Edito da Guida Editori nel 2021 • Pagine: 538 • Compra su Amazon
Svaniti l’antica humanitas e l’incanto del mondo, che erano il sostrato delle favole, una ripresa del genere rischia di favorire la trappola apologetica e – come già la restante cultura – conciliare l’individuo con i meccanismi dell’invalso. In quest’opera invece si tenta di cogliere il sostrato impalpabile del mondo contemporaneo, un “favoloso” dall’aspetto terribilmente disumano, e restituirlo alla riflessione. Questa, grazie alla peculiare forma favolistica, ha la possibilità di intuire l’essenza del reale e sottrarsi al suo silenzioso dominio. Un libro di favole dunque non per addormentare i bambini ma per svegliare gli adulti, e far sì che smettano di credere alle favole spacciate per verità.
Tutti, nel regno di Tessaglia, avevano udito la tremenda parola dell’oracolo: il popolo, l’esercito, la corte, tutti sapevano che Admeto, l’amato re, sarebbe morto se qualcuno non si fosse offerto al suo posto. E tutti si erano rivolti, almeno nel pensiero, alla moglie del re, la fedele Alcesti, che sembrava il candidato ideale al sacrificio.
Il sommo sacerdote, unico fra tanti, osò parlarle apertamente: «Mia regina» le disse «il regno si trova in uno stato di prostrazione come mai in passato. Colpito da un male incurabile che ha sfidato l’arte dei migliori medici, il nostro amato re giace sul letto di morte, all’ombra delle ali di Thanatos, che pregusta il crudele trionfo. Il popolo è in lacrime per la vita di chi considera più un padre che un sovrano, i grandi del regno tremano all’idea che presto la saggia mano di Admeto non reggerà più i nostri destini, tutti, o regina, si volgono a te con un pensiero solo, un pensiero al quale io presto la mia umile e accorata voce: sii tu a far sì che l’oracolo trovi fausto compimento.
«Chi meglio di te, moglie amorosa e devota, angelo del real focolare, prodiga generatrice di eredi, sostegno efficace ma discreto del consorte, scrigno di virtù domestiche, acme di indulgenza verso le occasionali sbandate di Admeto, chi più di te può aspirare a tanta impresa? Non ardi dal desiderio di spogliarti di una vita che, priva del consorte, perderebbe ogni significato? Quale maggior prova di dedizione di questa, che supererebbe quella di spose che si sono immolate sì sul corpo del marito, ma senza giungere con ciò a ridonargli la vita? Alcesti potrebbe farlo. Tu potresti fare ad Admeto il dono più raro, quel che nessun uomo ha mai ricevuto.
«I numi del cielo guarderebbero increduli al tuo sacrificio, ti accoglieranno nel consesso celeste e si contenderanno l’onore di avere un simile spirito alla propria destra; la fama scorderebbe le gesta dei grandi eroi per parlare di te giorno e notte, volerebbe in ogni angolo del mondo per riempirlo delle tue lodi, pur sapendo che resteranno al di sotto del merito, e farà di te, o regina, lo stupore dei posteri. Sono certo, se mi concedi la libertà di dirlo, che non soffriresti nemmeno l’idea che qualcuno fra i tuoi sudditi ti precedesse nel sommo onore di donare la vita per Admeto e ti rapisse l’occasione di ascendere all’immortalità. Perdona, se ti sono sgradite, parole che non vengono solo dal mio cuore».
Alcesti aveva ascoltato con attenzione il sommo sacerdote, e continuava a scrutarlo con aria leggermente sorpresa, forse infastidita; dopo aver disteso i lineamenti e ritrovato il suo etereo sembiante, rispose: «Non trovo ingiuria nelle tue parole, che riflettono, come hai giustamente detto, un sentire diffuso. Piuttosto è a quest’ultimo che guardo con compatimento. Di fronte a un oracolo così crudele nessuno ha esitato a pensare che la moglie dovesse sacrificarsi per il marito – ma se fosse la moglie a giacere in fin di vita, avreste esortato o permesso al consorte di prenderne il posto? Non affannarti a rispondere, sommo sacerdote, la risposta è già scritta nel nostro modo di vivere. Eppure qualcosa è cambiato negli ultimi tempi.
«Non ti sarà sfuggito che il progresso abbia incoraggiato le mie simili a porsi domande sul proprio status, che l’economia abbia favorito una maggiore integrazione lavorativa e sociale della donna, che ormai siano in molti, fra intellettuali e finanche politici, a perorare la causa, fino a poco tempo fa considerata tabù, della parità di genere. Nessuno può sapere dove condurranno i mutamenti in corso, ma quel che appare chiaro è che non si fermeranno. Non ho bisogno di dirti che io seguo con sollecito interesse questi sviluppi: l’incipiente ingresso della donna nella società implica una partecipazione a diritti e doveri che in precedenza erano riservati agli uomini. Essi dovranno presto negoziare un nuovo status, che non significa un rivolgimento o una novità radicale nei costumi e nella prassi, come qualcuno ha comicamente prospettato, quanto piuttosto una più equa spartizione dell’esistente.
«Le donne non vogliono certo cambiare il mondo o imporre agli uomini una propria visione delle cose, non siamo così sciocche. Il modello maschile va purgato delle sue storture, ossia riformato a nostro vantaggio, ed è ciò che ci apprestiamo a fare: diventarne beneficiarie al 50% è il nostro obiettivo. Ciò che oggi solo gli uomini fanno, domani faranno anche le donne, né più né meno. E per quanto possa sembrare alieno a un vero principio di giustizia – che non si limita a prescrivere la condivisione nell’indifferenza per i contenuti sostanziali, ma vigila in primo luogo sulla loro fondatezza – è quanto concretamente fattibile. Mi perdonerai questo lungo preambolo, uomo di culto, ma era necessario affinché tu comprenda la risposta alla tua esortazione.
«Io non posso, non voglio e non devo morire al posto di mio marito. Non posso perché sono madre, come hai ricordato, e devo continuare a educare e proteggere i miei figli, che sono anche gli eredi al trono e i continuatori della dinastia; non voglio perché sono attaccata come tutti a una vita che può terminare da un momento all’altro ma che offre occasioni straordinarie, perlomeno a chi sa guardare oltre l’immediato; non devo perché con la fine del predominio maschile cade ogni differenza di principio fra generi, e la parità si instaura anche nei doveri. Admeto morirà, la sua morte sarà il segno più eclatante del cambiamento in corso – e solo gli dèi sanno se proprio il cambiamento sia la causa segreta della sua malattia.
«Non giudicarmi crudele o egoista, sacerdote, la mia decisione è una mera conseguenza. Amo il mio sposo, e lo piangerò a lungo, forse più in silenzio che apertamente, ma ora un nuovo patto è stabilito fra uomo e donna: esso precede e sovrasta ogni altra determinazione – origine, ceto, censo, attività – per garantire che entrambi possano goderne. La parità di genere dissolve differenze e imparzialità che hanno plasmato fin qui il corso della storia. La fama non canterà la morte eroica di Alcesti ma le lodi della parità, e ti assicuro che il mondo sarà lieto di ascoltare».
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro nasce da un’intuizione in sé piuttosto vaga, ossia di trovare un genere letterario preesistente che, con le sue convenzioni e stilemi, mi offrisse una possibilità d’espressione congeniale a quel che urgeva dentro di me. Col senno di poi devo aggiungere che la lunga gestazione dei contenuti – una visione generale del mondo in cui viviamo che andavo inseguendo quasi con angoscia ossessiva da anni, se non addirittura da decenni – mi ha fatto scommettere su un stile, quello favolistico, che in precedenza non avevo mai preso in considerazione (vengo dalla ricerca universitaria).
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non troppo difficile, considerando che ogni scrittura è un onere che impone le sue leggi all’autore e lo costringe a infinite correzioni, migliorie ecc. A parte questo devo dire che, con una certa sorpresa, mi sono trovato immediatamente a mio agio con lo stile semplice e conciso della favola: era davvero l’ideale per esprimere concetti essenziali sul mondo e sugli esseri umani. Ho dovuto badare a differenziare le tipologie di brani, quelli più lunghi, complessi e ambiziosi da quelli brevi e aforistici, come se ricorressi ai registri dell’organo: un ventaglio di stili sostanzialmente unitario.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Domanda non facile. Per lo stile in particolare mi sono tenuto vicino ai favolisti, da Esopo ai moderni, per l'”atmosfera” generale credo di dovere molto a Kafka e al primo Novecento.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Dopo la laurea in Storia della musica all’Università romana della Sapienza ho vissuto venti anni a Berlino, dove ho fatto ricerca soprattutto sull’opera italiana fra Otto e Novecento e ho lavorato alla Freie Universität, senza però terminare il dottorato di ricerca. Ora sono tornato a Roma e mi occupo di narrativa.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vorrei concentrarmi sulla letteratura. Ho in cantiere alcune opere e spero di poterle presentare al pubblico.
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