Edito da Parallelo 45 nel 2019 • Pagine: 453 • Compra su Amazon
Sinossi
Morti apparentemente naturali si rivelano delitti ingegnosamente celati.
Il vicequestore Gabuzzi, appena nominato capo della Squadra Scientifica Investigativa della Questura di Firenze, si dedica a ricostruire il profilo del serial killer.
La chiave è il movente.
Quando viene scoperto e reso pubblico, mentre panico e tensione si diffondono in città, un giovane informatico si costituisce, assumendosi la responsabilità dei delitti noti e di altri, mai prima scoperti.
Tuttavia, Gabuzzi non è convinto: il profilo del reo confesso non corrisponde a quello del misterioso killer.
L’enigma non è risolto e Gabuzzi deve destreggiarsi tra le pressioni dei mass media, il Magistrato che vuol chiudere il caso e altre morti.
L’indagine prosegue così fino alla sorpresa finale.
Intanto, una seconda inchiesta, che pareva di poco spessore, scoperchia un pericoloso complotto, coinvolgendo i rampolli della Firenze bene.
Sullo sfondo, il fascino e il respiro storico della capitale gigliata, tra architettura rinascimentale e moderni intrighi.
Dentro questo quadro di bellezza e inquietudini, si muovono i protagonisti con le loro pulsioni, contraddizioni e sentimenti, in un crogiuolo di emozioni, ora dolci ora stridenti.Presentazione
Un romanzo giallo che valica i confini della letteratura di genere.
Dentro e attraverso la storia si affacciano questioni aperte nella nostra società: la pervasività della tecnologia e la dipendenza dai social, la smania di visibilità, il ruolo dei mass media.
Accanto all’indagine per fermare un serial killer, emerge un’altra ombra nella gioventù bene di Firenze, in un oscuro complotto, forse di dimensione internazionale.
Sullo sfondo la bellezza della capitale rinascimentale, tanto affascinante quanto gravida di misteri e pulsioni.
Nella vicenda vibrano note d’ironia, dalla presenza di un vecchio agente napoletano arguto che, dalle retrovie, conquista l’amicizia della vicecommissaria “pennellona” e l’attenzione del vicequestore, fino alla divagazione cabarettistica con “l’elogio della cipolla”.
In un intermezzo, necessario a rendere la situazione sentimentale del protagonista principale, esplodono pagine di erotismo improvviso, crudo e vibrante: quasi una danza sull’orlo dell’abisso dei sensi.
Infine, l’approdo dell’inchiesta, quando finalmente arriva alla soluzione la caparbia ricerca del movente che anima l’impegno del vicequestore Gabuzzi, il quale ha formazione e vocazione di profiler, una sorpresa farà comprendere come il successo di un intervento (o il suo fallimento) sia spesso effetto di conseguenze laterali. Una conferma della legge di Dunn: “non c’è programmazione che tenga contro una bella botta di culo!”
In sintesi: una narrazione che cerca di toccare sentimento e intelligenza, della fantasia e del mondo reale.
Un giallo è una lettura che distrae. Se la trama offre spunti sulle dinamiche sociali, diventa uno stimolo a interrogarsi sulla vita.I temi
La meravigliosa città di Firenze offre lo sfondo a tutta la narrazione.
Gabuzzi, che è cresciuto a Modena e si è formato in Emilia-Romagna, scopre via via la bellezza della città e il carattere sanguigno dei toscani.
Due misteri si dipanano paralleli: il primo interessa l’inchiesta principale, con delitti ad alto impatto emotivo e collettivo, il secondo affiora sottilmente, ma, come poco a poco emergerà, potrebbe avere effetti subdoli e devastanti.
L’organizzazione della Questura, le dinamiche relazionali e il confronto di personalità attraversano la squadra investigativa e i suoi collaboratori.
L’insoddisfazione esistenziale della PM Minervina Stindello introduce momenti piccanti e domande sul rapporto tra successo professionale e realizzazione esistenziale, tema, quest’ultimo, che ricorre anche nella descrizione della vita di Gabuzzi, del Questore Burnidei, del vicecommissario Domiziana Alleschi e dell’ispettrice Velia Chicchini.
In filigrana, i temi dell’informazione spettacolo e del rapporto tra tecnologia e vita quotidiana si stagliano a innervare il romanzo.I personaggi
Il Commissario Diomede Gabuzzi: appena promosso a vicequestore aggiunto e trasferito alla Questura di Firenze, si troverà subito alle prese con un caso complesso e difficile
Il Questore Ettore Burnidei: Questore a Firenze, investe sull’arrivo di Gabuzzi, costituendo intorno a lui la Squadra Scientifica Investigativa
Fiorenza Puggiani: fidanzata di Gabuzzi, avvocatessa, in crisi di identità
Minervina Stindello: incaricata quale PM nell’inchiesta sui delitti seriali. Giovane, disinvolta, ambiziosa. Bella, spregiudicata, a volte imprevedibile.
Domiziana Alleschi: Entra in servizio come vicecommissario alla Questura di Firenze e, segnalandosi per perspicacia e intelligenza, diverrà la principale collaboratrice di Gabuzzi
Velia Chicchini: Vivace Ispettrice della SSI
Patrizio Marabini: Commissario, sarà inserito come vice nella SSI, ma la sua intesa con Gabuzzi si incrinerà presto
Raffaele Ruggianeri: Agente retrocesso ai servizi sedentari della Polizia. Conosciuto come Cazzodiofà per le arguzie con cui valuta le indagini in dialetto napoletano, intercalando il termine triviale che è diventato il suo nickname
Ludovica Cogi: Giovane stagista, esperta in medicina specialistica e sperimentale, collabora come consulente esterna della SSI. Genio scientifico e chiusura emozionale si intrecciano nella sua spiccata introversione.
Lido Lacellini: Informatico di grande abilità smanioso di protagonismo. Con le sue abilità di hacker si costituirà, dichiarando di essere il killer. Sarà davvero così?
Orfeo Lonticello: giovane e brillante attore di cabaret. Vizioso seduttore, amerà e travolgerà Fiorenza Puggiani con le sue perversioni.
XXX: il misterioso killer, con le sue frustrazioni esistenziali e certo di avere una missione da compiere.
27.
Il Questore non riusciva a nascondere il suo nervosismo.
Agitava le mani, con le dita aperte come a catturare e ricacciare indietro le parole, sempre inadatte a descrivere compiutamente la situazione e il suo pensiero.
Gabuzzi si sentiva friggere sulla poltroncina davanti alla scrivania del gran capo. Tutta la stima che gli aveva finora mostrata sembrava essersi sciolta nel momento della divulgazione della notizia dell’assassinio di Letizia Fachi.
«Hai letto?» Domandò retoricamente il dottor Burnidei, indicando la prima pagina del Corriere fiorentino, sulla quale campeggiava un articolo a quattro colonne sotto il titolo “Chi ha ucciso Letizia Fachi?”, rafforzato dai sottotitoli “La polizia non rivela le modalità dell’omicidio – Confindustria fiorentina perde una leader emergente”.
Gabuzzi piegò il capo di lato e alzò gli occhi al soffitto, esplicitando così di condividere la frustrazione del questore dinanzi allo scatenarsi dei mass media.
«Il nostro riserbo viene presentato come incapacità d’indagine!» Sbottò Burnidei. «Ho ricevuto telefonate da tutte le autorità istituzionali e civili della città. Per buon peso, pure il Sottosegretario agli interni, onorevole Dilavanzo, mi ha sollecitato l’indagine, definendola “azione prioritaria”. Puoi ben capire cosa significa».
Il vicequestore respirò profondamente. Non c’era impiccio peggiore delle pressioni che rischiavano di aprire a mosse imprudenti.
Il killer si era dimostrato, ancora una volta, scaltro e abile, non lasciando alcun segno identificativo. Decise di giocare subito l’unica carta della sua mano.
«Signor Questore, abbiamo la certezza che il delitto sia opera del serial killer che ha già colpito quattro volte. Sappiamo che, nell’ultimo caso, la tossina è stata iniettata e ha agito con maggiore velocità».
Il questore lo fulminò con lo sguardo. Gli veniva riferito un nuovo elemento e la sua sorpresa oscillò tra l’ira di non averlo saputo prima e la spasmodica curiosità sull’evoluzione investigativa.
Come Gabuzzi sperava, la razionalità prevalse.
Il Questore si appoggiò allo schienale della sedia, dritto e attento.
«Come l’avete scoperto?»
«Merito di Lodovica Cogi. Quella giovane stagista si rivela una eccellente risorsa. Lei sospettava anche per gli altri casi che il veleno non fosse stato né ingerito né inalato. Mi spiegò, già dopo le prime analisi dei casi segnalati, che una tossina come quella impiegata non è volatile e non può essere, quindi, assunta per via aerea. L’ingestione l’abbiamo esclusa, esaminando sia lo stomaco che le sostanze inghiottite dalle vittime.
Restava l’iniezione. Sui primi quattro corpi non abbiamo potuto svolgere analisi approfondite. Anche Queromini, la cui autopsia seguì da vicino la morte, non pareva aver subito iniezioni».
«Ma invece?»
Burnidei, riprendendo a gesticolare, sollecitò la spiegazione.
«Caparbia al limite della testardaggine, la Cogi insisteva nella sua convinzione, così, prima di sezionare il corpo della Fachi ne ha analizzato l’epidermide, letteralmente al microscopio.
In tal modo ha individuato un minuscolo foro nel solco intermammario». Fece la precisazione sfogliando gli appunti che si era portato.
«Tra le tette?» Volle una conferma il questore.
«Esatto» rispose Gabuzzi. Seguitò a guardare la pagina con le annotazioni a matita. «Un foro praticato con l’ago dal più piccolo diametro possibile: 0,26 mm. Con esso la rimarginazione è quasi immediata e la visibilità dalla conseguente cicatrice percepibile soltanto in via strumentale. Secondo la Cogi è probabile che anche le precedenti vittime siano state uccise allo stesso modo, ma con infusioni praticate lontane da centri vitali, circostanza che ha ritardato, ma non impedito, l’effetto delle tossine».
Il questore si alzò dalla sua poltroncina dirigenziale. Venne vicino a Gabuzzi e, poggiandogli una mano sulla spalla, con l’altra lo invitò a seguirlo nello spazio arredato a salottino del suo grande studio.
Diomede intuì di dover sospendere l’esposizione per consentire al comandante di elaborare le informazioni. Burnidei era arrivato in alto grazie a non comuni doti di intelligenza e sintesi. Ritenne doveroso rispettare i suoi tempi.
Seduto dinanzi al vicequestore e ritrovata padronanza e misura dei movimenti e della respirazione, il questore osservò: «Ciò vuol dire che ora conosciamo il modus operandi del
killer».
Gabuzzi, dalla poltroncina di fronte, assentì ed estese l’ipotesi.
«La signora Fachi è stata personalmente aggredita e avvelenata dall’assassino. Come dichiara la figlia e come risulta dalla telefonata al 113, la vittima denunciava di essere stata assalita.
Verosimilmente il soggetto ignoto l’ha presa alle spalle, anestetizzata, gettata in auto e poi le ha praticato l’iniezione letale.
Nel tentativo di far apparire naturali le cause del decesso ha ricomposto la vittima prima di fuggire».
«Abbiamo trovato tracce dell’assassino sul luogo del delitto?»
Il questore venne a uno dei punti che gli premevano, interrompendo il resoconto.
Gabuzzi scosse il capo.
«Nessuna. Il killer si conferma attento e coscienzioso. Non ci sono segni di effrazioni, eventuali orme sono mascherate dal fondo ghiaioso del cortile, nella casa e nell’auto non sono state rilevate impronte diverse da quelle della Fachi e del suo amante».
«Del suo giovane amante!» Ironizzò Burnidei. Ma subito tornò serio e preoccupato. «Mi raccomando, dell’esistenza del toy boy non si deve far parola. Ci manca solo il pepe dello scandalo nelle cronache che ci stanno sommergendo!»
«Lo so bene» lo rassicurò il vicequestore. «Deciderà lei cosa far trapelare alla stampa». Volendo l’approvazione per le prossime mosse, aggiunse: «Se permette, vorrei completare il quadro delle nostre deduzioni».
«Procedi, Gabuzzi».
Il Questore lo gelò con un’occhiata di fastidio, il rimprovero per il sospetto che la sua attenzione non fosse centrata sul cuore delle indagini.
«Si può supporre che nei casi precedenti l’ultimo non vi sia stato contatto fisico tra il killer e i suoi bersagli. La ricostruzione dei loro movimenti lo conferma. Se il soggetto ignoto ha mutato strategia, dovremmo dedurne che la Fachi teneva comportamenti che la tutelavano rispetto agli altri e, altrettanto, che il killer ha accettato maggiori rischi perché la Fachi costituiva una preda per lui importante e non rinunciabile».
«Cosa ne consegue?»
Il questore stringeva il vicequestore per averne indicazioni meno generiche.
Gabuzzi non si fece pregare e arrivò al passaggio più delicato.
«Ora ci dedicheremo a studiare la vita della Fachi, cercando di individuare il movente dell’assassinio e, per questa via, risalire al killer».
Burnidei sollevò gli occhi, fissandoli un attimo verso il soffitto.
Poi li portò alla finestra affacciata sul cortile interno. Lì non si godeva di alcuna delle bellezze della skyline cittadina.
«Con discrezione!» Suggerì. «A noi è necessario scavare e i potenti hanno sempre qualcosa da nascondere. Non tormentare il suo entourage, fatto di tipetti permalosi».
«Certo, signor Questore». Gabuzzi sapeva di doversi muovere su terreno minato, ogni minimo errore d’approccio rischiava di compromettere la prosecuzione dell’indagine.
«Saremo discreti e non lasceremo filtrare notizie su quanto scopriremo».
Il Questore corrugò la fronte. La sua mente macinava i dati nel frullino dell’esperienza.
«Dalla prima informativa, ben pochi erano a conoscenza della villa nella quale è avvenuto l’omicidio» osservò.
«Vero» Gabuzzi convenne ed elencò: «Dell’acquisto e ristrutturazione della villa erano al corrente la figlia, il vecchio padre, il notaio che stipulò gli atti, il venditore e forse qualche dirigente confindustriale. Oltre, naturalmente a Gabrio Calini, l’amante. Il venditore risulta essere all’estero, il padre è affetto da alzheimer, il notaio è vincolato dalla riservatezza professionale. Restano la figlia e i colleghi come possibili fonti dell’assassino».
«Aspetta!» Burnidei lo puntò con l’indice della mano sinistra.
Poi formulò la sua valutazione. «Il killer si palesa metodico.
Le sue azioni debbono essere scrupolosamente programmate.
Si può dedurne che egli le faccia precedere da un periodo di osservazione dei suoi obiettivi. Avete verificato eventuali presenze intorno alle vittime? Potrebbe essere un buon filone di indagine».
Gabuzzi ammirò la capacità del questore nel definire il profilo del soggetto ignoto. Anche lui era giunto alle medesime conclusioni.
«Concordo. Per i precedenti non siamo riusciti a trovare nulla. A maggior ragione dedicarci alle frequentazioni, alle abitudini, al carattere della Fachi sembra più utile: una persona insieme mondana e professionale, con una vita per la maggior parte dedicata al lavoro e che coltivava una relazione clandestina. Dovremmo riuscire a cogliere attenzioni anomale sul suo percorso. In sintesi: lavorare sul movente e su contatti e sorveglianza».
«Siamo lontani dal traguardo, ma almeno c’è una strada» sospirò il questore.
«Una strada nella nebbia!» Lo deluse Gabuzzi, che non intendeva farsi strappare promesse di risultati a breve.
«Sentirai la figlia?» Chiese ancora Burnidei.
«Ovviamente si» ammise il vicequestore. «Sarò gentile e delicato, stia certo. Mi pare una serpe, ma voglio capire se sa più di quel che dice e se aveva informato il marito della relazione della madre. Nel loro mondo affetti, vizi e piaceri si intrecciano spesso con tresche a fini patrimoniali».
«Per ora abbiamo l’intervento del suo avvocato di famiglia, che ha chiesto direttamente a me di mantenere riservatezza sulla vita della madre defunta e di tenerlo informato sugli sviluppi dell’indagine. Sfrontato quanto potente!»
«Capisco» Gabuzzi completò la relazione. «L’amante non è sospettabile. Quando ha ricevuto la notizia della morte della Fachi si è presentato spontaneamente in questura ed ha rivelato tutto: della villa, della loro relazione, della ricorrenza degli appuntamenti settimanali. Dopo aver lasciato Villa Spadina aveva raggiunto gli amici in un locale del centro di Firenze.
La sua versione regge: non ha alcun ruolo nel delitto».
«Salvo indicarci la regolarità dei rendez vous erotici. Un particolare che ha consentito la pianificazione dell’assassinio» osservò il questore.
«Torniamo all’ipotesi di pedinamento sistematico a precedere l’azione» ribadì il vicequestore.
«Conto di essere costantemente informato».
Burnidei si alzò brusco e, porgendogli la mano, congedò il vicequestore.
«Sarà mia premura!»
Gabuzzi salutò, stringendogli la mano. La formula rituale si riempì della rinnovata fiducia che il capo gli aveva manifestato.
La corsa nei fumi della bruma continuava.
(…)
Come è nata l’idea di questo libro?
Il protagonista delle mie storie poliziesche è Diomede Gabuzzi. Volevo impegnarlo in un’indagine sullo sfondo meraviglioso di Firenze, la città in cui storia, bellezza e cultura avvolgono i visitatori da ogni angolo. Così l’ho promosso vicequestore e fatto trasferire nella capitale rinascimentale, dove, del resto, sta la sua fidanzata storica. Mia moglie mi ha ispirato il movente che poteva scatenare la furia di un killer seriale. Avevo gli ingredienti per tessere la trama. Sviluppandoli, altri temi e personaggi sono emersi dalla fantasia, ravvivando la storia.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Lo scrissi di getto. Mi sentii proiettato all’interno della vicenda, me ne appassionai. La rifinitura venne dopo un breve periodo di distacco dal testo. Quando, infine, trovai l’editore per la pubblicazione, l’editing fu leggero. La trama, sebbene complessa, manteneva una piena coerenza e la forma fu riconosciuta dinamica e coinvolgente. Faticammo un pochino a trovare un titolo adatto. L’onda del movente vale a sottolineare la centralità del movente, mentre il riferimento all’onda è più impalpabile e sarà comprensibile soltanto alla fine.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Mi è difficile indicarli. La mia formazione non è letteraria e, anche per le attività che svolsi, dedicai la maggior parte delle mie letture alla saggistica. Per questo amo i libri che uniscono divulgazione e romance, fiction e approfondimento culturale, fascino e riferimenti sociali. Adoro Roberto Calasso. Tra i giallisti prediligo Gianrico Carofiglio, ma leggo volentieri anche Barbara Baraldi e, in precedenza, Giorgio Faletti. Non disdegno i gialli scandinavi. In questa varietà non saprei dire se il mio stile e i miei temi siano influenzati da qualche autore in particolare. Se fosse così, accadrebbe senza che io ne sia consapevole.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ora vivo a Viareggio. Godo della splendida posizione sul mare, con le Apuane alle spalle. Fino al pensionamento, raggiunto nel 2017, vissi a Torino, dove nacqui. Torino è una città bella e in declino, che lasciai per liberarmi dall’inquinamento e dalla frenesia metropolitana. L’amore per il mare, che mia moglie mi insegnò, ha determinato la scelta della nuova residenza.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Voglio sviluppare il personaggio di Diomede Gabuzzi. Ho già scritto altri tre romanzi sulle sue indagini, cronologicamente successivi a L’onda del movente. Il primo tra essi è ambientato a Viareggio e è già contrattualizzato per un’imminente pubblicazione. Quelli successivi attendono il loro turno. Continuo a scrivere. Ora sono impegnato a tratteggiare un’inchiesta a Torino ai tempi della pandemia. Sul mio sito web Giorgioperuzionarra.it sono pubblicati romanzi e racconti che possono essere scaricati gratuitamente. La mia vena letteraria è assai prolifica e la scrittura è un esercizio che mi aiuta a fare i conti con la mia interiorità e a viaggiare con la fantasia, non per allontanarmi dalla realtà, ma per proporne chiavi di interpretazione. Come il personaggio di una mia saga fantasy giovanile, ripubblicato di recente, trovo sempre due domande per ogni risposta.
Romanzo appassionante, che tiene incollati alla lettura. Il finale è sorprendente. I personaggi sono davvero interessanti, caratterizzati anche con note di piacevole ironia. Si legge tutto d’un fiato!