
Edito da MT nel 2021 • Pagine: 124 • Compra su Amazon
La visione della politica sta diventando sempre più simile a quella del business: i cittadini diventano target, i bisogni diventano segmenti di mercato, le idee diventano proposte e quindi offerta. Coloro i quali non hanno saputo affrontare questa nuova realtà sono stati costretti, giocoforza, alla fuoriuscita dalla scena. La comunicazione in tale contesto assume un ruolo ancora più centrale ed è sottoposta a una sfida alquanto impegnativa.
Protocollo Consenso è un manuale dal taglio pratico, scritto con una tecnica di scrittura che consente una fruizione veloce, a vantaggio di tutti coloro che non hanno molto tempo a disposizione ma vogliono formarsi e migliorare.

Fare politica, oggi più di ieri, presuppone il possesso di una serie di competenze. Se il procedimento legislativo, la stesura di una mozione o, più in generale, tutto ciò che riguarda il percorso all’interno delle Istituzioni si può imparare e affinare con l’esperienza, saper comunicare in modo efficace è fondamentale per iniziare il percorso politico e per proseguirlo. La comunicazione politica, intesa nella definizione moderna, nasce negli anni Cinquanta negli Stati Uniti d’America ma, in realtà, in politica la comunicazione e il marketing hanno da sempre avuto importanza, seppure nel tempo sono stati protagonisti di un’ evoluzione dovuta soprattutto all’avvento dei nuovi media.
Quinto Tullio Cicerone, fratello minore del più famoso Marco Tullio Cicerone, indirizzò a quest’ultimo, in occasione delle elezioni a Console del 64 a.C. alle quali Cicerone senior si era candidato, un manualetto per la campagna elettorale, il Commentariolum petitionis. Molti dei temi affrontati nel testo sono ancora oggi, a distanza di millenni, strategie che i politici e i consulenti di comunicazione politica mettono in atto. Cicerone junior consiglia al fratello, ad esempio, di circondarsi di gente che lo supporti e che sia in grado di orientare il voto delle masse, di essere gentile e affabile con tutti, di chiamare tutte le persone che incontra per nome in modo tale da sembrare loro più vicino. Un altro tema sul quale Cicerone si sofferma, e che ancora oggi è attuale, è la denigrazione dell’avversario.
“Fai in modo che … venga fuori nei confronti dei tuoi avversari un sospetto appropriato alle loro abitudini …”
Commentariolum petitionis
Non è difficile individuare nel dibattito politico moderno esempi pratici delle strategie descritte da Cicerone. La denigrazione dell’avversario è ormai prassi consolidata nella dialettica politica. I mezzi che oggi ha a disposizione un politico sono notevolmente diversi da quelli che si usavano secoli fa. La capacità di diffondere contenuti su vasta scala e la possibilità di farlo velocemente sono alcune delle peculiarità dei social network che i leader politici utilizzano.
Niccolò Machiavelli nel Cinquecento condensa ne Il Principe una serie di consigli, rivolti a Lorenzo De’ Medici, per tenere sotto controllo il popolo e consolidare il potere. Machiavelli, considerato il precursore della scienza politica moderna, individua alcuni punti fondamentali della comunicazione politica e del marketing elettorale che, sempre più spesso oggi, fanno ricorso alle tecniche di manipolazione di massa come quella della distrazione. La tecnica della distrazione consente di spostare l’attenzione da un qualcosa, spesso percepito dal popolo come negativo, a qualcos’altro, possibilmente positivo. Secoli più tardi, queste e altre tematiche sono state oggetto di studio del famoso linguista e accademico Noam Chomsky, autore di diversi saggi tra cui spiccano “Media e potere” e “La fabbrica del consenso”.
“Debbe ancora uno principe monstrarsi amatore delle virtù, et onorare li eccellenti in una arte. … Debbe, oltre a questo, ne’ tempi convenienti dell’anno, tenere occupati e’ populi con le feste e spettaculi. ”
Il Principe
L’essere umano avverte il bisogno di comunicare poiché, così come recita uno degli assiomi della comunicazione, è impossibile non comunicare. Comunicare è un bisogno naturale dell’uomo in quanto animale sociale, ma comunicare in maniera efficace è una competenza che si impara e si allena.
Tutti i più grandi politici, indipendentemente dalla loro ideologia, hanno una caratteristica definita: comunicano in maniera efficace.
Comunicazione, dal latino communico che significa mettere in comune, è quel processo circolare per cui l’emittente invia il messaggio al destinatario che lo riceve e a sua volta invia il feedback all’emittente.
L’abilità del politico è saper valutare attentamente il feedback del destinatario, ovvero gli elettori, e modellare, eventualmente, i messaggi. Tutto ciò che non presuppone il feedback è informazione che, quindi, è un processo lineare e unidirezionale.
Regola n. 1: il politico comunica, non informa.
Informare significa trasferire un’informazione senza esprimere un’opinione personale. Dire che fuori fa freddo è diverso da affermare che fuori ci sono dieci gradi. Nel primo caso l’emittente del messaggio sta comunicando la propria percezione di freddo rispetto alla temperatura esterna, nel secondo caso sta informando il destinatario circa la temperatura all’esterno. Il politico deve comunicare, e non informare, poiché per persuadere e influenzare l’opinione pubblica ha bisogno di esprimere e di ribadire la propria posizione rispetto a un avvenimento o un tema. Ovviamente questo processo implica il fatto che ci siano, allo stesso tempo, sostenitori e detrattori.
“Tra dire e fare c’è di mezzo il mare” recita un vecchio proverbio popolare ma, seppure sempre attuale, in politica tra fare e dire c’è di mezzo il consenso. Un’azione non basta compierla, bisogna comunicarla.
Regola n.2: una cosa non comunicata equivale a una cosa non fatta.
Prova a immaginare che un parlamentare si impegni nella stesura di una legge che permetterà ai cittadini di acquistare un’auto con un abbattimento dei costi pari al trenta per cento.
Se quel parlamentare non si intesta pubblicamente, con una buona comunicazione, la paternità della legge, i cittadini non gli riconosceranno alcun merito seppure grazie al suo impegno avranno risparmiato dei soldi. Al contrario, in alcuni casi questa grave mancanza potrebbe essere un assist per un collega o addirittura per un avversario. Mi spiego meglio: se all’indomani dell’approvazione della legge venisse resa pubblica una dichiarazione nella quale un parlamentare, che ha semplicemente votato favorevolmente la proposta di legge, esprime soddisfazione per l’approvazione, nell’immaginario collettivo sarebbe lui a vedersi attribuito il merito. Ciò vale a dire che per la maggior parte delle persone (che votano) il parlamentare che ha lavorato alla legge, nonostante l’impegno profuso, non ha fatto nulla. Tutto ciò si traduce in calo di consenso e di conseguenza in voti persi. Nella peggiore delle ipotesi il lavoro svolto sarà, a livello comunicativo, a vantaggio di altri. Diversamente, nel momento in cui si riconosce pubblicamente il merito di un’azione, e quindi di un beneficio per i cittadini, a un politico con nome e cognome precisi, la visibilità di quel politico aumenta. Ciò si traduce in consenso che sappiamo essere linfa vitale per chi vuole fare carriera politica.
La comunicazione politica possiamo distinguerla tra comunicazione elettorale e comunicazione istituzionale.
La comunicazione elettorale è tutto ciò che riguarda le strategie di comunicazione che si mettono in atto per attirare i consensi e trasformarli in voti. Quando il candidato viene eletto e diventa membro delle Istituzioni, tutta la comunicazione che riguarda il suo percorso all’interno delle Istituzioni viene definita comunicazione istituzionale.
C’è un errore che costantemente viene ripetuto dagli eletti: da membri delle Istituzioni dimenticano l’importanza della comunicazione elettorale. Forse ora ti starai chiedendo come mai per chi è stato eletto, e quindi ha già vinto una competizione, è così importante la comunicazione cosiddetta elettorale. Chi viene eletto non supera un concorso a tempo indeterminato. I mandati delle cariche elettive durano cinque anni, pertanto, il politico che vuole continuare il proprio percorso all’interno delle Istituzioni non può sottrarsi al giudizio degli elettori.
Un politico ha sempre bisogno di raccogliere consenso e ammetterlo non è una bestemmia!
Molto spesso la comunicazione elettorale viene considerata come un qualcosa di non etico e di scorretto, ma non c’è nulla di più sbagliato. Se fai politica e vuoi continuare a farla, non puoi sottrarti al meccanismo per cui attrarre consenso è fondamentale. Non è ciò che facciamo che dà la misura di quanta etica abbiamo e di quanta ne mettiamo nelle cose che portiamo avanti, ma è come facciamo qualcosa che conta. È l’etica che portiamo all’interno delle nostre azioni a fare la differenza. Nell’azione istituzionale c’è dunque una forte componente di comunicazione elettorale. Comunicazione elettorale non significa prendere in giro i cittadini o compiere atti eticamente discutibili, significa, invece, continuare a catalizzare consensi adoperando le tecniche di persuasione e conoscendo quelle di manipolazione di massa.
Manipolare e persuadere rispondono a due significati diversi. Il manipolatore attraverso metodi ingannevoli altera la percezione e il comportamento degli altri per trarne un beneficio personale. Chi persuade, invece, ha a cuore il beneficio che l’altro può ottenere compiendo un’azione. Ad esempio, se voglio persuadere un potenziale cliente a cambiare utenza telefonica in modo tale da abbattere i costi in bolletta, devo concentrarmi sul beneficio che il mio cliente avrebbe, sincerandomi che lo ottenga realmente dopo aver effettuato il passaggio ad altro operatore.
Chi è nelle Istituzioni e fa politica attiva sconta il fatto di essere responsabile, agli occhi del cittadino, della situazione sociale che in quel momento il cittadino stesso vive. Chi governa è chiamato a prendere delle decisioni che per forza di cose accontentano alcuni e scontentano altri. In questo contesto la comunicazione elettorale aiuta a ristabilire l’equilibrio tra il consenso ottenuto e quello perso.
Tra la politica e l’elettorato, complice la sempre più difficile situazione economica e sociale acuita ancor di più dalla pandemia, c’è uno scollamento che genera diffidenza nelle istituzioni, motivo per il quale l’obiettivo deve essere quello di instaurare con i cittadini una relazione sana. Qualsiasi tipo di relazione, quindi anche quella tra amministratori e cittadini, passa attraverso la comunicazione. La comunicazione, pertanto, non è solo propaganda, la propaganda è sicuramente un aspetto legittimo della comunicazione ma non il solo.
Regola n. 3: la comunicazione elettorale non la si fa solo in campagna elettorale. Il politico membro delle Istituzioni per avere successo deve utilizzare e calibrare in un giusto mix la comunicazione elettorale e la comunicazione istituzionale.
Le regole della comunicazione politica sono semplici ma non banali. La prima regola, inderogabile, è parlare in maniera semplice. Attenzione: parlare in maniera semplice non significa parlare in italiano non corretto sbagliando i congiuntivi o fregandosene della consecutio. È molto più difficile parlare in maniera semplice e in italiano corretto piuttosto che inserire nel discorso termini aulici e costruire periodi pressoché infiniti che, nel migliore dei casi, fanno sembrare l’emittente un apparente intellettuale, salvo poi risultare per nulla incisivo ai fini della comprensione del messaggio da parte dei destinatari. La politica si fa su larga scala, il pubblico di elettori al quale ci si rivolge è ampio ed eterogeneo, pertanto, non si può usare un linguaggio tecnico o troppo aulico. A fare la differenza non è lo sfoggio di un vocabolario forbito, ma l’efficacia del messaggio che si propone. Bisogna partire dal presupposto che, fortunatamente, tutti i cittadini maggiorenni hanno diritto di voto a prescindere dalla condizione sociale, economica, culturale e, quindi, un politico parla a un pubblico formato da persone con istruzione, cultura, passioni completamente differenti. È diverso parlare in maniera tecnica di una patologia a un pubblico di medici piuttosto che parlarne a un pubblico di avvocati. Ogni pubblico specifico ha un linguaggio che solo i tecnici possono decodificare. La semplicità, invece, appartiene a tutti. Secondo un’analisi fatta dal Language Technologies Institute della Carnegie Mellon University in occasione delle presidenziali americane del 2016, i messaggi di Donald Trump risultano comprensibili persino a un bambino di 10 anni. Sintassi e vocabolario semplici si sono rivelati un’arma vincente per Trump nella corsa alla Casa Bianca. Trump è una persona colta, quindi non avere paura che presentandoti con un linguaggio semplice possano non essere percepiti la tua cultura e il tuo livello di istruzione. Tutt’altro! Allenarsi a utilizzare un registro linguistico semplice è un esercizio che richiede grande elasticità mentale e un’ottima dose di cultura affinché i messaggi possano essere resi accessibili a un ampio pubblico. Alcuni studi di psicologia, come quello sulla teoria della doppia codifica elaborato da Allan Paivio, hanno evidenziato come il cervello umano riesca a comprendere e ricordare meglio le parole concrete, quelle che evocano immagini, piuttosto che quelle astratte, poiché le parole concrete semplificano il contenuto del messaggio. Ecco perché le metafore sono degli espedienti comunicativi molto utilizzati dai bravi comunicatori.
Regola n. 4: è importante parlare in maniera semplice, ma ciò non significa parlare in italiano non corretto sbagliando i congiuntivi o fregandosene della consecutio.

Come è nata l’idea di questo libro?
Il libro nasce da un bisogno del tutto intimo. In un periodo particolare della mia attività professionale sentivo impellente la necessità di tirare una linea e ripartire. Non c’è stato strumento più terapeutico che condensare tutte le esperienze in un manuale. Scrivere un libro è un’esperienza in qualche modo catartica, le parole è come se assumessero forma e diventassero strumenti pratici e non più astratti. È solo in un secondo momento che ho deciso, su spinta di amici e colleghi, di pubblicare il libro e metterlo a disposizione di quanti avessero avuto voglia di accoglierne i contenuti. La comunicazione, specie quella pubblica, ha un ruolo oltremodo importante nella formazione degli individui e chi ha l’ambizione di ricoprire cariche istituzionali ha, altresì, il dovere di avere consapevolezza dello strumento. La comunicazione, dunque, non è solo propaganda, la propaganda è sicuramente un aspetto legittimo della comunicazione ma non il solo. Questo libro si pone l’ambizioso obiettivo di fornire una bussola a candidati e membri delle Istituzioni per navigare nell’agitato mare della comunicazione digitale e persuasiva.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Sembrerà assurdo ma il lavoro più duro è stato quello di togliere. In prima battuta avevo buttato giù così tanti contenuti che potenzialmente avrei potuto confondere il lettore. La difficoltà maggiore è stata questa, anche da un punto emotivo perchè eliminare dei contenuti era come eliminare parte del mio percorso. Avendo però deciso per la pubblicazione era necessario fornire al lettore la migliore delle esperienze nella fruizione dei contenuti.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Dal punto di vista culturale la mia vita è stata “stravolta” dall’incontro, al liceo, con Il Principe di Machiavelli. Un’opera che ho letto innumerevoli volte percependo sempre quel senso di straordinarietà e di grandezza. Mi piace spaziare e mettere in relazione autori di epoche diverse e immaginare cosa avrebbero potuto scambiarsi qualora si fossero incontrati: Cicerone, Weber, Friedman fino al contemporaneo Galimberti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata e cresciuta in Basilicata, nella culla della Magna Grecia. Ho da sempre un rapporto conflittuale con la mia terra: la amo profondamente, trovo sia avvolta da affascinanti contraddizioni, ma allo stesso tempo è come fosse un abito troppo stretto che necessita di essere smembrato e riconfezionato. Mettere in discussione per poi riscoprire è la mia cifra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe scrivere un libro sulla “professione” di cittadino. Troppo spesso si pensa che quello dei cittadini sia un ruolo passivo, limitato all’espressione di voto. Trovo invece che il cittadino sia responsabile tanto quanto la classe politica dello stato in cui versa una società. Bisognerebbe riappropriarsi della centralità del proprio ruolo di cittadini attraverso un’azione di responsabilizzazione.
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