
Edito da Ilaria Samarelli nel 29 Marzo 2020 • Pagine: 190 • Compra su Amazon
"Quando un Tic Toc ti cambia la Vita" è il diario di una storia vera che ha l'obbiettivo di raccontare un percorso di vita che migliaia di donne vivono ogni giorno.
Non è solo la storia di una gravidanza; è la vita, fatta di scelte, di problemi, di preoccupazioni, di sorprese e gioie. La vita di coppia con tutte le sue complicazioni e compromessi. Il rapporto con la categoria dei professionisti della medicina, capaci, professionali ma spesso privi di empatia.
Questo libro vuole essere un mezzo per informare, stimolare e rassicurare e perchè no, emozionare.

“Oh mio Dio! Ma che razza di pensieri sto facendo? Io, un bimbo, un bimbo… io? No! Non è il momento, non sono pronta, non me la sento, non possiamo permettercelo. E Fulvio? Non posso neanche immaginare di parlargliene! Non ci pensa neppure lontanamente. No, così com’è venuta l’idea se ne andrà. Ma sto diventando pazza? E se invece fosse il momento… se l’orologio biologico fosse scattato? E se ci volesse un sacco di tempo prima di rimanere incinta? Non ho vent’anni, ne compirò ventotto, non sono poi così giovane. E se fossero necessari due o tre anni di tentativi? Caspita, ne avrei già trenta o trentuno! Ma con quale coraggio lo dico a Fulvio? Amore, sai, mi sarebbe venuto un certo desiderio di avere un bimbo!”.
Insomma, ho trascorso la notte in bianco e, stamattina, mi sono svegliata stanca da morire e con mille domande nella testa.
Mi chiedo, da 0 a 100, cosa abbia scatenato in me questi pensieri, che fino a ieri non mi transitavano neppure per l’anticamera del cervello.
Non sono una di quelle donne che, appena vedono un neonato, s’inteneriscono. Solitamente, ignoro le mamme che spingono la carrozzina, anzi, m’infastidisco quando le mie amiche non riescono a resistere alla tentazione di infilare la faccia dentro le carrozzelle per vedere il frugoletto ‘morbidoso’ e poi fanno tutte quelle pantomime infantili e imbarazzanti: ghe ghe, ga ga, gu gu…
Di solito, in quelle situazioni mi allontano e rientro nel gruppo solo quando sono tornate ad essere persone adulte ed equilibrate.
Non mi emoziono mai se un’amica o una parente mi comunica di essere incinta e non le dedico più attenzioni di quelle che le concederei normalmente.
Insomma, fino a ieri, ero una persona tendenzialmente fredda nei confronti dell’argomento gravidanze, mamme e neonati.
Fatico a riconoscermi e fatico ancora di più a stoppare questi strani pensieri legati alla maternità, perché proprio non mi appartengono.
“Cosa cavolo mi sta succedendo? Ho bisogno di una vacanza. Sì, dev’essere questo”.
E se invece…
pag 45
Continuavo a guardare lo schermo, sperando di percepire qualcosa, ma i miei occhi visualizzavano solo macchie bianche, nere e grigie. Il silenzio si prolungava ed io credevo di impazzire, così mi sono girata verso Fulvio, sperando di trovare conforto in un suo sguardo, ma anche lui era attento e assorto a osservare il monitor. Sembrava, addirittura, che capisse… Improbabile!
L’ho fissato per un po’ pregando che si girasse e, finalmente, l’ha fatto. I nostri sguardi si sono incrociati per due secondi e ci siamo comunicati tutto.
“Amore, sono agitata, che succede?”
“Tranquilla tesoro, rilassati, andrà tutto bene!”.
L’attesa era snervante, tanto che, a un certo punto, ho chiesto:
“Dottore, allora, mi devo preoccupare?”
Il medico, resuscitato da una specie d’ipnosi da schermo in bianco e nero, con assoluta tranquillità, mi ha risposto:
“No, no, stia tranquilla, è tutto a posto; la misura è giusta, la posizione è corretta, ci sono due cuori”.
Il gelo… e cinque interminabili secondi di silenzio.
Fino a “la posizione è corretta” era esattamente quello che speravo di sentire, poi, però, ha aggiunto: “due cuori”.
“Due cuori? Come due cuori? Ma ha un grossissimo problema questo bambino! E, allora, perché il dottore non sembra preoccupato? Forse si può vivere con due cuori e la cosa non è, poi, così rara? Non capisco” ho pensato in una frazione di secondo. A quel punto, mi sono lanciata e gli ho chiesto:
“Dottore, ma un bambino può vivere con due cuori?”.
Nuovamente il gelo. Fulvio ed io ci siamo guardati reciprocamente, uno più esterrefatto dell’altra. Sono seguiti alcuni interminabili secondi di silenzio.
“Signora, ma cosa sta dicendo? Due cuori significa due bambini!”.
Fulvio ed io ci siamo guardati nuovamente, ma questa volta con un’espressione terrorizzata. Ho pensato un attimo, ho rilasso le rughe sulla fronte, ho fatto un bel sorriso, assolutamente certa che si trattasse di una burla di cattivo gusto, e ho detto:
“Ah, dottore, ho capito, è uno scherzo! Lei dice così a tutte le giovani coppie che aspettano il loro primo figlio! Che simpaticone… ora però ritorniamo seri!”.
A quel punto, il medico, evidentemente risentito, mi ha risposto:
“No, signora, torni lei seria, io non sto scherzando, lei ha due bambini nella pancia, gemelli, adesso le faccio vedere, guardi lo schermo, riconosce queste due macchiette che pulsano a ritmo regolare? Bene, quelli sono i due cuori dei suoi due bambini, ora glieli faccio anche sentire!”.
In un istante mi è crollato il mondo addosso…
pag. 125
Siamo arrivati a Cuneo ieri, intorno all’ora di pranzo, per trascorrere il fine settimana con le nostre famiglie. Finalmente, dopo quasi due mesi, siamo riusciti a rivederle! Proprio la mancanza della famiglia è uno dei motivi che mi ha spinto maggiormente verso la decisione di cambiare vita.
I nonni sono fondamentali nella crescita di un bambino e non voglio che i miei bimbi abbiano poche occasioni per viverli. Immagino, spesso, la scena di Oliver e Dennis che sciano insieme a nonno Enzo, vanno a teatro con Nonna Silvana o raccolgono funghi con nonna Giuliana. Mi piacerebbe, anche, immaginarli in barca con mio padre, ma questo, sfortunatamente, non succederà mai.
Toccherà a me raccontare ai miei figli del loro nonno marinaio, quel nonno che ha preso la via del mare all’età di quattordici anni e che ha fatto della nave la sua casa e buona parte della sua vita. Quel nonno austero e integerrimo che, però, voleva bene alla loro mamma, anche se in un modo tutto suo. Poco incline alle smancerie, ma concreto e pratico, impulsivo e capace di cavarsela sempre. Individueranno in me molti tratti del suo carattere e spiegherò loro che, proprio a causa di queste somiglianze caratteriali, spesso, eravamo in conflitto. Il nonno lupo di mare, quello terrone che, anche dopo aver vissuto per quarant’anni al nord, non riusciva a perdere la cadenza meridionale e il dialetto siciliano che tanto gli appartenevano.
Il nonno pelato, non molto alto, che da giovane faceva gare di rock and roll acrobatico e, anche in questo, riconosceranno in me e nella mia passione per la danza una tradizione di famiglia. Sarà bello poter rivivere mio padre sotto forma di nonno, anche solo attraverso i racconti, sarà come riportarlo in vita.
Sono convinta che ogni nonno avrà un punto di forza che lo distinguerà dagli altri ed un ruolo fondamentale nella vita dei miei bambini, contribuendo alla loro formazione, alla loro educazione e alla loro maturazione. Ma ciò sarà possibile solo se vivremo a Cuneo.
pag 176
Ecco chi mi poteva stare a sentire! La ginecologa che mi aveva traumatizzato a tal punto da farmi decidere di portare avanti la gravidanza senza ulteriori pareri medici. Lei, quella che avevo odiato immensamente per aver gettato una macchia grigia sul mio momento da sogno: la dottoressa Tessa!
L’avevo vista passare per i corridoi del reparto di ginecologia durante le visite, quindi esercitava anche all’ospedale, oltre ad avere uno studio privato. Forse lei poteva aiutarmi, forse lei, che avevo detestato con tutto il mio cuore, mi avrebbe levata da quello stato di stallo in cui mi trovavo. Non sapevo bene come presentarmi e come raccontarle i miei ultimi otto mesi, senza rischiare di farla irrigidire.
“Ha fatto le sue scelte, non mi ha ascoltata, ora si arrangi!” avrebbe potuto rispondermi, a ragion veduta.
Ma dovevo fare un tentativo. Dovevo trovare le parole giuste che solleticassero la sua egocentricità. Nella mezzora che avevo trascorso con lei, ero riuscita a cogliere il suo lato presuntuoso, arrogante e saccente. Era una donna molto sicura di sé, convinta di essere una brava ginecologa, forse, addirittura, la più brava. Se fossi riuscita a farla sentire la ‘Giovanna d’Arco’ della situazione, l’eroina, probabilmente avrei avuto qualche chance di entrare nelle sue grazie. Dovevo farle credere di essere l’unica che potesse aiutarmi e così, spinta dalla smania di onnipotenza, forse mi avrebbe aiutata veramente.
“O la va o la spacca”, mi sono detta, e ho composto il numero di telefono.
“Pronto?”
“Dottoressa, buonasera, sono Samarelli. Ci siamo conosciute sette mesi fa, ero venuta presso il suo studio per fare una visita ginecologica. Non so se si ricorda di me, sono quella che aspetta due gemelli. Mi aveva detto che avrei dovuto farmi seguire in uno dei due ospedali di Milano, Buzzi o Mangiagalli, ma, invece, sono ricoverata presso l’ospedale Maggiore di Crema. Ci siamo incrociate un paio di volte, qui, nel corridoio”.
“Sì, mi ricordo e allora?”
“Senta, io ho un problema e solo lei mi può aiutare, qui nessuno mi vuole ascoltare”.
“Mi dica, di cosa si tratta?”
“Mi hanno fissato il parto cesareo per il 24 dicembre, ma io sto male. Sono tre giorni che, praticamente, non urino; sono gonfia, drammaticamente gonfia. Ho le gambe enormi e prendo un chilo al giorno, credo dipenda dalla ritenzione idrica. In questi otto mesi sono sempre stata bene. Posso dire di aver avuto una gravidanza quasi perfetta e sono stata sempre molto serena e rilassata, forse troppo. Ma ora sento che c’è qualcosa che non va. Lo sento. La prego, mi aiuti”.
Dall’altro lato della cornetta un silenzio tombale. Poi:
“A che settimana è?”
“Trentasei più due”.
“Capisco. Per quando è programmato il cesareo?”
“Come le ho detto, per il 24 dicembre”.
Un altro silenzio interminabile… poi l’impossibile è diventato possibile.
“Ma stiamo scherzando? Lei avrebbe già dovuto partorire. E’ risaputo che, nelle gravidanze gemellari, dopo la 36esima settimana, la placenta inizia a invecchiare. Non mi stupisco che si senta male. Allora, facciamo così, domani mattina, intorno alle sette – sette e trenta, io sarò in reparto. Lei non faccia colazione e vedremo come intervenire…”.
“Va bene dottoressa, grazie dottoressa!”.
Non avrei scommesso un centesimo che mi avrebbe preso in considerazione. Probabilmente la frase: “Solo lei mi può aiutare” l’ha colpita nel vivo della sua autostima. Non so bene come pensa di procedere, ma so che, nonostante la ritenga una stronza psicopatica, sicuramente è una persona che vuole andare in fondo alle cose e farà di tutto, spero, per assicurarsi che, per i miei bambini e per me, non ci sia alcun pericolo. Mi ha anticipato di non fare colazione, ciò mi induce a pensare che, domani, potrebbe essere il giorno ‘0’ e sono terrorizzata, ma anche eccitata.
pag 184-185
Si è girata e se n’è andata, così, senza sorrisi, senza trasporto emotivo.
Che donna particolare, totalmente priva di emozioni e di empatia. Aveva assolto un compito, portato a termine una missione. Era ‘l’eroina’ e questo le bastava. I convenevoli non erano necessari nel suo modo pragmatico di interpretare la vita. Mi sono resa conto, in quell’istante, che era più simile a me di quanto potessi immaginare.
Ho approfittato di quel momento di solitudine per telefonare immediatamente a Fulvio. L’avevo avvertito la sera precedente che oggi, forse, sarebbe, arrivato il giorno ‘0’ ed eravamo rimasti d’accordo che, se la possibilità si fosse trasformata in realtà, gli avrei telefonato e, lui, avrebbe mollato il lavoro per raggiungermi.
“Pronto?”
“Amore, ci siamo, hanno deciso di farmi partorire oggi!”
“Oggi quando?”
“Penso tra un paio d’ore!”
“Ok, arrivo immediatamente!”.
La telefonata è stata telegrafica, eravamo entrambi troppo emozionati e agitati per lasciarci andare in lunghi discorsi.
Lodi-Crema sono circa trenta chilometri e, spesso, la strada statale cremasca è molto trafficata.
“Se becca la coda, non arriva in tempo” mi sono detta.
Poco più tardi, sono stata prelevata da due infermiere e portata in una stanzetta. In pochi minuti, dopo avermi messo le calze elastiche anti-trombosi, il catetere e la vestaglia di carta, mi hanno rasata. Ero convinta che mi radessero l’inguine. Magari avessero depilato solo l’inguine! La lametta ha fatto il giro di tutta la pancia, fin sopra l’ombelico. Spero che, quando ricresceranno, i peli non saranno ispidi come la barba. Nel farlo, non sono state molto delicate, ma sicuramente efficaci. Terminato il trattamento ‘estetico’, mi hanno riportato nella mia stanza.
Ed ora sono qui. Aspetto che mi vengano a prendere e aspetto mio marito.
Mi fa sorridere il fatto che fino a ieri sera nessuno mi considerasse, anzi, molti ritenevano che fossi lamentosa e inutilmente preoccupata. Invece, dalle sette e quaranta di questa mattina, sono diventata una ‘Regina’. Ogni spostamento l’ho fatto in carrozzella e, quando ho provato a dire che ero in grado di camminare, mi hanno risposto:
“No signora, stia tranquilla, ci pensiamo noi!”
Viva il potere persuasivo della ‘Dottoressa d’Arco’, così l’ho soprannominata! E’ incredibile come quella donna sia riuscita a mettere in riga un intero reparto in meno di cinque minuti. Prima la odiavo, adesso la amo.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata 10 anni fa. Ho attraversato uno degli anni tra i più incredibili e surreali della mia vita. Non volevo dimenticarmene e così l’ho scritto. Rileggere ciò che è stato a distanza di anni è strano… mi sembra di vivere la storia di qualcun altro, come se non mi appartenesse ma provando un’emozione viscerale. E’ strano.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato molto difficile portare a termine il libro perché per 10 anni ho avuto il diario nel cassetto ma non era lontanamente un libro. Erano solo tanti appunti scritti di impulso e male. Poi, sei mesi fa mi sono decisa a farlo diventare un libro perché volevo “chiudere la finestra” e avere la soddisfazione di dire a me stessa: brava, ce l’hai fatta! 6 mesi davanti al pc per ameno 8 ore al giorno. Faticoso, lungo, alcune volte noioso, ma ne è valsa la pena.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non ho degli autori di riferimento e non amo un genere in particolare. Posso dire con assoluta certezza che, al liceo ho amato il Leopardi e Dante Alighieri mentre all’università sono rimasta affascinata dal drammaturgo svedese Strindberg e che ho adorato Coleridge. The Rime of the Ancient Mariner, letta in lingua originale, per me è un’opera d’arte.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho vissuto in diverse città d’Italia (Genova, Milano, Crema) prima di trasferirmi in forma quasi stabile in quel di Peveragno, piccolo paesino alle porte di Cuneo. Il “quasi stabile”, indica che non posso dire con certezza se a Peveragno metterò le radici. Il mondo mi piace troppo per precludermi la possibilità di vivere in altri mille posti, prima di diventare vecchia. Ho viaggiato molto in questi miei primi 39 anni di vita, un po’ per lavoro e un po’ per svago. Praga, Bratislava, Cracovia, Madrid, Barcellona, Londra, Parigi, Malindi, Toronto, Cairo, Hammamet, Miami, Doha sono solo alcune delle città che ho avuto il piacere di visitare, a volte per lavoro, altre per svago. Amo viaggiare, confrontarmi con modi e usanze differenti dalle mie. Ogni posto, con le sue peculiarità, mi ha lasciato ed insegnato qualcosa. Penso che viaggiare sia uno strumento formativo importantissimo, in grado di allargare i confini delle proprie vedute. Il mio mantra è: “Chi viaggia vive due volte!”.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho in mente altri tre libri che mi piacerebbe scrivere e pubblicare entro il 2022. Saranno tutti di narrativa ed avranno sempre come protagoniste le donne. La donna, per me, è un universo complesso e affascinante che merita di essere raccontato.
Lascia un commento