Edito da Kimerik nel giugno 2018 • Pagine: 226 • Compra su Amazon
Questo libro, a differenza dei precedenti, non ha una prefazione, perché questa è l’ultima avventura di Leo Blasi; tutte le storie, che siano più o meno esaltanti o più o meno coinvolgenti, hanno un inizio e una fine. Il personaggio letterario Leo Blasi è nato cinque anni fa: per me, che non avevo mai scritto gialli, doveva essere un esperimento e avere la durata di una meteora. In realtà poi, voi amici lettori lo avete adottato. Qualcuno lo ha amato alla follia, qualcun altro l’ha odiato, ma ogni volta che ho dichiarato che il romanzo in corso sarebbe stato l’ultimo, voi mi avete sommerso di mail, dicendomi che “Misery non doveva morire”. E così Leo Blasi si è trasformato, per cinque romanzi, da meteora a personaggio costante del nostro piccolo universo letterario. Grazie a voi, alla fine ho amato anch’io questo mio scorbutico avatar letterario, gli ho camminato accanto per quattro anni e, in conclusione, non so bene se gli ultimi romanzi li abbia scritti lui o io. In questa sua ultima avventura, Leo cerca di uscire dalla sindrome di Peter Pan e comincia a fare i conti con se stesso, con l’età, con i suoi errori e con le occasioni mancate. È un Blasi finalmente maturo, ma mai rassegnato. Il killer che si troverà ad affrontare è il più feroce e difficile da comprendere tra tutti quelli con cui ha avuto a che fare nella sua carriera. La lunga caccia, che fino alla fine sembra avere l’odore di una sconfitta, lo costringerà a rivedere i rapporti con le persone che ama e che, loro malgrado, si troveranno al centro di una guerra psicologica spietata e senza esclusione di colpi. Io e Leo ci dividiamo qui. Lui finalmente si godrà la sua pensione e io scriverò d’altro. Grazie Leo e grazie amici lettori, siete stati eccellenti compagni di viaggio.
Il bip crescente lo fece sobbalzare. Guardò il display a diodi verdi della sveglia che segnava le 6:00; perché si ostinasse a regolare la sveglia a quell’ora, dato che non era più in servizio e non avesse nulla da fare, era un mistero.
Leo Blasi scese dal letto e con la punta dei piedi cercò le ciabatte, ma evidentemente quel fetente di Ugo, il cane di Enrica, le aveva portate chissà dove, quindi si avviò scalzo verso il bagno. Dalla camera da letto adiacente sentiva il respiro regolare della sua compagna; Leo russava come un facocero e per quieto vivere avevano deciso di dormire in due stanze diverse, tranne quando la voglia risvegliava i sensi e in quel caso facevano tutto fuorché dormire, quindi non c’era il fastidio del respiro pesante di Leo. Dopo un’ora Enrica si sarebbe svegliata, avrebbe bevuto di corsa la centrifuga e il caffè che nel frattempo Leo le aveva preparato e, affannata come una mezzofondista, avrebbe raggiunto di corsa la sede del giornale in cui lavorava come capo redattore.
Leo raggiunse il bagno con una bestemmia, perché calpestò a piedi nudi l’osso di plastica di Ugo; adorava quel cane per la proprietà transitiva dell’amore che nutriva per la sua padrona, ma, prima o poi, seppur con le lacrime agli occhi, lo avrebbe strozzato, o almeno così immaginava nei suoi sogni migliori.
Prima di insaponarsi il viso per farsi la barba, si guardò per qualche secondo allo specchio. Il grigio alle tempie e qualche nuova ruga intorno agli occhi erano la prova che i suoi sessantasei anni cominciavano a mostrare qualche segno evidente. Per il resto si sentiva ancora in forma, ma la noia della pensione lo stava uccidendo. Era passato quasi un anno dall’ultimo caso che, seppur da commissario in pensione, aveva seguito. Il caso dei suicidi a Milano era stato un caso complesso e lui e il suo collega milanese Ubaldo De Rosso avevano formato un’ottima squadra e solo il successo finale con l’individuazione del serial killer e dei mandanti avevano evitato a Leo una seria reprimenda da parte della Magistratura e della Direzione di Polizia. Lui, in qualità di pensionato, non avrebbe potuto partecipare alle indagini. Comunque per qualche mese si era di nuovo sentito vivo, aveva di nuovo provato quella sensazione di super eccitazione che dà l’adrenalina; poi, alla fine, si era ritrovato a navigare nella calma piatta della vita da pensionato. La sua compagna, Enrica Lenzi, di tredici anni più giovane di lui, ancora svolgeva con successo il suo lavoro di capo redattore in uno dei principali giornali di Roma e mentre lei era più che felice che Leo non avesse più a che fare con feroci serial killer o con i maniaci omicidi che erano la sua specialità, di contro Leo si sentiva ingabbiato dal ripetersi dei giorni da pensionato, tutti uguali come i chicchi di un melograno.
Forse doveva decidersi a sposare Enrica e provare ad adottare un figlio come voleva la sua compagna; ma avere due matrimoni falliti alle spalle e una figlia che già gli aveva dato un nipotino, gli imponevano prudenza, senza contare che anche Enrica era stata sposata e aveva due figli ormai grandi; forse era terrorizzato dal matrimonio, visti i suoi precedenti. E poi che bisogno c’era di sposarsi? Lui ed Enrica stavano bene così, o almeno lui stava bene così. Anche il fatto di adottare un bambino, a parte l’età avanzata, lo gettava nel panico. Ora lui e sua figlia Elena avevano un ottimo rapporto, soprattutto da quando la ragazza si era sposata ed era riuscita a liberarsi della madre Ingrid, seconda moglie di Leo, una donna che lui considerava spregevole. Ricordava ancora con terrore quanto era stata difficile l’adolescenza di Elena, sballottata da un genitore all’altro come un pacco postale e quando la ragazza, con la speranza di raggiungere un poco di stabilità e anche a causa dell’impegnativo lavoro del padre, aveva deciso di andare a vivere stabilmente con la madre, che si dimostrò inadatta come madre nella stessa misura in cui si era dimostrata inadatta come moglie, per Leo iniziò un periodo terribile. Il rapporto con Elena si deteriorò al punto che non si parlarono per quasi due anni. La ragazza, ormai senza nessun punto di riferimento genitoriale, si circondò di pessime compagnie e iniziò una vita dissennata, fino a quando conobbe il suo attuale compagno che riuscì, grazie all’interessamento e alle indagini di Leo, a evitare una pesante condanna per bancarotta, situazione in cui alcuni soci disonesti lo avevano coinvolto. Questo episodio fece riavvicinare Elena al padre e piano piano, con fatica, si ricostruì un eccellente rapporto, suggellato dalla nascita di Leonardo Junior, il nipote per cui Leo andava pazzo.
Quindi forse, anche se per Enrica era un disagio costante, l’ennesimo matrimonio non sarebbe stata una buona idea.
Poi c’era un grosso rammarico che aggravava l’insoddisfazione di Leo: il fatto che il suo rapporto con Stella Rossa, l’affascinante anarchica grazie alla quale lui e De Rosso avevano risolto il caso dei suicidi milanesi, era definitivamente chiuso. Spesso ricordava con una malinconia lancinante la follia con cui lui e Stella decisero di fuggire dalla pazza folla e passare quindici giorni nella magia dell’India.
Giorni di sesso e di passione vera, in cui il tempo parve fermarsi per entrambi; ma la felicità non dura mai a lungo e quella vacanza passò veloce come un battito d’ali e la vita li catapultò di nuovo nel routinario scorrere della loro quotidianità.
Decisero di non incontrarsi più e che la loro storia, proprio perché meravigliosa, sarebbe stata, anzi avrebbe dovuto essere, irripetibile.
Lascia un commento