
Edito da Cesvol Umbria - Terni • Pagine: 109 •
Cosa vuol dire per un bambino o adolescente avere uno o entrambi i genitori affetti da un disturbo mentale? Quali sono i suoi vissuti e le sue emozioni? Come possono trovare espressione? A chi ci si può rivolgere in caso di bisogno?
Il libro di Stefania Buoni, fondatrice e presidente dell’Associazione di Promozione Sociale “COMIP - Children of Mentally ill Parents”, cerca di fornire una risposta a questi quesiti. Si rivolge direttamente ai piccoli caregiver, a chi, pur essendo figlio, si trova ad essere genitore dei propri genitori.
Quando mamma e papà hanno qualcosa che non va: a chi si rivolge
I dati che si possiedono sui giovani caregiver ci dicono che ci sono tanti bambini e ragazzi che si trovano a dover affrontare da soli la patologia del proprio genitore, a doversi occupare di faccende quotidiane e domestiche o dei fratelli più piccoli dimenticandosi o dovendo accantonare i propri sogni e desideri di bambini. Il silenzio, la solitudine e l’isolamento è ciò che spesso caratterizza queste famiglie per il timore dello stigma sulla malattia mentale, per vergogna e tutto questo comporta una sofferenza ancora maggiore.
Il libro intitolato "Quando mamma o papà hanno qualcosa che non va" vuole essere una sorta di guida per questi ragazzi alla sopravvivenza, alla comprensione del proprio dolore, alla condivisione. È un modo per dare voce ed esplorare quei vissuti che spesso vengono soppressi, non compresi e non accolti da nessuno perché a volte la malattia del genitore è indicibile o il genitore stesso rifiuta le cure e non accetta l’aiuto.
La prevenzione e l’informazione sono gli obiettivi primari del libro e dell’associazione, per superare alcuni tabù e imparare a chiedere aiuto quando necessario.
Quando mamma e papà hanno qualcosa che non va: un valido aiuto per bambini e ragazzi
Il libro si apre con alcuni estratti di storie di giovani caregiver in cui è possibile riconoscersi e rispecchiarsi. Segue una descrizione sintetica sui principali disturbi mentali per fornire informazioni su ciò che accade ai genitori e favorire una maggiore comprensione dei loro sintomi più acuti. Subito dopo largo spazio viene dedicato alle emozioni di questi bambini o ragazzi per favorire una esplorazione di sé e una riscoperta dei propri bisogni da bambino; la paura, la vergogna, la rabbia, il senso di colpa, la tristezza, il senso di responsabilità e la sensazione di isolamento sono solo alcune delle emozioni che spesso vivono i giovani caregiver. E questo può portare a sentirsi sfiduciati, senza punti di riferimento, non amati o non compresi. Molti di questi vissuti emotivi possono comportare delle difficoltà anche in età adulta, nelle relazioni con gli altri ed è opportuno spesso esplicitarli, rielaborarli affinché non compromettano anche la propria vita futura.
Nel capitolo successivo viene prestata attenzione, invece, alle qualità e alle caratteristiche positive che possono sviluppare i giovani caregiver con genitori affetti da un disturbo mentale. Tali esperienze, se da un lato possono compromettere la propria serenità nel presente e nel futuro, dall’altro possono diventare motivo di resilienza e di sviluppo di punti di forza e qualità.
Vengono successivamente forniti consigli, i numeri di emergenza da contattare in caso di necessità e una descrizione dei principali servizi sul territorio ai quali ci si può rivolgere per ricevere assistenza e ascolto. E a proposito di resilienza molti di questi ragazzi entrano a far parte di associazioni di promozione sociale o di gruppi di auto mutuo aiuto online, allo scopo di fornirsi supporto a vicenda e di dare voce a vissuti che altrimenti rischiano di restare sepolti e inespressi.
Un libro davvero utile, semplice, profondo, che si rivolge direttamente a questi giovani caregiver per non lasciarli soli, per dare supporto e consigli, per favorire un’informazione e una espressione di emozioni contrastanti, che spesso non trovano spazio.
È possibile ricevere una copia del libro con un contributo alla campagna di crowdfunding su Buona Causa.
Il libro “Quando Mamma O Papà Hanno Qualcosa Che Non Va - Miniguida alla sopravvivenza per i figli di genitori con un disturbo mentale” di Stefania Buoni è la prima pubblicazione targata COMIP - “CHILDREN OF MENTALLY ILL PARENTS - Associazione di Promozione Sociale”.
Il libro è destinato a giovani caregiver, minori con responsabilità di cura, ma anche a giovani adulti e adulti che hanno una mamma o un papà (o entrambi) affetti da un problema di salute mentale.
E’ rivolto inoltre anche alla rete sociale più estesa per sensibilizzare ed informare e contribuire a creare una rete di supporto per questi minori. La lettura è perciò fortemente raccomandata anche a familiari, amici, insegnanti, professionisti della salute mentale, pediatri, medici di base, educatori professionali, infermieri, operatori dei servizi sociali, allenatori sportivi e in generale a tutti coloro i quali entrano in contatto con minori e famiglie e con situazioni di fragilità. Dunque è caldamente consigliata anche ai rappresentanti delle forze dell’ordine, agli operatori del 118, agli avvocati, ai magistrati, agli assessori alle politiche sociali e giovanili, a tutte le istituzioni che si occupano di bambini e adolescenti.

Introduzione
Perché questo libro? Perché di malattia mentale genitoriale si parla ancora troppo poco e a farne le spese sono quasi sempre i più vulnerabili, sia per motivi anagrafici che per motivi giuridici: i figli. Quanti sono, esattamente, in Italia? Purtroppo non esistono ad oggi numeri ufficiali. Sappiamo solamente che i giovani caregiver tra i 15 e i 24 anni sono circa 170 mila (dati Istat, 2011), ma il numero è senz’altro sottostimato perché non include solo genitori affetti da una malattia mentale, ma anche genitori con patologie fisiche e dipendenze da alcol o sostanze ed esclude i figli di coloro che non sono stati diagnosticati e non sono in trattamento per la propria patologia psichiatrica. Nella stima mancano inoltre bambini e giovani adulti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice, comunque che, nel mondo, circa 400 milioni di persone soffrono di depressione, 60 milioni di disturbo bipolare e 21 milioni di schizofrenia. Di queste, circa un quarto sono genitori. Non è difficile immaginare che anche in Italia, dunque, il numero di figli di persone affette da disagio psichico superi ampiamente il milione. Eppure sono ancora, molto spesso, completamente invisibili. Come un iceberg, di cui emerge solamente la punta.
Questo vuole essere un primo passo nella direzione di rendere questa tematica sempre meno tabù e favorire un dialogo sereno e aperto vòlto non alla colpevolizzazione del genitore che vive una condizione di sofferenza mentale, più o meno grave, diagnosticata o non, di cui sia consapevole o meno, ma a comprendere come attrezzarsi per farvi fronte, specie quando le conseguenze ricadono sui più piccoli. Perché il silenzio porta all’incomprensione, e l’incomprensione porta spesso all’isolamento. L’isolamento è sinonimo di solitudine e, in assenza di reti di supporto, alla lunga, si moltiplicano i fattori di rischio che possono contribuire alla trasmissione intergenerazionale del disagio psichico.
Numerosi studi internazionali hanno dimostrato che non è tanto la genetica a determinare l’insorgenza di un disturbo psichico, quanto il particolare mix dei fattori di rischio con i fattori ambientali, sociali e familiari. Su questi possiamo e dobbiamo lavorare per fare in modo che le prossime generazioni possano contare su maggiori conoscenze e strumenti per prevenire, affrontare ed eventualmente gestire il dolore dell’anima evitando che degeneri e si trasformi, anziché in un necessario veicolo per l’evoluzione umana e parte intrinseca dell’esistenza stessa, in una condizione estrema e permanente, potenzialmente degenerativa e dannosa per sé e per gli altri. In estrema sintesi, comprendere, accettare ed assumerci, noi tutti, la responsabilità della nostra salute, non soltanto fisica, ma – in primis – mentale. Un assunto che potrebbe sembrare ovvio ma che, alla prova dei fatti, in realtà, non lo è affatto.
Perché una miniguida alla sopravvivenza? Perché ad oggi, nel 2018, non esistono ancora servizi capillari ed esclusivi di sostegno, accessibili a tutti, rivolti ai minori, bambini e adolescenti, ma anche giovani in fase di transizione verso l’età adulta, che abbiano in famiglia uno o entrambi i genitori affetti da una patologia psichiatrica, più o meno conclamata. Questo manualetto, che per ovvi motivi, non può essere né risolutivo né esaustivo delle complessità di una tematica tanto delicata e ancora ampiamente da esplorare, come dimostra lo stato dell’arte della ricerca internazionale sull’argomento, vuole essere un primo squarcio nel muro del silenzio rivolto in particolar modo a ragazzi e ragazze i cui genitori non hanno consapevolezza di malattia e/o rifiutano le cure. Sono i più invisibili, coloro che hanno bisogno maggiormente di sapere come andare avanti con la propria vita anche se la loro madre o il loro padre, quando non addirittura entrambi, faticano a vivere la propria. E’ a loro che ogni parola è dedicata, perché possano – mi auguro – trovare un po’ di forza nel leggere che la loro sofferenza è riconosciuta ed ha altrettanto diritto di cittadinanza di quella di chi li ha messi al mondo, anche se non sono loro – ufficialmente – ad essere i malati. Ma potrebbero diventarlo, se la fragilità e/o instabilità genitoriale dovesse persistere ed aggravarsi e loro, i figli, non ricevessero tempestivamente l’aiuto di cui necessitano per contrastare i fattori di rischio e potenziare i fattori protettivi.
Ecco, allora, perché il libro mi auguro lo leggano anche i professionisti che operano a contatto con minori e famiglie. Non soltanto gli operatori della salute mentale, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri, infermieri, ma anche insegnanti, pediatri, medici di base, operatori dei servizi di emergenza e soccorso, avvocati, giudici, assistenti sociali, educatori professionali, genitori, nonni, zii, amici, compagni di scuola e tutti coloro i quali entrano in contatto con minori e famiglie. Ciascuno di loro, in modo diverso, in circostanze diverse, può davvero fare la differenza per questi minori se adeguatamente informato, e divenire un tassello, piccolo o grande, della rete sociale di cui ognuno di noi, in quanto essere umano, necessita per sopravvivere. Chi parte con un carico più grande sopra le proprie spalle, un carico in questo caso reso ancor più pesante dallo stigma e dalla vergogna, ne ha bisogno ancora più degli altri, anche se il più delle volte non è neanche messo nella condizione di poter chiedere aiuto.
E’ importante sempre ricordare che non tutti i figli sperimentano ciascuno degli strati dell’iceberg di seguito descritti e che non tutti reagiscono allo stesso modo, che alcuni dispongono di maggiori fattori protettivi, altri hanno purtroppo maggiori fattori di rischio. Ragazzi e ragazze, uomini e donne, hanno inoltre modi diversi di affrontare la situazione, di conseguenza cambia anche il tipo di approccio da utilizzare per un intervento di supporto che possa esser loro di giovamento. Alcuni figli hanno avuto, nonostante tutto, dei genitori amorevoli, altri hanno subito prevalentemente abusi. Alcuni figli hanno vissuto con i genitori, altri ne sono stati allontanati ed hanno vissuto fuori famiglia (i cosiddetti careleavers), presso case famiglia, genitori affidatari o altri parenti. Alcuni non hanno mai conosciuto il genitore prima che si ammalasse, altri hanno vissuto un prima e un dopo. Alcuni figli restano invischiati a vita nelle dinamiche familiari, se ne fanno carico ed assumono su di sé il ruolo di salvatori/salvatrici. Temono che il loro allontanamento possa avere conseguenze negative sulla vita dei loro genitori. Altri figli, al contrario, scelgono la via dell’allontanamento, spesso seguiti da una scia di colpevolizzazioni, interne ed esterne, e critiche. Altri cercano, a fatica, di raggiungere un complicato equilibrio tra la vita propria e quella dei propri cari, equilibrio che può venire scombinato all’improvviso e crollare rovinosamente come un castello di carte. Scopo di questo testo e dell’associazione nell’ambito della quale è nato è gettare alcuni primi semi per permettere di comprendere ed elaborare questa intricata matassa.
Prevenzione, prevenzione e ancora prevenzione!
Ad alcuni il libro, e in particolare questo primo capitolo, potrà forse sembrare “troppo” diretto ed inappropriato per i ragazzi. Nonostante i dubbi, la scelta è stata di mantenerlo tale. Il silenzio su questi argomenti non si è finora rivelato di alcun aiuto per questi minori. Forse iniziare a romperlo potrebbe invece rivelarsi benefico ed aiutarli a sentirsi meno soli e più compresi. Ed inoltre parliamo di ragazzi e ragazze che già in famiglia si sono trovati a vivere situazioni ben più inappropriate di quanto descritto. Parlarne non sarà certo peggio che averle vissute.
Fare informazione sui disturbi mentali, sul disagio che possono vivere i figli di genitori che ne soffrono e sui percorsi possibili per prendersi carico della propria sofferenza fin dai primi sintomi è fondamentale. Spesso si cerca aiuto quando i sintomi sono ormai già molto gravi, mentre agendo preventivamente si può evitare il degenerare della sofferenza e la cronicizzazione dei disturbi. In questo i figli di genitori con disturbi psichici possono essere avvantaggiati proprio in virtù della loro storia familiare: l’aver avuto una madre o un padre che hanno avuto difficoltà a comprendere e gestire la propria salute mentale, potrebbe spingere invece i loro figli ad essere molto più attenti ai segnali del proprio malessere fin dall’inizio e più consapevoli dell’impatto che ha sugli altri il non prendersi la responsabilità – uso questa parola non a caso – della propria salute mentale. Se adeguatamente informati, saranno con molta probabilità più pronti a cercare per tempo un aiuto professionale, per il bene proprio e delle persone che amano. Sapranno che non dovranno necessariamente accontentarsi del primo professionista che troveranno sulla loro strada ma che hanno facoltà di scegliere cosa è meglio per sé e che non è mai troppo tardi per iniziare a lavorare al proprio benessere, riscoprire le proprie potenzialità e migliorare la propria qualità di vita.
Quando ho scritto la prima stesura di questo libro era l’estate del 2017 ed ero in una fase di transizione che stava rischiando di portarmi a mollare tutto, dopo anni di sacrifici che non trovavano uno sbocco concreto. Volevo perciò lasciare una testimonianza di quanto fatto e appreso fino a quel momento, che potesse essere di aiuto ad altri. Per fortuna non mi sono arresa e, pochi mesi dopo, il 20 novembre del 2017 – non a caso giornata internazionale dei diritti dell’infanzia – grazie all’aiuto del Cesvol, il Centro Servizi per il Volontariato di Terni, sono riuscita finalmente a fondare insieme a Gaia Cusini, Carlo Miccio e Marco Fiore, la prima associazione italiana creata da e per i Figli di Genitori con un Disturbo Mentale: COMIP – CHILDREN OF MENTALLY ILL PARENTS. Un nome che contiene già in sé alcuni degli elementi chiave che ci connotano (COMunicazione, Informazione e Prevenzione) e che vuole essere, allo stesso tempo, un omaggio a due organizzazioni australiane cui ci sentiamo profondamente debitori, COPMI (CHILDREN OF PARENTS WITH A MENTAL ILLNESS) e COMIC (CHILDREN OF MENTALLY ILL CONSUMERS). La nascita della nostra associazione ci ha consentito di iniziare a colmare un vuoto assordante e di connetterci con tanti altri figli, in tutta Italia, con cui desideriamo intraprendere un lavoro di cambiamento. La nostra voce è già arrivata a Bruxelles, dove il 6 marzo 2018 siamo stati invitati a dire la nostra ad un incontro sui giovani caregiver al Parlamento Europeo intitolato “Young Carers: Challenges & Solutions”. E non finisce qui… Tantissime altre iniziative ci aspettano. Chissà, magari proprio insieme a te che ci stai leggendo!
Stefania Buoni,
Presidente e Fondatrice
“CHILDREN OF MENTALLY ILL PARENTS
Associazione di Promozione Sociale”

Come è nata l’idea di questo libro?
Ho pensato a cosa avrei voluto sapere io quando avevo 15 anni e i miei genitori hanno iniziato a stare male. Mi sono messa nei panni della “me adolescente” e ho cercato di prenderla per mano, di guidarla, con dolcezza e fermezza, verso la consapevolezza e strumenti concreti per riconquistare la serenità e il benessere. Ho anche avuto la forte spinta a lasciare un segno tangibile di quanto avevo maturato e appreso nei lunghi anni del mio percorso di “guarigione” personale e di attivismo per la causa, unito al forte desiderio di trasformare la mia esperienza dolorosa in semi per un cambiamento positivo. In questo senso scrivere questo libro è stato per me passare dal senso di impotenza, che spesso rischia di schiacciare chi vive in famiglia la problematica del disturbo psichico genitoriale, all’attivarsi in prima persona per fare in modo che ad altri non debba accadere quello che è capitato a te. Un progetto ambizioso, che portiamo avanti anche con l’associazione CHILDREN OF MENTALLY ILL PARENTS, che ho fortemente voluto e fondato il 20 novembre 2017 insieme ad altri figli, ex giovani caregiver e agenti attivi di cambiamento come me.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato in realtà difficile portarlo a termine, perché una volta accesa la scintilla è stato un processo abbastanza naturale. Faticoso è stato più che altro il processo di revisione. Inizialmente avevo iniziato a scrivere usando la terza persona, ma rileggendo i capitoli li sentivo troppo freddi e distanti e invece io volevo avvicinare, creare calore e così ho riscritto tutto dando del tu al lettore e i riscontri che sto avendo mi confermano che è stata la scelta giusta! Altra difficoltà sono stati i miei dubbi iniziali su come l’avrebbero accolto i miei pari, gli addetti ai lavori e i genitori, dato che il libro è stato scritto dal punto di vista di una figlia esperta per esperienza. E anche in questo caso l’esito è stato più che positivo, anzi, davvero sorprendente! La miniguida voleva inoltre documentare quanto accade in Italia e nel resto del mondo e racchiude perciò il frutto di anni di volontariato dedito alla costruzione di un sistema di supporto nazionale e internazionale per bambini, adolescenti, giovani adulti e famiglie in cui uno o entrambi i genitori soffrono di una malattia mentale. Non solo parole, insomma, ma anche un oggetto tangibile che faccia da innesco e moltiplicatore di un processo di cambiamento che aspetta da troppo tempo di essere lanciato. Ecco perché insieme alla mia associazione CHILDREN OF MENTALLY ILL PARENTS stiamo lavorando tanto perché possa, grazie alle donazioni, raggiungere ogni biblioteca, ogni scuola, ogni centro di salute mentale, ogni consultorio (e non solo) d’Italia. Desideriamo lanciare fortissimo il messaggio “Non LasciamoCi Soli!” ed eliminare lo stigma che circonda la salute mentale. E ce la faremo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non ho autori di riferimento in particolare, ma apprezzo molto Joyce Carol Oates e Michael Cunningham, due autori che a mio avviso sanno raccontare molto bene le pieghe più profonde dell’animo umano. E amo molto anche chi, attraverso un libro, apporta un cambiamento sociale e culturale importante andando contro corrente e aggiungendo un nuovo tassello alla nostra interpretazione di noi stessi e della realtà. Un esempio è “Quiet” di Susan Cain, un libro che ha davvero cambiato il mio modo di percepire me stessa e il mio approccio verso il mondo. Prezioso!
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata a Roma e ho vissuto fino all’età di 30 anni ad Ostia, vicino al mare. Adesso vivo nella Tuscia, ad Orte, in provincia di Viterbo, un mondo totalmente diverso da quello cui ero abituata. Li amo entrambi. Entrambi fanno parte di me e mi completano.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In futuro spero di scrivere ancora. Un romanzo, però! Ma non ho fretta. Ho voglia di gustarmi tutto il percorso, assaporare ogni dettaglio. E poi dare vita a una storia che possa affascinare, emozionare e, come spero, anche smuovere qualcosa di importante!
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