
Edito da Maura Tesconi Greco di Valdina nel 2018 • Pagine: 70 • Compra su Amazon
Scozia, XIV secolo. Si avvicina il Natale e, durante un forte temporale, quattro cavalieri, di cui tre inglesi, trovano riparo presso il Castello dell’Estate, governato da una autoritaria quanto affascinante contessa, Gwen di Menteth. Nubile e libera, Gwen si prende cura della crescita e dell’istruzione di sua cugina minore Bridget, di cui la regina Eufemia ha appena ordinato le nozze. Alla squisita nobiltà di alcuni dei cavalieri giunti al castello, si contrappone il pericolo recato dagli altri. Infatti, due di loro portano i loro modi maschilisti e arroganti in un luogo in cui la donna è invece vista con riguardo e ammirazione, in special modo nei panni della signora del Castello dell’Estate, così chiamato grazie alla presenza di un insolito padiglione contenente un altrettanto insolito giardino d’inverno. Lord Raphael tuttavia, nobile inglese della corte di Riccardo II, rimane seriamente e profondamente affascinato e colpito dalla contessa e dal Maniero dell’Estate, tanto da ribattezzarlo Coloured Hall. Un evento drammatico porterà Gwen di Menteth a prendere seri provvedimenti contro uno dei due conti inglesi ospitati a Coloured Hall. Nel tempo, la misura punitiva le si torcerà contro, in un susseguirsi di vicende per lei assolutamente angoscianti, che le sconvolgeranno il giorno delle nozze e danneggeranno una delle cose a lei più care. Un’inquietante delitto, infine, metterà a dura prova la sua mente… Un interno scozzese medievale, sconvolto dal dramma, dal mistero e da una pioggia malvagia è quindi questo primo e indipendente titolo della serie delle ambientazioni storiche di Maura Tesconi Greco di Valdina qui proposta. “Pioggia nera su Coloured Hall” è un romanzo romantico tinto di giallo, impreziosito da dettagli storici che rendono la lettura più coinvolgente, come gli antichi nomi del whisky e dei capi di abbigliamento tipici del costume scozzese, prima dell’avvento del kilt. Seppur di più semplice ideazione rispetto a “Guarda il gatto con gli occhi chiusi”, romanzo di precedente fattura, “Pioggia nera su Coloured Hall” si avvale della garbata e appassionata scrittura romantica tipica dell’Autrice, unita al suo talento per l’evocazione simbolica, sempre presente nella scelta e nel gioco di nomi, emblemi, significati e rimandi velati. Se ne consiglia la lettura al solo pubblico adulto.

Uno
La regina Eufemia, moglie di Roberto II Stuart, tirò sul col naso, come se l’emozione le avesse fatto versare qualche lacrima. Queste però, anziché scivolarle sul viso come ai comuni mortali, avevano seguito una propria via interna.
“Come vorrei essere di nuovo giovane! Non immagini quanto…” cantilenò.
“Ma tu sei ancora giovane, amica mia” le rispose dolcemente Gwen.
La sovrana guardò storto la bellissima donna che le stava di fronte, riuscendo a stento a trattenere un fremito d’invidia.
“Basta con i complimenti, i rimpianti e i ricordi, ora” disse, con voce autoritaria. “Vorrei che la piccola Bridget si sposasse almeno in primavera, anche se ciò mi farà versare fiumi di lacrime. Manca ancora un po’, perciò non è escluso che prima di allora ella coroni un qualche suo fantasioso sogno d’amore. Nel frattempo auguro ad entrambe buon viaggio.” La sovrana porse la mano alla donna seduta di fronte a lei.
Gwen capì di essere stata congedata. Si alzò, prese la mano decisamente invecchiata, avvicinò gli anelli alle labbra, li sfiorò con un lieve bacio, si inchinò.
“Mia carissima amica e sovrana, ti auguro ogni bene” le disse.
Si guardò intorno: sarebbe tornata a primavera… se non fosse riuscita ad evitarlo.
La regina osservò Gwen uscire. Nel suo incedere soave v’erano grazia, bellezza e fascino. Non era invecchiata nei suoi ventisette anni: Gwen di Menteth pareva ancora poco più di una bambina. Un giorno o l’altro Eufemia di Moray avrebbe scoperto quali sostanze miracolose, quali malie ella fosse in grado di usare sul proprio corpo. Non si era mai sposata, governando da sola il Castello dell’Estate. Ma tutti dicevano che avesse avuto numerosi amanti…
Bridget alzò lo sguardo, soffocando un gemito di timore quando la porta di legno scuro si aprì, mostrando la sinuosa figura di sua cugina Gwen. Ella avanzò leggera nel corridoio. Aveva lunghi capelli lisci che ogni volta ricordavano a Bridget il colore della terra bagnata. Un cerchietto d’argento intorno al capo li teneva fermi. La contessa di Menteth indossava una lunga tunica di lana azzurro cielo che faceva risplendere la carne luminosa nell’ampia scollatura. I suoi occhi avevano il colore delle brughiere e le labbra parevano due petali di fiore color del tramonto. Bridget la scrutò a fondo. Poi decise di alzarsi.
“Allora?” chiese, frustrata dalla lunga attesa.
Gwen la fissò nei giovani occhi azzurri. “Sei libera fino a primavera…” sbottò con un sorriso.
Bridget spalancò lo sguardo luminoso e la bocca in un sorriso altrettanto raggiante. “Non ha ancora scelto un marito per me?!” domandò incredula.
“No” ribadì dolcemente Gwen. “Lo sceglierà quando torneremo in maggio… se nel frattempo non sarai stata in grado di fare qualcosa da sola…” la rimproverò.
Bridget sapeva che sua cugina non l’avrebbe mai ritenuta un’incapace: si trattava solo di una battuta per allentare la tensione.
“Sono così felice Gwen, che non m’importa neppure di partire in questo ingrato periodo dell’anno…!” sorrise allegramente, piroettando tutto intorno alla signora del Castello dell’Estate.
Gwen scosse il capo.
“Possiamo partire subito, non è vero?!” domandò poi la giovane Bridget. “Torniamo a casa! Non è così, Gwen?!” chiese, aggrottando la fronte e rimettendo a posto la cintura d’argento sulla tunica verde chiaro.
Gwen le sistemò il cerchietto sulla fronte, spingendo oltre le spalle i lunghi capelli castani.
“E subito anche…” asserì la contessa, rabbrividendo divertita.
Non era stato un autunno piacevole quello trascorso accanto alla bisbetica, invidiosa e petulante parente che avevano per sovrana. Per un po’ Gwen aveva temuto che annunciare la propria imminente partenza per il castello nelle Highlands avrebbe suscitato le ire della signora. Ma forse ella non smaniava poi così tanto di dividere l’attenzione di re Roberto con altre due donne; difatti aveva accettato di buon grado di benedire il loro viaggio di ritorno a casa.
Un altro problema aveva sporcato con un alone grigiastro l’incontro nel grande salone: il matrimonio di Bridget. La ragazza non poteva eludere le aspettative, non le era permesso di restare nubile, come invece era accaduto a Gwen: ella non aveva terre o sostanze proprie, perciò la regina voleva vederla convenientemente sposata. Ma anche in quella tenzone, Gwen pareva aver avuto la meglio.
Come sempre, del resto… pensò Bridget, montando allegramente il suo giovane palafreno. Gwen di Menteth, che si occupava di lei da quando Bridget aveva solo sette anni, negli ultimi dieci era stata per la ragazza una madre, una sorella, un’amica.
“Il mio stallone si è azzoppato, dannazione!” grugnì lord Trevor in lingua inglese, imprecando subito dopo. “Dovremo fermarci in quel maniero!”
La notte era scesa da un po’, e procedere stava diventando oltremodo faticoso. Il terreno delle Highlands era sconnesso; lui e i suoi compagni di viaggio avevano evitato il tratto del fiume, ma ciò non era stato sufficiente ad agevolare la cavalcata. Alberi sparsi sbucavano sui sentieri all’improvviso: grosse e scure querce agitate dal vento.
“Perché? Altrimenti saremmo riusciti ad arrivare prima dell’alba?!” sbottò sarcasticamente quello soprannominato Dun Arrow.
Raphael di Gloucester scosse il capo, trattenendo a stento una risata per quella considerazione. Le Highlands erano infinite e sempre uguali agli occhi degli Inglesi.
Lord Trevor non era tipo da offendersi per così poco. Gli dispiaceva solo di dover rinunciare ad uno dei suoi cavalli, perciò non ribatté.
Adrian di Atholl accennò un sorriso divertito, alzando il volto scuro al cielo, per ricevere l’acqua piovana in maggior quantità.
“Miei cari amici…” disse Raphael di Gloucester. “Cavallo azzoppato o no, questa pioggia fermerebbe anche una crociata.”
“Non sono mai stato in quel castello” confessò Atholl, “ma non dovremmo avere problemi a chiedere alloggio.”
Lord Trevor socchiuse gli occhi azzurri in due fessure circondate da piccole rughe. “Andate avanti e chiedete ospitalità anche per me” li invitò con un cenno del grosso braccio, quindi smontò da cavallo. “Quando Sua Altezza” ironizzò, riferendosi all’animale, “sarà in grado di arrivare all’entrata… spero che le guardie non abbiano già dimenticato di potermi lasciare entrare… Non sono venuto in Scozia per farmi uccidere!” La figura muscolosa accennò a coprirsi col mantello. In realtà lord Trevor era molto più preoccupato per la zampa dello stallone che per la pioggia o per gli Scozzesi.
Dun Arrow rallentò il passo.
“Io resto con te: non vorrei che ti perdessi nella notte mentre fai da balia al tuo stallone…” asserì divertito.
Lord Trevor lo fulminò con lo sguardo per un attimo. Arrow aveva veramente l’aspetto di una freccia scura: aveva capelli neri e ricciuti; i suoi occhi erano di ghiaccio, le labbra carnose perennemente piegate in un sorriso canzonatorio, il mento pronunciato era segnato da una fossetta verticale; e la sua lingua… be’, quella era una lunga punta di freccia biforcuta. Ma era il suo migliore amico, perciò Lord Trevor lo accettava interamente.
Annuendo col capo, Raphael di Gloucester e Adrian di Atholl ripresero il cammino sotto la pioggia. Il cielo era sconquassato da lampi violacei. Il rumore delle grosse e fitte gocce d’acqua sul terreno era assordante, e si univa al rombo dei tuoni, al frastuono del vento, allo scroscio incessante del fiume. Per fortuna l’entrata del castello non era lontana.
“Gwen! Gwen!” chiamò nella tempesta la giovane Bridget. “Vedo il Castello dell’Estate ma non distinguo più il nostro seguito…” La pioggia le riempì la bocca e un vento gelido le contrasse le viscere in uno spasmo di paura.
“Non preoccuparti, Bridget!” la esortò Gwen di Menteth, afferrando saldamente le redini del palafreno e stringendole assieme a quelle del proprio stallone. “Pensa solo a tenere la testa bassa e a non farti strappare via il brat! Al resto penso io… Siamo quasi arrivate!”
Bridget aveva sempre creduto che sua cugina fosse in grado di tenere a bada anche una tempesta. Se era lei a reggere le redini, il giovane palafreno avrebbe ubbidito mansueto. Che le importava dei servi, delle cameriere, del palafreniere e del bagaglio? Toccava a loro badare alle due donne, non il contrario! Ma in una notte come quella… era normale che ognuno pensasse per sé.
Nel buio, interrotto dal bagliore rosso e giallo dei lampi, le donne videro distintamente due uomini accanto a loro, sul sentiero: uno restava in sella, sprezzante del temporale, l’altro procedeva a piedi, e la sua corporatura era assai simile a quella del grosso cavallo zoppo.
Dun Arrow scorse le figure incappucciate. “Avete bisogno d’aiuto?” urlò in Gaelico. Non riusciva a distinguere se le sagome scure appartenessero a due ragazzi, a due donne o a due monaci.
Gwen, con un solo sguardo, colse la situazione. Diede di sprone e i due cavalli oltrepassarono gli uomini.
“Cercate di sbrigarvi con quello stallone, o i miei contadini dovranno venire a disseppellirvi dal fango domani mattina…” sentenziò.
Arrow sbottò in una fragorosa risata. “Altro che monaci o ragazzi… E’ una donna!” esclamò, tornando a parlare la sua lingua.
Trevor lo guardò di traverso. “Non sopporto le donne incappucciate” bofonchiò in Inglese.
“Tu non sopporti le donne che ti danno del cretino” ribatté Arrow.
Nonostante il sorpasso, tutti e quattro raggiunsero in pochi istanti la porta d’accesso del maniero. Scortati e sorvegliati a vista da alcune guardie, come fossero guerrieri pericolosi, fu concesso ai due uomini di varcare il muro di cinta. La notte e la pioggia impedivano ogni identificazione, perciò fu anche permesso loro di smontare da cavallo presso la scuderia. Due stallieri presero in custodia gli animali. Affrettandosi sotto la pioggia incessante, Bridget e Gwen entrarono nella foresteria, presso l’alloggio della guarnigione, seguite da altre due guardie, da lord Trevor e da Dun Arrow.
Gwen abbassò il cappuccio del mantello nero di fronte al luogotenente.
“Signora!” esclamò sorpreso lo Scozzese. “Bridget…!” sibilò poi, in direzione della figura minuta e fradicia. “Non avevamo idea che arrivaste questa notte, altrimenti vi avremmo mandato un aiuto…”
“Non importa, Calum” lo rinfrancò la contessa. “Avevamo una scorta ma è rimasta indietro. Occupati piuttosto di questi due signori e dello sventurato stallone zoppo.”
Gwen si voltò verso i due uomini. La stanza non era molto illuminata ma poté distinguere la scattante e nera figura di uno dei due, e la muscolatura possente dell’altro. Entrambi avevano luminosi occhi nella tonalità del ghiaccio. Normanni ipotizzò lei. O, peggio ancora, dei Normanni inglesi!
“Dò ad entrambi il benvenuto al Castello dell’Estate, signori” disse lei. “Sarete miei ospiti finché non finirà quest’inferno. Vieni Bridget.”
I due Inglesi dovevano capire il Gaelico, se uno di loro le si era rivolto in quella lingua! Era già tanto ospitarli e fidarsi di loro: Gwen non aveva nessuna intenzione di parlare con loro l’Inglese e, meno che meno, il Normanno! Se volevano viaggiare per le Highlands, che ne pagassero il prezzo. Il loro re bambino al momento non era certo una minaccia per la Scozia!
La giovane Bridget si strinse nel mantello, rivolse una rapida occhiata ai due uomini, quindi seguì la cugina che, ovviamente, non aveva alcuna voglia di conversare con loro.
“Che mi venga un colpo!” sbottò lord Trevor in Gaelico, passandosi le mani tra i capelli neri e fini, bagnati di pioggia. Erano stati ospitati, sì, ma questo non significava che fosse prudente sbandierare a tutti la propria nazionalità. “Quella è la donna più dannatamente e sfacciatamente bella che io abbia mai visto!”
“Contessa…” ringhiò Calum. “E’ la contessa più bella che abbiate mai visto…”
Trevor guardò il luogotenente con aria interrogativa.
“La mia signora non negherà ospitalità né a voi, signori, né agli altri due cavalieri che vi hanno preceduto” continuò la figura anziana e massiccia del luogotenente del Castello dell’Estate. “Ma vi consiglio, signore, di sfoderare come una spada tutta la vostra migliore educazione…”

Come è nata l’idea di questo libro?
Ho sempre amato molto la Scozia, inoltre il periodo medievale, così rude e selvaggio, dove la vita è scandita dalla natura e da eventi sempre molto eclatanti, si presta particolarmente a narrare sia dell’amore e della passione, sia dei meandri dell’animo umano, cosa, quest’ultima, che non perdo occasione di fare in ogni mio scritto. Per questo è nata una serie di tre romanzi sentimentali d’ambientazione storica, un po’ gialli e drammatici, di cui il libro trattato nell’articolo è il secondo nato. Il filone storico affianca le opere fantastico-iniziatiche che solitamente scrivo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Per me scrivere non è mai stato difficile. Può essere faticoso. La rielaborazione dei testi, la regia delle scene in cui sono presenti molti personaggi, i dialoghi con la loro punteggiatura assai ostica per i non addetti ai lavori, sono semmai prove di umiltà, di confronto con se stessi, di pazienza, di scrupolo, di calcolo, di rispetto per il lettore.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Stranamente, non ho autori di riferimento. Certo, ho letto molto e ho amato ed amo molti autori classici e noti. Tuttavia, scrivendo da oltre 40 anni, la mia scrittura, così come la scelta di linguaggi, messaggi e soggetti, è intrisa di me, della mia vita, delle mie esperienze, tanto che non posso scinderla dalla mia personalità.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto in provincia di Massa Carrara.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo aver pubblicato diverse opere in cartaceo, aver insegnato per anni scrittura creativa in scuole di vario ordine e grado, dalle materne ai licei, dopo aver fondato e diretto per nove anni una mia casa editrice, adesso, finalmente, la vena lavorativa si è liberata da ogni fronzolo. Adesso scrivo, affino vecchi testi, pubblico e vivo, finalmente, da scrittrice quale sono sempre stata. Non c’è arroganza in questa affermazione ma cognizione di causa. Una volta, quando ero un editore, un grande personaggio della letteratura italiana mi disse: “Ha ragione, signora Tesconi, a distinguere un autore da uno scrittore. Il primo scrive opere mentre si occupa di ben altro. Il secondo vive nei ritagli di tempo, mentre si occupa delle sue storie e dei suoi personaggi”.
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