Petra Rubea
Edito da WLM Edizioni nel 2015 • Pagine: 322 •
Il Montefeltro e la Romagna, nel XIII secolo, sono teatro di innumerevoli battaglie tra guelfi e ghibellini. Ponendosi alla testa delle due fazioni in lotta, secondo le convenienze del momento, per prestigio e tornaconto, le nobili casate dei Montefeltro e dei Malatesti rivaleggiavano fra loro.
Nel 1285, il conte Guido di Montefeltro, capo del partito ghibellino, signore di Urbino e capitano del popolo a Forlì e Faenza, è costretto ad arrendersi all’esercito guelfo e, dopo avere consegnato due figli in ostaggio a Papa Onorio IV, viene confinato a Chioggia. Nello stesso anno, a Cesena, un manipolo di uomini del conte Corrado di Pietrarubbia, appartenente a un ramo cadetto dei Montefeltro, prepara un’imboscata a Malatesta da Verucchio, futuro signore di Rimini, e loro alleato... Quattro anni dopo, nell’estate del 1289, il conte Corrado, occupa Urbino, cacciando dalla città i guelfi alleati dei Malatesti e richiamando in patria gli esuli ghibellini. A sua insaputa, nel 1293 suo fratello Taddeo scende la Valconca fino a Montescudo per incontrare Malatesta con cui stipula un’alleanza.
È in questo contesto storico che Pio Bianchini inserisce il suo racconto delle genti di Petra Rubea, nome latino di Pietrarubbia, facendo particolare riferimento alla vita e ai costumi del volgo. L’antico e cadente maniero di Monte San Lorenzo è retto da Bonzio, fido vassallo dei fratelli Corrado e Taddeo. Alvisio e Fraudolente, loschi figuri al soldo del conte Corrado, imperversano, sia in pace sia in guerra, commettendo atroci efferatezze e provocando radicali cambiamenti ai delicati e instabili equilibri tra le diverse fazioni politiche...
Era ormai il tramonto di una splendida giornata di fine aprile del 1298. La temperatura era particolarmente mite, e il cielo terso e sereno. Oliviero, con la scorta di un soldato e dell’intrepido Lapo, l’uomo di fiducia di Bartolino, dopo un lungo giro nei suoi possedimenti, si accingeva a rientrare a Piega. Ormai era stanco di quelle passeggiate noiose e improduttive. Quel pomeriggio si era annoiato: non avevano incontrato quasi nessuno, se non qualche villico che, per la paura, si era affrettato o a nascondersi o, tutt’al più, a tentare di passare inosservato. Alla povera gente non piaceva affatto quel giovanotto arrogante e sfrontato che, per il solo gusto del divertimento, non perdeva mai un’occasione per mostrarsi strafottente con i deboli e gli oppressi: tutti cercavano prudentemente di evitarlo, soprattutto qualora non fosse accompagnato da suo padre o da suo fratello.
I cavalieri risalirono il fiume. L’acqua era davvero poca e, in alcuni punti, la Maricula dava l’impressione di essere diventata un modestissimo torrente.
Sull’altra sponda, nei possedimenti di Galasso, in una pietraia con qualche ciuffo d’erba e pochi sparuti cespugli, un pastorello minuto e moro, immerso in chissà quali pensieri e comodamente seduto su di un masso bianco, fissando il nulla custodiva il suo piccolo gregge. Tra poco sarebbe giunto il momento di rientrare all’ovile e, finalmente, di andare a cena dalla mamma. Il bambino non degnò di uno sguardo i tre uomini sull’altra sponda e, forse, non si accorse neppure che stessero passando.
Si sa che le bestie non sono intelligenti, almeno non quanto l’uomo. Le pecore, poi, sarebbero particolarmente stupide: basta che una sola di esse prenda l’iniziativa perché tutto il gregge, senza riflettere, la segua ovunque, anche in bocca al lupo.
Carlino se ne avvide troppo tardi. Una pecorella, forse attratta dall’erba più verde del vicino, attraversò il rigagnolo, subito imitata da tutte le altre.
“Ehi, ferma, ferma!”
Il fanciullo si scosse dal suo torpore, e lesto si alzò in piedi per rincorrere i fuggitivi. Guadò scalpicciando scalzo nell’acqua bassa.
“Moccioso, questa non è la tua terra!”
Gridò Oliviero frapponendosi tra il pastorello ed il suo gregge. Carlino sobbalzò e si sbiancò in volto per la paura. I tre uomini, sulle loro maestose cavalcature, erano imponenti e minacciosi.
“Signore, le pecore sono scappate…”
Il bimbo si portò una manina tra i riccioli scuri e scapigliati e singhiozzò spaventato. Quindi indietreggiò sino a ribagnarsi i piedi.
“Le pecore? Quali pecore? Io non ne vedo alcuna!”
Sghignazzò ironico Oliviero.
“Le mie pecore, signore…”
Frignò Carlino tra le lacrime.
Quell’arrogante cavaliere dagli occhi chiari e cattivi smontò per poi avvicinarsi.
“Servo, come osi parlare così ad un signore!”
Con la mano guantata gli allungò un tremendo ceffone, che lo sollevò scagliandolo a mollo tra i ciottoli. Il colpo fu tale che il fanciullo perse conoscenza. Quando rinvenne era buio, e i cavalieri e le pecore erano spariti. Il capo gli doleva, e sentiva in bocca il sapore amaro e sgradevole del sangue. La sua tunica era fradicia, e venne assalito da irrefrenabili brividi di freddo. La casa colonica era poco distante e, dopo qualche minuto, tremante e bagnato come un pulcino, giunse al sicuro.
“Padre, mi hanno rubato il gregge!”
Si disperò Carlino.
Uguccione corse all’ovile e trasecolò nel vederlo vuoto:
“Chi è stato?”
Carlino, terrorizzato, riuscì a farfugliare:
“Un cavaliere mi ha colpito…”
Il fanciullo fu fortunato. Alina, sua madre, era in cucina, intenta a preparare la solita brodaglia di verdure. Aveva un bimbo in fasce, un moccioso irrequieto che mal tollerava di essere immobilizzato e spesso abbandonato appeso a un trave del soffitto. Quando ciò accadeva, il poverino, strillando ininterrottamente a squarciagola, manifestava tutto il suo disappunto.
Al sentir le grida di suo marito, la donna scese dabbasso nell’aia, giusto in tempo per vederlo mentre allungava un calcio violento nel deretano di Carlino.
Alina era una donnina scura e minuta, anche se giovane e forte. Si affannò a difendere il malcapitato.
“Non picchiarlo! Non fargli del male!”
Suo figlio aveva un occhio pesto ed il labbro inferiore rotto e sanguinante: ella ritenne che fosse tutta opera di Uguccione.
“Disgraziato, che vuoi fare? Così lo uccidi…”
“Questo buono a nulla si è fatto rubare le nostre pecore!”
Si inferocì Uguccione.
Tutti urlavano come forsennati, compreso il neonato appeso al trave della cucina. Pure il cane, un bastardaccio spelacchiato del colore del fango, prese a latrare indiavolato.
Uguccione, un gaggio grande, grosso e sempliciotto, temendo la furia di sua moglie, si trattenne, limitandosi a mimare la minaccia di altri colpi al suo figliolo.
Carlino trovò subito riparo e protezione dietro la lunga veste logora e unta di sua madre.
Uscirono di casa pure i suoi tre fratelli maggiori, dei giovincelli robusti e gaggi come il loro babbo, ai quali non pareva il vero di poter assistere a quel divertente spettacolo imprevisto. Alina non diede loro neppure il tempo di rendersi conto:
“Voi tre, filate su subito in cucina!”
I ragazzotti, con la coda tra le gambe, riguadagnarono immediatamente la porta di casa, e anche il cane si accucciò spaventato dietro a un cespuglio.
“Allora, Carlino, che cosa è successo?”
Era incredibile come la donna passasse dall’ira alla soavità in un istante.
“Madre, un cavaliere, giù al pascolo, mi ha colpito. E poi le pecore sono sparite…”
“Allora non è stato tuo padre a picchiarti?”
Indagò Alina squadrando con piglio severo Uguccione.
“Il babbo mi ha dato solo un calcio nel sedere!”
Si lamentò il fanciullo massaggiando la parte offesa.
Uguccione tirò un sospiro di sollievo.
Ora, chiarito il fattaccio con sua moglie, come si sarebbe potuto giustificare con il suo padrone? Quella notte, angosciato, non riuscì a chiudere occhio.

Come è nata l’idea di questo libro?
Dalla scoperta di una piccola rivoluzione in una contea del Montefeltro del tredicesimo secolo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Una volta collegate tra di loro le fonti, la “stesura” del romanzo è stata semplice e veloce.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Umberto Eco e Valerio Massimo Manfredi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho vissuto e studiato in Veneto, ma sono romagnolo e originario di Scacciano, la piccola frazione di Misano Adriatico dove attualmente abito.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo il mio quarto romanzo che, tanto per cambiare, sarà un giallo/thriller storico.