioni. E mentre studiavo le guerre arabo-israeliane e il problema del mutuo riconoscimento, pensai alla storia delle fazioni e ai conflitti territoriali che potessero fare da contorno alla mia trama.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato molto complicato portare a termine questo libro, perché, nonostante ci tenessi a scrivere un fantasy, non ho mai letto o visto molti film di questo genere. A parte Harry Potter e qualche romanzo/film/serie tv visti per caso, ho sempre prediletto romanzi rosa e thriller psicologici al resto. Per anni ho accantonato questa storia, finché l’anno scorso (estate 2019) non ho ritrovato un disegno che feci all’età di dieci anni, che raffigurava una ragazza in un edificio pieno di specchi, e ho cominciato a riflettere sui significati che potessero esserci dietro a quell’immagine. Così ho iniziato a strutturare il Mondo Maledetto e a delinearlo come il mondo dell’amoralità e lo smarrimento della ragione, dove gli attacchi sono a livello psicologico, e non fisico, e lotti da solo contro tutti.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Un riferimento tutt’altro che trascurabile è stato Francesco Gungui, con la sua trilogia “Inferno”, “Purgatorio” e “Paradiso”, che personalmente mi ha intrigata molto.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Prato (Toscana) e sono sempre vissuta qua per ora :)
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Nel futuro vorrei scrivere altri romanzi e collaborare per alcune sceneggiature. Ho in sospeso un romanzo rosa (mystery), che, superato questo momentaneo blocco, spero di portare presto a termine.
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