
Edito da Ventura Edizioni nel 2021 • Pagine: 373 • Compra su Amazon
Perdersi è composto di tre racconti dove l'autrice non esita nel sondare a fondo l'animo umano, alla ricerca di ciò che cova, scoprendo spesso un interiore sofferente davanti alla complessità della vita, essendo perlopiù in contrasto con il modello sociale prevalente, con il fare comune avvalorato da una società arcaica mentalmente e malata nei suoi fondamenti, antitetico alla morale che abbrutisce la coscienza. In quel contesto difficile dove tutto ruota intorno alla convenienza, all'indifferenza, all'ipocrisia e dove la compassione e l'amore incondizionato non sono delle finalità, l'individuo perde facilmente i suoi punti di riferimento e anche l'equilibrio necessario per orientare le proprie scelte.

Mi sarei sdraiata ben volentieri sui ciottoli caldi, cullata dai dolci e rasserenanti cinguettii degli uccellini che svolazzavano sopra di noi. Da una giornata piena di sole rimediata per forza o per caso, seduta sulla riva di uno strano ma tranquillo lago, mi sarei aspettata solo pace. Invece lei sembrava che aspettasse me per blaterare. E così, poco dopo, già rinvigorita, ricominciò con la sua solita tiritera. Pareva che non avesse altro da fare che favellarmi e stuzzicarmi. Nemmeno la posizione scomoda sembrava attecchire su di lei, e pertanto i ciottoli la dovevano infastidire, quanto me d’altronde! No, lei era lì seduta, sempre ben composta, nella posizione dell’inizio, come fosse inchiodata a quel posto, senza lamentare intorpidimento e senza mostrare nervosismo, con lo sguardo fisso sul lago, salvo quelle poche volte che lo dirottava su di me all’improvviso, come a volermi vincere.
Mi spiazzava il suo sconcertante spirito di sopportazione, quando io, invece, ero in preda a smanie. Mi muovevo in continuazione, sempre in cerca di una nuova posizione per alleviarmi il punzecchio dei sassi sotto le cosce, come dei crampi e dei formicolii che, a volte, mi trituravano i muscoli delle gambe. Invidiavo la sua resistenza fuori dal normale.
Non c’era più dialogo tra noi; ero condannata ad ascoltarla senza nicchiare.
«A lavorare in quelle banche occorreva una buona dose di coraggio e di pazienza, perché, oltre a sgobbare sodo e a sop¬portare i malumori di capi e capetti, toccava anche pararsi dai colpi bassi dei colleghi. I superiori, quasi tutti autoctoni, si compiacevano ad affossare lo zelo di noi immigrati; ogni volta che non capivamo il loro astruso dialetto, ci deridevano con strafottenza, senza riuscire tuttavia a intimorirci. Loro ci indispettivano, sì, e parecchio, ma qualche volta trovavamo anche il coraggio di rispedire al mittente qualche offesa di troppo! Però, non sempre, figuriamoci!», disse quasi allegra e compiaciuta.
Improvvisamente scoppiò a ridere, così di gusto da contagiarmi, anche se non ne capivo il motivo.
«Che vuole, erano ambienti troppo eterogenei!» ironizzò, sganasciandosi dalle risate, ed io appresso.
«Non stia a giudicare, tra noi immigrati ci si alleava, ma sempre nel rispetto delle reciproche appartenenze nazionali e affinità linguistiche, dovendo, ben che male, convivere a fianco a fianco otto ore al giorno; sì, c’era solidarietà tra noi francesi e belgi, fosse solo per subire le stesse angustie, ma fuori dall’ambiente lavorativo non potevano né nascere amicizie né sbocciare amori. Si viveva insieme, sì, ma con lo spirito nazionalista esageratamente spinto e, per di più, in un luogo saturo di competitività! Un luogo proprio disumano!», si sfogò come se fosse successo il giorno prima.
L’assenza quasi totale di calore in quell’ambiente fasullo, come sembrava fosse stato, la tormentava ancora, tanto che per scrollarsi di dosso quella sensazione di gelido, fece seguire alle sue parole, un lungo ‘brrrr’ scuotendo fortemente la testa e abbozzando un ghigno di ribrezzo, come se avesse appena addentato un limone particolarmente acerbo.
All’improvviso si zittì, il suo sguardo si fece vacuo, mentre teneva le labbra socchiuse; e quando decise di rendermi partecipe del suo ricordo, un’espressione vivace sul viso sbaragliò l’attimo di confusione:
«Mi ricordo ancora di quella brodaglia che ingurgitavano quei belgi durante la pausa pomeridiana… Facevano sciogliere una specie di dado dentro una tazza d’acqua calda del rubinetto. Era il loro ‘caffè’, tirava su, così dicevano, e noi a prenderli in giro! Che vuole, in qualche modo bisognava distinguersi!», canzonò con la faccia schifata, ridacchiando.
Sinceramente non le diedi torto.
Nella foga di rammentare, si dimenticava di darmi spazio, e continuava il non dialogo tra noi. Non riuscivo mai a piazzare una mezza parola. Ma sicuramente non mi annoiavo, ne ero troppo sedotta. Provavo nei suoi confronti una specie di ammirazione che m’imbrigliava pure l’anima. In verità non era la sua storia a tenermi buona ad ascoltare quasi in estasi, quanto la sua voce che usciva da lei fluida e melodiosa per spargere suoni che mi placavano l’anima. “Una voce d’angelo!” mi ripetevo, e disposta a concederle tutto il tempo e lo spazio che avrebbe desiderato.
All’improvviso iniziò a balbettare, muoveva le labbra senza emettere alcun suono, assumendo un’aria stralunata. Il viso teso, come adirato, rivolgendo uno sguardo nervoso e angosciato sul lago, con gli occhi lucidi che scrutavano senza batter ciglia. “Perché guarda sempre sto’ lago… che cosa avrà mai di così irresistibile?”, mi chiedevo un po’ irritata. “E’ solo un po’ strano, si sarà accorta anche lei; ma forse sarà tutta un’impressione… a vederlo adesso mi pare addirittura rimpicciolito… lo so che è impossibile… saranno i riflessi del sole sulla superficie a giocarci brutti scherzi!”, liquidando l’affare senza lambiccarmi troppo il cervello. Per distrarmi alzai gli occhi al cielo. Il sole brillava ancora di luce splendente, lassù nel firmamento, e non c’era motivo di preoccuparsi.

Come è nata l’idea di questo libro?
Mi piaceva riportare delle storie sentite da giovane nel mio ambiente composto da una comunità eterogenea di emigrati nell’ambiente minerario dell’est della Francia, storie stravaganti e incredibili.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
L’estrinsecare i sentimenti e gli stati d’animo di tante persone coinvolge anche l’animo di chi scrive ed è sempre laborioso.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
L’aria narrativa mi viene da: Dacia Maraini, Marguerite Yourcenar e Georges Simenon.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Ancona. Sono nata in Lorena, nel nord-est della Francia, dove ho vissuto fino all’età di 25 anni, poi a Firenze per 5 anni.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo aver scritto un primo libro ‘Le stagioni di Thil’, e questo che sto presentando, vorrei dedicarmi a palesare i sentimenti latenti nell’animo umano.
Il libro è molto interessante ed è scritto molto bene… certo le storie sono molto tristi… quasi incredula che possono avere una base veritiera… in ogni caso ho sbagliato a votare volevo votare cinque anche conoscendo l’autrice donna di grande umanità e sensibilità..
Nessun problema Maria Rosaria, abbiamo corretto il voto.