
Edito da PlanetEdizioni nel 2020 • Pagine: 288 • Compra su Amazon
Remo è un giovane medico fresco di laurea e - nell'attesa che gli assegnino il posto di aiuto chirurgo che ha vinto presso l'Ausl - è alla ricerca di un impiego momentaneo. Lo trova in un hotel lussuoso, dove gli è affidato il posto di guardia medica: da questo momento in poi, la sua carriera decolla. Nel frattempo, grazie all'incontro con un giovane facoltoso che conosce nelle vesti di paziente - Felipe Ortega che è rimasto impressionato da Yara, Marica e Irene della fiction Sirene -, la sua vita compie un altro scatto in avanti: è capo di una spedizione scientifica che cerca di individuare l'ultimo villaggio di sirene e tritoni esistente sul pianeta. In questa avventura gli riesce anche di aiutare i suoi amici d'infanzia, tirandoli fuori da una situazione di precariato e Co.Co.Co. ad oltranza. 'La ragazza degli oceani' è sostanzialmente
una nuova 'puntata' che avrebbe trovato spazio nel Ciclo dei vinti, dello scrittore siciliano Giovanni Verga; ovviamente ambientato in una periferia urbana del terzo millennio.

La brezza di fine estate fa curvare le sommità dell’erba torrida con affetto, come la carezza di una madre.
Il viottolo di ghiaia è terminato; sono arrivato nei pressi della spiaggia. Faccio gli ultimi passi per raggiungere la casa quasi addossata all’acqua salmastra, lasciando sulla sabbia bagnata dal temporale estivo le impronte della mia esistenza. Dalla balaustra della villetta marina osservo il paesaggio che, tra qualche mese, sarà perfetto per rimpiangere qualcosa; perché c’è sempre qualcosa da rimpiangere.
In giro, sulla polvere di mare che ha visto nascere e cadere castelli e amori da bagnasciuga, è rimasto un malconcio ombrellone abbandonato; senza padrone e scodinzolante quando il vento lieve lo solletica. Ancora qualche giorno e poi bisognerà ritornare a un mondo che non crede più a niente.
Favole e miracoli trovano ancora spazio solo nei film.
Nella realtà sono soppiantati da temi meno eterei legati alla quotidianità noiosa, ma tangibile.
Le favole ci provano a essere matite colorate pronte a riempire di schizzi allegri la nostra esistenza; ma sono come i colpi di vento dietro la porta: nessuno va ad aprir loro.
Eppure a volte ci ritroviamo tutti a guardare il cielo, ma non basta la speranza che qualcosa succeda per trarci fuori dalla fatica della vita.
I prodigi non possono arrivare dietro l’uscio come un fatto scontato o una visita dovuta: hanno bisogno di fiducia.
Se si ha fortemente bisogno di credere in qualcosa, bisogna crederci… E alzare lo sguardo in alto.
Il dio degli umani, o gli dei dell’Olimpo per i più disinvolti, non abitano sul touch screen e non hanno un indirizzo elettronico; con loro non servono Tim, Samsung, iPhone, Apple, Blackberry, LG, Nokia o Huawei.
Basta chiedere di loro con sincerità e fede.
Con essi c’è sempre campo.
E rispondono a tutti: è solo una questione di frastuono; basterebbe restare zitti per captare con chiarezza la loro presenza.
Ma il chiasso è dappertutto e di bambini con gli occhi spalancati di fronte alle marionette ne sono rimasti pochi.
Nessuno crede più a nessuno.
Nemmeno a Superman: fatto fuori dalle sparizioni delle cabine del telefono.
Oggi i dubbi si risolvono chiedendo a Google.
È impari la lotta tra ‘chiedere’ e ‘credere’.
Comunque, io tifo per il secondo verbo.
Io credo.
Credo nelle favole e nei miracoli.
Ho fiducia nei miti.
Mi entusiasmo per le leggende.
Be’, lo riconosco, per me è facile. Conosco una vicenda che ha del formidabile; ed è rigorosamente autentica.
È una storia che mi si è incollata addosso come una T-shirt umida di pioggia, difficile da sganciare dalla pelle; e ostinata come uno di quei romanzi che, persino se gli butti addosso dell’alcol seguito da un cerino furente, non diventa cenere. Nessun sortilegio mi aiuta a liberarmene.
Le onde, al di là della scogliera, sono alte e riescono ad arrivare sulla balaustra che raccoglie qualcuna delle loro perle lucide; una di esse si ferma sulla mia faccia: il suo sapore mi ricorda una vecchia canzone che cantava mio nonno.
Il paesino che sento muovere in lontananza e spuntato sulla riva di un mare da cartolina, è da qualche anno il luogo dove io, la mia ragazza e mia figlia, veniamo a smaltire il cielo grigio della nostra città, sempre troppo a nord per i nostri gusti.
Meno di un’ora fa, ho lasciato il circo Leon impegnato a dare un assaggio delle capacità dei suoi artisti.
Per qualche attimo anch’io mi sono fatto prendere dal gioioso chiasso buttato nell’aria ancora estiva.
Tra funamboli, illusionisti, equilibristi, prestigiatori e clown sono ritornato – per un attimo, ma solo un micro attimo – in una dimensione che pensavo non esistesse più.
Mi sono risentito bambino, in un mondo pronto a luccicare di sorprese.
Ma l’attimo è volato via, al suo posto è apparso un corvo instabile nel cielo.
Ho avuto l’impressione che precipitasse…
Ho detto alla mia ragazza e a mia figlia di trattenersi pure ancora un po’.
Mi hanno guardato con sguardo interrogativo.
Quindi, eccomi in mi sono avviato nella stradina gonfia di pietruzze minimali, polvere e piccoli ciuffi di erba spontanea.
Ho superato il canneto tra i piccoli tuoni che brontolavano nel cielo e l’ho raggiunta.
La casetta in riva al mare.
Non sono solo; lei, la mia inquietudine, non ha mollato. Mi ha seguito come una cagnetta affezionata.
Dovrebbe abbandonarmi; cercarsi un altro che le dia da mangiare.
Mi sento in preda a un virus o un’influenza. Una di quelle situazioni che ti creano afflizione e ti costringono al letto, alle compresse e al termometro.
Ma lì, prima o poi la becchi la pastiglia giusta; per guarire da lei, invece, è tutta un’altra faccenda.
La stagione che gira intorno è incerta: non sa decidersi se considerarsi fine estate o inizio autunno.
L’acqua salina ha cambiato bersaglio prendendo di mira il cielo; gli lancia piccoli chicchi brillanti.
Appena notte spunteranno nel campo celeste.
Matureranno e diventeranno stelle.
Ma ora c’è ancora luce, in giro.
E percepisco lei nell’aria che trascina gli ultimi spasmi sonori dei gabbiani tramontanti.
Dal paese arriva – lontanissimo, come provenisse da Marte! – qualche scoppio che annuncia la celebrazione per il patrono.
Questa sera al paese ci sarà festa. La banda farà il suo concerto. I bambini guarderanno stupefatti e qualcuno di loro imparerà che la luce, oltre che da Dio, dai semafori e dai telefonini, può arrivare anche dalle decine di lampadine avvitate sulle luminarie.
La notte, ormai, incombe.
Cerco un modo per lenire la puntura dell’angoscia che, come un insetto irritante, non accenna ad arrendersi: pigio lo smartphone e osservo l’espressione di mia figlia Asia che sorride dallo schermo. Somiglia molto a sua madre, Arya.
Poi tutto si zittisce; anche il dolore. Libero i miei pensieri corvini che, finalmente, volano via verso il cielo di catrame.

Come è nata l’idea di questo libro?
Il progetto de ‘La ragazza degli oceani” nasce come risposta alla più che consunta massima che recita, “Finché c’è vita c’è speranza”: insomma non basta nascere in una periferia reietta per arrendersi alle difficoltà della vita. Questa è la linea di pensiero che anima Remo, il protagonista della narrazione.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà maggiore per chi scrive, a mio personale avviso, è sempre legata al tentativo di incrociare con il proprio stile ciò che gira nell’aria. Insomma, mi riferisco all’attualità e quindi al bisogno delle persone di appassionarsi a un tema piuttosto che a un altro.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Questa è una domanda che meriterebbe un certo approfondimento, visto che io personalmente sono un lettore piuttosto onnivoro. Diciamo che – giusto per avere un’idea – per questo libro i riferimenti gravitano intorno a De Carlo, Baricco e Fabio Volo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Bologna, ma sono di origini pugliesi.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho già realizzato il 50% di una nuova storia; in più sono occupato con due sceneggiature che, quando la battuta di arresto causata dal Covid-19 sarà superata, diverranno delle produzioni cinematografiche. Comunque, forza ce la faremo a lasciarci dietro il virus!
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