
Edito da Robin Edizioni nel 2019 • Pagine: 475 • Compra su Amazon
Nel cuore dell’autunno una giovane donna viene assassinata in modo brutale in una via del tranquillo quartiere del Villaggio dei Giornalisti. Moglie innamorata, madre esemplare, lavoratrice stimata e rispettata, non nasconde all’apparenza scheletri nell’armadio. In assenza di testimoni diretti, Zarotti deve scovare un movente plausibile per indirizzare le indagini e individuare almeno un possibile sospetto.
Un compito di solito arduo che si trasforma in un’impresa quasi impossibile quando un serio problema di natura personale interviene a destabilizzare l’equilibrio psicologico del commissario.
Omicidi e questioni di cuore dissonanti rispetto al clima natalizio che pervade ormai una Milano all’uscita dal tunnel della crisi, dove le strade e le vetrine dei negozi sono ormai illuminate a festa in attesa della lieta novella e mentre si compie il rito consumistico per eccellenza.
Per fortuna al suo fianco ci sono il suo magistrato preferito Alessandra Federichi, il vice ispettore Polillo e l’ispettrice Disanzio che contribuiranno con dedizione e determinazione alla soluzione del caso.

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Il telefono cominciò a squillare quando Zarotti, spente tutte le luci, si trovava già sulla porta dell’ufficio. Recriminando sul destino crudele che gli aveva riservato un pomeriggio insulso, nel corso del quale non l’aveva cercato nessuno se non proprio nel momento in cui se ne stava andando, a tentoni si diresse verso la scrivania, cercando di non inciampare nelle poltroncine dell’angolo conversazioni o di non andare a sbattere contro uno spigolo della libreria. Nel tentativo di afferrare la cornetta non poté invece evitare di far cadere il portapenne, trattenendosi poi a stento dal coprire di insulti chi l’aveva chiamato. O se stesso, per non aver pensato di riaccendere almeno la plafoniera, gesto che gli avrebbe richiesto solo un istante, risparmiandogli invece quella pantomima da imbranato.
“Dottore, scusi se la disturbo. Hanno segnalato un omicidio in via Vergani e la questura ha chiesto che ce ne occupiamo noi. Chi vuole che mandi?” Duscio, uno dei primi ad arrivare e tra gli ultimi ad andarsene, avrebbe senz’altro gradito se il commissario gli avesse affidato il delicato incarico del primo sopralluogo sulla scena del crimine. Ma lui non era sicuro che fosse in grado di cogliere anche quelle piccole sfumature, i dettagli che poi si rivelano fondamentali per la soluzione di un caso.
“Chi c’è in ufficio?”
La Disanzio aveva preso un paio di giorni di ferie, Quasimodo e Mongilli non si vedevano da prima dell’ora di pranzo, quando erano usciti per recarsi in un accampamento rom alle porte della città per interrogare alcuni zingari di origine rumena nell’ambito delle indagini relative a un altro delitto accaduto in zona San Siro nel corso di una rapina in un appartamento di un condominio di lusso. Caso delicato in quanto la vittima era il nipote di un politico della destra milanese, il quale non aveva atteso nemmeno un istante per imputare all’amministrazione di sinistra e al suo lassismo nei confronti dell’immigrazione clandestina la responsabilità della recrudescenza degli eventi criminosi in città. Visione disfattista contraddetta dalle statistiche che mostravano come, a parità di popolazione, i delitti fossero in costante declino da una decina d’anni, indipendentemente dal colore politico del sindaco insidiato a Palazzo Marino. Ma, come si sa, le percezioni sono alimentate soprattutto dall’emotività, motivo per cui il questore e il prefetto s’erano raccomandati che del caso si occupassero i più esperti investigatori della omicidi, sotto la sapiente regia di Zarotti.
“…quindi ci sarebbe Polillo, oppure Bonocore e Ardizzone.” e ne pronunciò i cognomi con il tono che avrebbe usato per degli sbarbati alle prime armi che sarebbe stato assurdo mandare allo sbaraglio. Che poi ormai fossero quattro o cinque anni che lavoravano in via Fatebenefratelli contava poco. La crisi, o forse l’atmosfera positiva creatasi all’interno della squadra, avevano di fatto azzerato il naturale turnover, gli ispettori non scalpitavano per fare carriera e chi avrebbe potuto subentrare al loro posto doveva continuare a pazientare, mandando giù rospi.
Una sbirciata alle lancette fosforescenti dell’orologio confermò al commissario che mancavano pochi minuti alle diciannove, ora in cui preferiva concludere la giornata con un aperitivo piuttosto che aprire un nuovo dossier. Ma tant’era. Non aveva un lavoro di quelli con gli orari fissi e, tutto sommato, da quando era diventato lui il capo, riusciva a gestire il proprio tempo piuttosto bene. D’altronde, una volta che i suoi tre figli erano usciti di casa per cominciare a porre le basi della propria vita, s’era liberato dai sensi di colpa di non poter essere un padre presente quanto avrebbe voluto. Il rovescio della medaglia era rappresentato dalla nostalgia per i momenti sempre più rari in cui si ritrovavano tutti insieme.
“Bene, dì a Massimo di prendere un’auto. Lo raggiungo subito giù in cortile.”
Il corridoio era immerso nel silenzio, come sempre a quell’ora. E, spente le luci nella maggior parte degli uffici, le plafoniere diffondevano una luce tenue e malinconica, tono su tono con lo stato d’animo che in quella parte della giornata e in quella stagione lo traghettava alla sera. Percepito spesso come un senso di vuoto, senza speranza, per qualche verso simile forse al sentimento che si prova nei confronti della morte quando se ne percepisce la vicinanza. Ma non ne era certo, essendo raro che gli capitasse di pensare alla fine con la f maiuscola. Piuttosto l’avrebbe definita come la tristezza della fine della festa, del congedo dalle persone care, l’attimo successivo all’apice di un’emozione, come lasciare il corpo di una donna dopo un amplesso. E quando il buio invadeva l’ufficio già intorno alle cinque, il disagio non poteva che acuirsi.
Motivo per cui, mentre osservava le luci della città correre fuori dal finestrino, quasi benedì l’imprevisto che rinviava a più tardi il momento del rientro a casa, quasi sempre vuota, consentendogli di pensare ad altro per almeno un paio d’ore.
“Avrei potuto andare anche da solo, dottore. Magari a casa l’aspettano.”
“Non ti preoccupare, Massimo. Come sai, i ragazzi sono in giro per il mondo a farsi le ossa. Quanto a Martina, da quando ha ottenuto una cattedra, è stata assorbita sempre di più dall’università.” C’erano periodi in cui viaggiava molto, soprattutto per convegni e conferenze. Oppure perché teneva lezioni per qualche settimana una volta in Finlandia, un’altra in Giappone, oppure in Cile. Ma, tra consigli di facoltà, compiti da correggere ed esami da fare, i suoi orari erano divenuti imprevedibili anche quando si trovava a Milano. Come lo erano stati quelli del commissario quando era più giovane.
“Credo sia il segreto per un matrimonio duraturo: vedersi con moderazione. E nel nostro caso, non si può dire che non sia così.”
Polillo annuì senza replicare. D’altronde non aveva una grande esperienza in materia. Le sue avventure duravano il tempo di un amen, rendendo la sua vita sentimentale simile a quella di un pittore che, pur imbrattando decine di tele, non riesce a venire a capo di un solo quadro. Non che la cosa lo preoccupasse, per carità. Anche perché considerava che non fosse ancora giunto il momento di pensare a farsi una famiglia sua. Erano pochi i coetanei sposati o che convivevano, anche a causa della lunga crisi che aveva impedito un po’ a tutti di affrontare il grande passo con le dovute garanzie di un lavoro stabile e di guadagni sufficienti. Peraltro, non s’erano ancora sistemati – come piaceva dire a sua madre – nemmeno quelli con qualche anno più di lui, come
Mongilli, Quasimodo o la stessa Disanzio, alla quale non mancavano certo gli spasimanti. Vivevano tutti da soli, in bugigattoli il cui affitto si portava via la maggior parte dei loro stipendi e ai quali non potevano dedicare che qualche ora alla settimana per tenerli in ordine.
“Fuori ci dev’essere una bella nebbia.” Zarotti ruppe il flusso silenzioso dei suoi pensieri una volta che, giunti in viale Marche, la foschia aveva cominciato a scontornare i profili degli edifici, filtrando le luci dei lampioni e quelle negli appartamenti dove la gente normale cominciava a prepararsi per la cena.
“Comunque non dovremmo essere distanti” e il vice ispettore indicò lo schermo del navigatore della Giulietta blu cobalto di servizio, sul quale una freccia gialla dava la destinazione a meno di due chilometri.
“Così pare, stando alla tecnologia. E per fortuna che c’è lei perché non ho la minima idea di dove si trovi questa via Vergani.”
“Neanch’io. Eppure sono abbastanza pratico della zona.”
“Tu abiti dalle parti di Maciachini, vero?”
“Sì, alle estreme propaggini dell’Isola.”
“Zona di tendenza…” Da quando l’area della stazione Garibaldi aveva cambiato volto, grazie alla fortunata serie di grattacieli che vi avevano realizzato, trasformandola nella Milano più avveniristica, proprio al confine con quella glamour di corso Como, anche l’Isola ne aveva tratto beneficio. Molti vecchi edifici cadenti, qualcuno anche occupato per decenni da abusivi, erano stati abbattuti per fare spazio a nuove costruzioni moderne, dotate di ogni confort, il cui prezzo a metro quadro era giunto a livelli insostenibili per il milanese medio. Ma, nel progetto di bonifica, era compresa anche la realizzazione di qualche area di verde, senza dimenticare la stazione della linea lilla della metropolitana. Molte aziende, anche di quelle operanti nel terziario avanzato, avevano trovato sede lì, contribuendo a loro volta all’apertura di ristoranti, self-service e altri esercizi commerciali in grado di soddisfare le esigenze della nuova clientela. Alla quale, dopo le venti, dava il cambio il popolo della notte. “Come dicevo, io sono proprio sulla zona di confine. Il mio è un quartiere di edifici realizzati negli anni Cinquanta, pochi negozi e bar vecchio stile. Abitato da una fauna variegata ma per niente sexy, se così si può dire.”
All’altezza di piazzale Istria, quando ormai di fronte a loro si parava un muro spesso di nebbia che impediva anche solo di intuire l’orizzonte oltre una decina di metri, Polillo svoltò a destra, mettendo nel gesto delle mani sul volante un po’ del piacere che provava a guidare l’Alfa quasi nuova, una delle vetture migliori a disposizione della squadra. Il semaforo su via Arbe fu l’ultimo punto di riferimento certo. Da lì in poi guidò come un pilota d’aereo, facendosi prendere per mano dalla torre di controllo, rappresentata in quel caso dal navigatore. Quando finalmente l’ispettore fermò l’auto in prossimità di un passo carraio che, secondo lo schermo, si trovava circa a metà della via Vergani, Zarotti aveva ormai perso il numero delle curve a destra e a sinistra che s’erano susseguite una dietro all’altra a causa del dedalo di sensi unici. Per fortuna non avevano incrociato vetture provenienti in senso opposto o dalle eventuali traverse.

Come è nata l’idea di questo libro?
È una delle indagini del commissario Zarotti che trae origine da un fatto di cronaca del tutto rielaborato e ambientato al Villaggio dei Giornalisti, un quartiere di Milano scoperto per motivi di lavoro che mi ha colpito per l’atmosfera che vi regna.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La stesura dei miei libri avviene quasi sempre di getto, nel giro di pochi mesi, compatibilmente con il tempo a disposizione per scrivere, scarso durante la settimana e più generoso nel w.e. Poi ci sono le revisioni che portano sempre qualche ansia in più, ripensamenti e correzioni. In questo caso, tuttavia, non vi sono stati stravolgimenti.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Amo gli autori descrittivi, che ti prendono all’amo con una trama ma poi ti regalano delle atmosfere da vivere, facendoti vedere attraverso i loro occhi luoghi e persone. Simenon e P.D.James tra gli scrittori/trici di gialli e Irene Nemirovsky per la narrativa.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e cresciuto a Milano ma, avendo genitori cremonesi, ho potuto respirare da sempre l’aria della provincia che per molti versi trovo più umana di quella metropolitana. Di entrambe le dimensioni apprezzo tanti aspetti e cerco di prendere il meglio.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Spero nel corso del prossimo anno di pubblicare altre due avventure del mio commissario. Ne ho una decina pronte nel cassetto e si tratterà di decidere a quali dare la precedenza. Ma, ovviamente, l’editore ha l’ultima parola!
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