
Edito da Donata Scannavini nel 2019 • Pagine: 186 • Compra su Amazon
Una fredda mattina di dicembre, nella trafficata via Valtellina, a Milano, un uomo viene ritrovato barbaramente assassinato. L’assassino ha infierito su di lui con 15 coltellate lasciandolo in un lago di sangue. Viene chiamato a indagare l’esperto commissario della Sezione Omicidi, Ernesto Brambilla, in forza alla polizia di Milano. Brambilla proviene dalla tranquilla Clusone, in Val Seriana, e non si è ancora abituato al trasferimento nella caotica metropoli milanese. L’indagine porta il commissario a ricostruire la vita del morto: si tratta di Aldo Caprotti, imprenditore nel campo dei trasporti.
Forse è un banale caso di rapina finito male? Tutto sembra far convergere su quell’ipotesi che però viene definitivamente scartata, in seguito ad altri due omicidi altrettanto efferati. Cosa accomuna le vittime? Qualcosa del loro passato che si pensava definitivamente sepolto? Brambilla non ha scelta, deve ricostruire fatti molto lontani nel tempo se vuole fermare quella scia di sangue che sembra inarrestabile.

1
UN OMICIDIO IN VIA VALTELLINA
Si aprì di colpo la porta dell’ufficio del commissario Ernesto Brambilla, il quale era seduto alla sua scrivania e stava tentando di riepilogare i dati relativi a un’indagine su un grosso giro di stupefacenti, che seguiva da tempo. Entrò come un fulmine la poliziotta Silvana Orlando, che, malgrado tutti gli anni di servizio nell’Arma, non riusciva a non farsi turbare da certe notizie, e disse: “Commissario, hanno appena telefonato! È stato trovato un cadavere vicino alla Dogana di via Valtellina.”
“Un altro?” esclamò Brambilla, alzando lo sguardo dalle sue carte e fissando il vuoto. Il povero Ernesto infatti non si era ancora abituato alla realtà milanese, frenetica e cruenta; sognava di tornare a lavorare nella sua Clusone, tranquilla cittadina della Val Seriana, dove era nato, cresciuto e aveva diretto il Commissariato di Polizia fino a un anno prima.
La risoluzione positiva e abbastanza veloce di un intricato caso di rapimento, per la verità l’unico episodio veramente serio di tutta la sua carriera, gli era valsa la promozione a capo del Commissariato di via Fatebenefratelli a Milano, posizione che in quel momento era vacante.
In realtà, per lui quella, più che promozione, era stata una condanna: avrebbe fatto carte false per rimanere dov’era ma, si sa che ai capi non si può dire di no. Così, sia pur a denti stretti, aveva dovuto accettare quel trasferimento e da più di sei mesi faceva la spola tra Clusone e Milano e viceversa, visto che lui e la moglie non avevano neanche lontanamente preso in considerazione l’idea di trasferire la famiglia nella metropoli.
“Ok, Silvana, vado. Ti hanno detto qualcosa? Chi ha chiamato?”
“La persona che ha chiamato ha voluto rimanere anonima. Ha solo detto che c’è un uomo morto, appunto, nei pressi della Dogana.”
“Va bene, appena arriva, mandami l’ispettore Filippo e avverti subito Cassola.”
“Comandi, commissario” rispose Silvana.
Era una fredda e nebbiosa mattina di dicembre, da poco erano passate le otto, l’ora di punta per i milanesi; il traffico era caotico ed Ernesto fu costretto a usare la sirena per riuscire ad arrivare in pochi minuti sul luogo del ritrovamento.
Si era già formato un notevole capannello di persone che il commissario faticò ad allontanare dal cadavere. Il morto era prono, in un’enorme pozza di sangue; Ernesto cercò per prima cosa i documenti per identificare l’uomo, che però non trovò.
Mancavano ovviamente all’appello anche il portafoglio e il cellulare della vittima.
Una banale rapina finita male? Si chiese il commissario mentre veniva raggiunto dal medico legale, Fabio Cassola.
“Cosa abbiamo stavolta?” domandò Cassola al commissario.
I due avevano avuto modo di collaborare già varie volte durante quel primo anno di attività meneghina di Brambilla e si stavano reciprocamente e cordialmente sulle scatole. Per la verità, era più Brambilla che mal sopportava l’eccentricità e l’atteggiamento da prima donna di Cassola, il quale d’altra parte non faceva nulla per celare i propri sentimenti di superiorità nei confronti di Ernesto. Uomo sulla cinquantina, di bella presenza, ormai avvezzo a muoversi sulle scene dei delitti e a comunicare coi giornalisti, esibendo ogni volta la propria esperienza e competenza, più volte aveva ironizzato sugli atteggiamenti del nuovo commissario del Fatebenefratelli, che rifuggiva da ogni personalismo e si concentrava sugli aspetti pratici delle vicende sulle quali era chiamato a indagare.
“Non sappiamo chi sia, sono spariti documenti, portafoglio e cellulare.”
Con la massima cautela girarono il cadavere, non ancora in rigor mortis. Era un bell’uomo, alto, ben curato, coi capelli biondi, tra i quali incominciava a intravvedersi qualche filo bianco. Il viso tradiva il dolore atroce che doveva aver provato negli istanti prima della morte.
“Mi sembra abbastanza giovane” osservò Ernesto.
“Sì,” intervenne Fabio. “Non avrà più di quarant’anni, sai, io ne ho visti…”
“Lo so” sbuffò Ernesto. “Comunque, a giudicare da come è vestito, questo non era un barbone!”
L’uomo infatti indossava un vestito di lana pettinata grigio, con i pantaloni a tubo all’ultima moda, e un giaccone di pelle imbottito.
“Già! Magari proprio per questo lo hanno rapinato, però… Mi sembrano un po’ troppe le coltellate inferte.” Difatti Cassola, da un primo e veloce esame del cadavere si era già reso conto che la vittima doveva essere stata colpita da parecchie coltellate, almeno dieci o quindici.
“Un accanimento che farebbe pensare alla premeditazione e a un legame personale, forse d’odio dell’assassino nei confronti della vittima” considerò Brambilla.
“Sì, ma non è detto. Comunque avremo dati più precisi dopo l’autopsia. In ogni caso, è morto da un’ora al massimo, anche meno, non c’è ancora rigidità.”
Mentre stava ancora parlando col medico legale, Brambilla notò poco distante dal cadavere un fazzoletto rosso; certamente gli uomini della Scientifica lo avrebbero repertato e analizzato. Chissà perché, forse per il colore stesso, attirò l’attenzione del commissario.
Nel frattempo, erano arrivati anche Filippo e gli uomini della Scientifica che procedettero alle opportune rilevazioni. Tutto portava a supporre che la vittima fosse stata aggredita da dietro, cadendo senza opporre alcuna resistenza.
Se tutta la faccenda era avvolta nella nebbia – e non solo metaforicamente – visto che solo alle nove la fitta foschia che avvolgeva Milano sembrava voler lasciare posto a uno sprazzo di sole, una cosa appariva pressoché certa: la vittima era stata uccisa sul posto, non c’erano segni di trascinamento e nulla che facesse pensare a una colluttazione tra questa e il suo assassino. Il cadavere fu dunque caricato in ambulanza e trasportato all’Obitorio Civico, dove Cassola il giorno dopo avrebbe effettuato l’autopsia.
Rientrato in caserma, Brambilla mise subito al lavoro il suo archivista, il poliziotto Nicolò Giglia, nella remota speranza che il morto fosse stato in precedenza schedato. Nicolò era nato per quel lavoro. Paziente, meticoloso ma al tempo stesso veloce, era una garanzia per tutto il Commissariato; se qualcuno era stato schedato dalla polizia, non sarebbe sfuggito ai suoi controlli.
Purtroppo, quella volta le sue ricerche si rivelarono infruttuose; benché, con l’uso di appositi software, avesse provato a ringiovanire di parecchio il volto della vittima, ipotizzando dunque che l’uomo avesse avuto a che fare con la giustizia anni prima, non era giunto a nulla. Non una fotografia che potesse anche lontanamente venir collegata all’uomo trovato accoltellato quella mattina.
2
LA SCOMPARSA DI ALDO CAPROTTI
“Ciao Barbara, hai visto mio marito?” chiese Lisa alla segretaria del coniuge. “Come sempre ha il cellulare spento; gli avevo detto di farmi sapere se oggi pomeriggio può andare lui a prendere i bambini a scuola, visto che io avrei delle commissioni da fare e dovrei organizzarmi…”
Il tono di Lisa era abbastanza polemico, non certo nei confronti di Barbara ma verso il marito, spesso alquanto inaffidabile per quanto riguardava la gestione del ménage familiare. Titolare di una piccola ditta di trasporti, Aldo Caprotti amava alla follia la propria famiglia ma, una volta uscito di casa e travolto dai mille problemi di lavoro, spesso dimenticava gli impegni presi fra le mura domestiche e già gli era capitato di venire chiamato dalle maestre dei suoi due figli perché non era andato a prenderli a scuola.
Per questo Lisa lo marcava stretto, specialmente quando, come quel giorno, avrebbe dovuto andare lui a prendere i bambini. Infatti, prima che Aldo uscisse quella mattina, la moglie gli aveva detto: “Mi raccomando, oggi pomeriggio io ho la visita dal medico, quindi fammi sapere se puoi andare a prendere Benedetta e Cristian; in caso contrario, chiederò a mia mamma o alla tua se possono pensarci loro.”
“Certo, amore” le aveva assicurato il marito che però non l’aveva più chiamata. Erano le undici e trenta e Lisa si stava alquanto innervosendo.
“No Lisa, non l’ho né visto né sentito, comunque a minuti dovrebbe arrivare, visto che alle dodici ha un appuntamento importante qui con dei clienti e non mi ha comunicato nulla di diverso in proposito. Appena arriva, ti faccio chiamare” rispose la segretaria.
“Grazie, va be’ che le nonne sono sempre disponibili – Dio le benedica – ma un minimo di preavviso, no!?”
“Certo, hai ragione. Comunque, ti ripeto, a minuti dovrebbe essere qui.”
Aldo era spesso in giro per lavoro. Si recava da clienti, fornitori, in uffici vari e il fatto che non comunicasse né alla moglie né alla segretaria quali fossero esattamente i suoi spostamenti non era una novità, tale da destare preoccupazione. La situazione divenne però alquanto imbarazzante per Barbara verso le tredici, un’ora dopo l’arrivo di nuovi clienti, venuti direttamente da Pesaro per discutere un possibile contratto per il trasporto della loro merce in tutta l’Italia centrosettentrionale. Erano i proprietari del mobilificio Manenti della cittadina marchigiana, negli anni avevano ampliato il proprio giro d’affari soprattutto verso l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Piemonte e ora avevano l’esigenza di trovare un buon autotrasportatore che assicurasse loro consegne celeri e fidate. Per il piccolo imprenditore Caprotti era certamente un’opportunità interessante e per nulla al mondo avrebbe disertato l’appuntamento con questi probabili nuovi clienti.
Di questo era consapevole Barbara che, dopo aver offerto loro caffè, pasticcini e tutto il possibile e aver inventato alquanto improbabili scuse, non sapeva più cosa dire e fare e stava iniziando a preoccuparsi. Il suo capo era completamente irreperibile, le sue tracce si erano perse alle sette e trenta di quella mattina, quando era uscito dalla sua abitazione di via Carlo Imbonati, per recarsi, secondo quanto aveva detto lui stesso alla moglie, direttamente al lavoro, negli uffici di un palazzo di Porta Nuova.
Per la verità, già due ore prima era giunta la notizia del ritrovamento di un cadavere nei pressi della Dogana, anche perché quell’avvenimento aveva letteralmente paralizzato il già caotico traffico di Milano, ritardando arrivi sul posto di lavoro, appuntamenti, ecc. Barbara però non aveva avuto il tempo di andare su Internet ad approfondire la notizia e ora, con i pesaresi in sala riunioni in attesa di Caprotti, non aveva certo in mente quel fatto, per quanto tragico fosse.
Anche Lisa aveva sentito dei vicini di casa parlare di qualcosa di grave avvenuto praticamente vicinissimo a casa sua ma era troppo furente col marito e impegnata, come sempre del resto, a risolvere da sola i problemi del pomeriggio – anche le due nonne le avevano dato buca – per prestare attenzione a quella notizia.
Quando però, risolti i suoi problemi grazie a un’amica, accese la televisione, proprio nel momento in cui andava in onda il servizio del Tg3 regionale sull’assassinio della mattina, notò con sgomento le scarpe e i pantaloni della vittima che sbucavano dal telo. Li riconobbe e lanciò un urlo che squarciò il silenzio del suo appartamento.

Come è nata l’idea di questo libro?
“Paura a Milano” è il mio secondo giallo avente come protagonista il commissario Ernesto Brambilla che, originario di Clusone, un paesino della Val Seriana, dove ha sempre vissuto e lavorato, si trova ora catapultato nella frenetica e a lui ostile realtà milanese. Il giallo è dunque nato come proseguo del primo romanzo “Una vacanza pericolosa”, dove Brambilla è alle prese con un intricato caso di rapimento avvenuto in un campeggio della valle. La risoluzione brillante di detto caso varrà al commissario la “promozione” a capo del Commissariato Fatebenefratelli di Milano, dove dovrà affrontare una serie di omicidi apparentemente inspiegabili.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La stesura del romanzo ha richiesto tempo e cura, perché ho voluto creare una trama abbastanza intricata che rendesse appassionante la lettura e nello stesso tempo fosse verosimile. Ho voluto anche inserire vicende private del commissario proprio per arricchire il racconto. Essendo un giallo la difficoltà maggiore è stata far in modo che tutto combaciasse alla perfezione, pur non essendo nulla banale e scontato.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Come autori mi sono ispirata a Fabrizio Carcano, i cui gialli sono ambientati a Milano e Donato Carrisi. Amo comunque molto la lettura per cui conosco tantissimi autori che senza dubbio, anche indirettamente, mi hanno ispirata e aiutata nella stesura del romanzo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto a Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto già pensando a nuove avventure per il commissario Brambilla.