Edito da Musicaos editore nel 2021 • Pagine: 164 • Compra su Amazon
Sul Pianeta delle Occasioni Perdute non si giunge per caso. I terrestri che decidono di andarci, da dovunque provengano, lo fanno con la consapevolezza che lì soltanto avranno l’opportunità di vivere un’esperienza unica, senza limiti, dai meandri del proprio passato e oltre, fino al più recondito e sconosciuto futuro. Iris, la «teratopoli» del pianeta, attrae e affascina, i suoi abitanti sembrano essere gli ultimi rimasti con una predilezione naturale per il dialogo e la comprensione. Chi visita il Pianeta sa che l’occasione che potrà vivere sarà la chance di una vita. «Il Pianeta delle Occasioni Perdute» è una raccolta di racconti fantascientifici, la cui ambientazione in epoche differenti e con personaggi che ricorrono, costituisce lo scenario per un romanzo diffuso: chef interstellari, predatori delle galassie, poeti, amanti, forme di vita extraterrestre, artigiani dello spazio. Patrizia Caffiero ha dato vita a un universo con una lingua nuova, popolandolo di storie, personaggi, evoluzioni in corso, avventurando il lettore in molteplici viaggi e facendoci vivere un futuro poetico e sorprendente.
Alcuni erano distesi sulla monoerba, altri volavano sospesi fra terra e alberi o gozzovigliavano fra getti di mistoacqua e cespugli d’ittizie. Erano trenta alieni della miseria, di trenta specie diverse della galassia, vivevano in quel paradiso da quando il Capo aveva deciso di metterli a dieta forzata di razzie interplanetarie. Non era cosa che potesse piacere ai ragazzi, la vita da signori, lontana dal sapore della battaglia.
Quando, tutti euforici per l’ultima rapina – una predazione a una costellazione di nastronavi del pianeta Mirror – erano atterrati sul satellite, avevano sentito la voce ruvida e ombrosa del corsaro, saltato giù per primo, che gracchiava:
– Ci fermeremo per un bel po’, stavolta, alla base. Siete tutti avvisati.
Scontrosi, imbronciati, tacquero. Dalla spiroporta della nastronave spalancata potevano vedere il sentiero che puntava verso l’astrocasa. Mentre il vento sollevava il suo mantello di mandango, Beruk li aveva guardati a uno a uno con sguardo fiero. I trenta si incamminarono dietro di lui come microscolari obbedienti. Una volta arrivati a destinazione, prima di scomparire nel suo alloggio, il pirata dette appuntamento alla banda di scalmanati la mattina dopo. Poi aggiunse:
– Mettete qualcosa di decente prima di venire a convocazione, e fatevi un bagno. Manuiz vi farà vedere la stanza che vi è stata assegnata e, vi assicuro, ci saranno tanta acqua, sapone di rabarbaro e di seta dolce da farvi profumare come femminelle che si preparano a una festa, barbagianni scapestrati!
Alto, corpo robusto di umano alterato da inserti trapiantati da trofei dei combattimenti. Un’antenna particellare innestata sopra l’orecchio rivestito da pelle di serpente. Due ali vibranti nere e candide sulla schiena possente, ricordo di un duello con un’aquila balinata sul pianeta Thul: Beruk, viso tondo, occhi di berullo, emanava autorevolezza da ogni brano di pelle; portava i capelli lunghi fino alla vita, arrotolati in trecce scure che durante il combattimento stringeva sotto uno stoffacappello perché i nemici non potessero appigliarsi alla chioma e avere la meglio. Pur possedendo armi ciclopiche che potevano disintegrare una costellazione di micropianeti in un colpo solo, amava progettare la battaglia, cospirare lentamente, conquistare il terreno di un pianeta brano a brano. Aveva letto sin da microumano nei particellalibri le storie dei corsari di tutti i tempi, sognando di imitarli. Aveva ucciso molti nemici, in cento anni di scorrerie su e giù per il cosmo. Aveva accumulato un bottino di valore incalcolabile.
Beruk truccava le sopracciglia aggiungendone altre due in parallelo, e ciò conferiva al volto una maggiore aura da predatore. Con la bocca carnosa e il suo eloquio formidabile era sempre piaciuto alle creature femminili d’ogni specie. Durante i viaggi ne portava sempre una diversa con sé per intrattenerla in conversazioni divertenti e giochi sessuali complicati e allegri. Ciò nonostante era un umano fondamentalmente solitario: la compagna della traversata, la faceva dormire e vivere assistita e riverita da personale specializzato perché si divertisse in sua assenza e non gli recasse noia.
Con le creature della banda si fermava a parlare solo per brevi momenti calcolati ad arte. In passato era stato più accomodante, e ne aveva pagato il prezzo. Non avrebbe più accordato la sua segreta confidenza a un marinaio del mare spaziale. Anche una creatura femmina non avrebbe più conosciuto la sua vera faccia. Così aveva deciso cinquanta anni prima, e adesso le cose filavano lisce come il corallo.
Pensava alle sue battaglie trascorse e a venire davanti alla specchiera volante: un sorriso di soddisfazione gli alzò due sopracciglia. Le ali sbatterono con veemenza, facendo volare via lo stoffacappello dal gancio d’oro a cui era appeso.
Si era alzato prima degli altri, nella stanza degli alberi freddi, per consultare l’oracolo sospeso, per sapere se la decisione di partire fosse quella che l’impresa, la più grande che avesse mai concepito, meritasse.
Ogni volta che, dopo una lunga pausa, riprendeva a pensare alla battaglia si guardava le mani. Erano robuste, pallide, unghie di zetanio. Lunghe mani ipersensibili, artificiali, predate da una galassia celebre per la rigenerazione di qualsiasi organo o pezzo di corpo che si desiderasse perfezionare. Solide per l’abitudine alla lama e ai pugni, come nessuno sapeva più fare nella galassia: tutti gli altri pirati che conosceva usavano armi sapienti, leggere come l’aria. Lui aveva bisogno di contare sulle mani, prima che sulle proprie braccia. Ripartire dal suo corpo, prima di arrivare alla forma di un’idea: predare il pianeta più prestigioso, più potente del cosmo.
(dal racconto “Storia del Pirata Beruk e della sua ciurma”)
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro giaceva latente da tempo, vista la mia profonda passione per i classici della letteratura fantascientifica, per i film e le serie tv del genere fantasy e fantascienza (soprattutto per la serie britannica “Doctor Who”) e la mia attitudine a coniare nuovi termini, per gioco. L’imput che ha originato la stesura (di getto) del primo racconto è stato l’ascolto della canzone di Franco Battiato “La Via Lattea”. Al primo racconto sono seguiti rapidamente altri nove, nel periodo che va dall’agosto 2019 a febbraio 2020.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La redazione dei racconti è stata piuttosto fluida, rispetto ad altri lavori che ho scritto e pubblicato in passato. L’ispirazione che mi ha permesso di creare le narrazioni e i personaggi protagonisti delle storie, che spesso si intrecciano l’una all’altra, è rimasta, per fortuna, sempre alta durante la scrittura della raccolta.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Tanti; in particolare Truman Capote, Marguerite Yourcenar, Philip K. Dick, Dino Buzzati, Karen Blixen, Paul Auster, Ray Bradbury, Juan Rulfo, Stephen King.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo ad Anzola dell’Emilia dal 2006, in precedenza ho vissuto a Bologna, a Ferrara, a Lecce (città dove sono nata).
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho appena terminato un romanzo, una ghost story, che trae spunti dalla mia storia familiare, ambientata nel Salento. Dopo l’estate, prevedo di cominciare il mio secondo romanzo. Mi impegno con assiduità per sperimentare nuovi linguaggi e tecniche della scrittura.
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