Edito da 0111 edizioni nel febbraio 2019 • Pagine: 282 • Compra su Amazon
Mancano pochi giorni a Natale, quando il terrore irrompe nel centro di una città di provincia addobbata a festa.
Al grido di Allahu akbar!, un uomo con il volto coperto da un passamontagna nero comincia ad accoltellare i passanti, ferendo gravemente una ragazzina e uccidendo una professoressa sotto gli occhi del marito. Poi, quando cerca di fuggire, viene abbattuto a colpi di pistola da un ispettore fuori servizio.
Cinque mesi più tardi, per gli inquirenti il caso è chiuso.
L'attentato è stato il gesto folle di un lupo solitario, un siriano richiedente asilo, radicalizzatosi sul web dopo l’arrivo in Italia.
Una mattina, però, Michele Colizzi, il marito della donna uccisa, riceve un’inquietante telefonata che lo lascia sconvolto. Da quel momento in poi, per l’uomo comincia un incubo che, in meno di quarantotto ore, lo porterà a rivedere tutte le proprie certezze.
Subito appare chiaro che sua moglie aveva una doppia vita. E forse, oltre ogni evidenza, non si è semplicemente trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.
«Allahu akbar!» gridò qualcuno alle sue spalle.
Michele si voltò.
A nemmeno dieci metri dal punto in cui si trovava lui, la gente aveva fatto il vuoto intorno a un uomo con il viso coperto da un passamontagna nero e all’adolescente urlante e terrorizzata che cingeva da dietro con il braccio sinistro.
L’individuo berciò qualcos’altro in una lingua che Michele immaginò essere arabo. Poi alzò al cielo il braccio libero, come per mostrare a tutti gli astanti il coltello che stringeva nella mano guantata. Quindi urlò di nuovo e cominciò a pugnalare la ragazzina al collo.
Fu così che la maggior parte delle persone che assistevano alla scena si riscosse. Molti cominciarono a strillare e correre in ogni direzione. Alcuni scapparono portandosi dietro buste e sportule; altri scapparono abbandonando a terra tutto quello che avevano in mano. Alcuni caddero e si rialzarono; altri caddero e fecero inciampare qualcun altro. Furono pochi quelli che rimasero immobili come Michele, inebetiti dal terrore. Nessuno si attivò per difendere la teenager, che al massimo poteva avere quattordici anni.
Non un popolo di eroi, pensò in quel drammatico frangente Michele. Poi, chissà per quale motivo, si mise a contare le pugnalate. A quel punto, l’individuo con il volto coperto aveva già colpito la sua vittima per due volte, quindi Michele cominciò il suo conteggio da tre. Per fortuna, non dovette arrivare nemmeno a cinque.
L’aggressore lasciò andare la poverina, che stramazzò faccia a terra, cominciando quasi subito a sussultare, mentre una pozza di sangue si allargava inesorabilmente sotto la parte superiore del suo corpo.
Un attimo dopo, l’accoltellatore si mise a correre in direzione dei chioschi in fondo alla fila.
Michele lo vide allontanarsi e si chiese per quale assurdo motivo non si sentisse sollevato.
Dopo qualche istante pensò a Elisabetta, e una scarica di adrenalina lo svegliò dal torpore causatogli dalla cruenta aggressione che aveva visto svolgersi sotto i suoi occhi.
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Sentì i muscoli tendersi e i sensi acuirsi. Guardò verso il negozietto che Elisabetta aveva detto di voler visitare e vide sua moglie correre verso di lui, mentre la maggior parte della gente fuggiva in direzione contraria. Poi vide anche l’uomo con il passamontagna piombare su di lei e immobilizzarla da dietro come aveva fatto con la ragazzina.
Michele urlò con quanto fiato aveva in gola, ma non sentì alcun suono. Fu
come se all’improvviso qualcuno avesse tolto l’audio al mondo. Poi il suo sguardo incontrò quello di Elisabetta, e il tempo parve rallentare come avviene nei film durante le scene più drammatiche. In quella frazione di secondo che sembrò durare un’eternità, Michele vide l’espressione di sua moglie virare dall’orrore all’incredulità e dall’incredulità alla rassegnazione.
Quindi i suoni tornarono di botto così come erano scomparsi e il tempo ricominciò a scorrere alla solita velocità.
L’uomo con il passamontagna cominciò a menare fendenti, affondando la lama del pugnale nel lato destro del bel collo lungo di Elisabetta.
Una, due, tre, quattro, cinque volte. Il braccio dell’uomo si alzava e si abbassava implacabile. Sembrava un congegno meccanico creato all’unico scopo di perpetrare quell’orrore.
Sei, sette, otto, nove, dieci volte. Il sangue di Elisabetta zampillava come nebulizzato da un irrigatore. Schizzava e imbrattava vittima e carnefice.
Undici, dodici, tredici, quattordici, quindici volte. L’uomo perse la presa sul pugnale, che volò in aria e ricadde con un tintinnio sull’asfalto. Poi lasciò andare anche la sua seconda vittima.
Elisabetta si afflosciò a terra e finalmente Michele si decise a scattare verso di lei.
Quando la raggiunse, le si inginocchiò accanto. Si chiese cosa fare. Si chiese se fosse possibile che un medico dovesse chiedersi cosa fare.
Il sangue, pensò poi. Bisognava bloccarne la fuoriuscita. Trattandosi di plurime ferite al collo con emorragia massiva, bisognava comprimere la carotide. Bisognava agire in fretta. A giudicare dal lago rosso sul quale Elisabetta giaceva, non ne avrebbe avuto ancora per molto.
Michele le sbottonò il cappotto e le tolse il foulard.
Il sangue di sua moglie gli schizzò sulle mani, sul volto, sui vestiti. Il battito c’era ancora ma era molto debole. Troppo.
Tuttavia, fu per quello che vide che Michele intuì che sua moglie non ce l’avrebbe fatta. Le coltellate l’avevano quasi decapitata. Vene, arterie e tendini del collo le fuoriuscivano dalle ferite come cavetti tranciati. Era un
miracolo che non fosse già morta.
«Mio Dio. Mio Dio. Mio Dio» cominciò a disperarsi Michele con voce malferma.
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Ciononostante, schiacciò il palmo di una mano nel punto esatto in cui andava schiacciato.
Poi udì un bisbiglio. Senza smettere di esercitare pressione nell’illusione di fermare il fiume che si riversava fuori dal corpo di Elisabetta, alzò la testa e vide l’uomo con il passamontagna incombere su di lui, fradicio di sangue anch’egli, immobile come una statua, intento a osservare il risultato ultimo delle sue azioni.
Michele lo guardò negli occhi con odio, e l’uomo tornò a bisbigliare con un accento straniero.
Questa volta Michele capì quello che disse e non credette alle proprie orecchie. Come per dargliene conferma, l’attentatore ripeté: «Mi dispiace».
Poi si voltò e scappò via.
Michele lo seguì con lo sguardo e notò che nei paraggi non c’era più nessuno che avrebbe potuto fermarlo. Chi era caduto si era ormai rialzato ed era fuggito. Coloro che in un primo momento erano rimasti intontiti alla fine si erano destati ed erano scappati, o al massimo si erano rintanati nei negozi circostanti, i cui proprietari avevano poi abbassato le saracinesche. L’intera zona sembrava essere stata evacuata come dopo un allarme bomba.
L’uomo con il passamontagna stava per infilarsi in una stradina perpendicolare al corso, quando riecheggiò uno sparo.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea alla base di Oltre ogni evidenza è quella di ribaltare i canoni del genere giallo. Il caso al centro della vicenda non ha niente di complicato; non c’è bisogno di eccelse menti investigative per risolverlo, tanto è vero che gli inquirenti lo chiudono in pochissimo tempo. E’ solo per puro caso che il protagonista si accorge che c’è qualcosa oltre l’evidenza dei fatti, cominciando un indagine personale che in meno di quarantotto ore lo porterà a rivedere tutte le proprie certezze, fino allo sconvolgente finale.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Oltre ogni evidenza ha richiesto una preliminare fase di ricerca in fatto di armi, procedure investigative e nozioni mediche, al fine di rendere il tutto il più verosimile possibile. Durante la stesura, la sfida maggiore è stata quella di non far cadere mai il ritmo, nemmeno di quel tanto che generalmente si concede agli scrittori, anche a quelli più affermati. E il risultato, come può testimoniare chi lo ha già letto, è notevole. Oltre ogni evidenza ha un ritmo forsennato e non conosce pause. Si legge veramente tutto d’un fiato, dalla prima pagina allo sconvolgente finale, passando per tutti i colpi di scena che ho disseminato quasi in ogni capitolo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Leggo moltissimo e di tutto, quindi ho tantissimi autori di riferimento. Stephen King, Dean Koontz, ma anche Tom Woood, Tom Clancy, Lee Child. Come pure i grandi della letteratura, da Hemingway a Capote a Faulkner. Oltre ogni evidenza, comunque, si ispira molto per stile e contenuto ai romanzi di Tim Weaver.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo e ho sempre vissuto sul Gargano, e qualsiasi altro posto sarebbe di troppo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Oltre ogni evidenza è il mio secondo romanzo (il primo, edito da Bastogi, è stato un indiavolato thriller intitolato Le regole della paura). Al momento sto facendo delle ricerche per un nuovo thriller e spero di continuare a migliorarmi ancora. Scrivere è una delle mie passioni e ci tengo a farlo bene.
Da non perdere! E Scrittore da continuare a seguire!
Un romanzo al fulmicontone. Veloce. Spietato. Perfetto
Senza dubbio un romanzo da leggere!, L’ho letto in pochissimo tempio e mi ha lasciato senza fiato!
Uno dei migliori thriller italiani che abbia letto. Veramente ottimo!
Vincenzo Padovano è sicuramente uno dei migliori autori di thriller italiani. Con Oltre ogni evidenza ci regala un romanzo unico nel panorama italiano di genere. Da leggere. Assolutamente
Romanzo gradevole e veloce. Vincenzo Padovano è una delle nuove penne più promettenti nel panorama thriller italiano.